Dalla parte della legge di A. Galante Garrone

Dalla parte della legge Dalla parte della legge Eccoci ancora una volta al cospetto dell'«aulico rituale •> (per riprendere la definizione dello stesso Procuratore generale della Cassazione) all'inaugurazione dell'anno giudiziario. Non si può certo dire che la relazione del P.G., Ignazio Straniero, pecchi di roseo ottimismo come quella, intrisa di .onesto candore», e sempre sua, di un anno fa. •Anno funesto», il 1978, per la giustizia italiana: e come si potrebbe dissentire dall'accorato pessimismo di questa palinodia? Non è retorica, nel ricordare i tre giudici assassinati dai terroristi, dire che sono caduti «al loro posto di combattimento». Oggi la magistratura italiana è in prima linea, e sta pagando, con le forze dell'ordine, un alto prezzo di abnegazione, di oscuri sacrifici, anche di sangue. Forse è proprio la durezza dei tempi a renderla più consapevole, nel suo complesso, di questa sua funzione civile. Cosi, del resto, era accaduto in altre ore difficili del suo passato: nel 1923, sotto l'irrompere dello squadrismo fascista al potere, e ventanni più tardi, «otto il tallone nazista. Dopo tante debolezze, e acquiescenze, e conformismi degli anni precedenti, essa aveva pur saputo dimostrare fermezza e coraggio: e tanti episodi, oscuri ai più, stanno a dimostrarlo. Cosi, in una situazione pur tanto diversa, essa ci appare, da tanti indizi, anche oggi. Dobbiamo riconoscerlo. Un riconoscimento che tuttavia non ci esime dal vedere, e deprecare, quel che ovviamente la relazione del P.G. è portata a tacere, o attenuare: certe sentenze stridenti e aberranti, e inveterate abitudini al rinvio, ai formalismi, e il pigro ossequio verso antiquate tavole di valori, o, all'opposto, il poco meditato scardinamento di principi tradizionali. Non tutto sempre ci convince e ci piace, di quel che fanno i nostri giudici: e abbiamo, come cittadini, il diritto e il dovere di dirlo. Ci trova pienamente consenzienti l'affermazione del P.G. che, per quel che riguarda le forze dell'ordine, esposte ai più vili agguati del terrorismo, non bastano le riforme di struttura, e i migliori armamenti, e addestramenti e servizi più efficienti, e aumento degli organici, e compensi più adeguati; ma occorre la solidarietà operante di tutti noi: sentirci affratellati a loro non solo nei momenti di sincera, eppure sterile, commozione popolare, ma anche nel nostro contegno di tutti i giorni. Perché non aggiungere che ci, ha fatto vergogna assistere, alla tv, alle orge volgari e spensierate di Capodanno? Perché dobbiamo credere che bastino, ad acquetare le nostre coscienze, le belle parole, i sentimenti effimeri, le geremiadi rituali? Non sarà certo con questi espedienti che noi potremo convincere i nostri giovani a non disertare 1 bandi di arruolamento nelle forze dell'ordine. Altro punto di consenso: bisogna recidere, coi terroristi di ogni colore, ogni legame di compiacente indulgenza ideologica (che a un certo punto può diventare, e spesso diventa, connivenza e appoggio), e condannare ogni tentativo, ingenuo o ambiguo, di giustificazione sociologica. Gli assassini vanno trattati da assassini: e basta. A questo punto, vorrei indicare quello che, nella relazione del P.G., non mi pare del tutto chiaro, o convincente. Che cosa si vuol dire, veramente, quando si condannano i «tentativi di riforma troppo liberalistica», o gli atteggiamenti di «pietismo» (sempre questa ricorrente pai ola, usata fuor di proposito ! ), o si sostiene che non basta l'«imperio morale delle leggi», ma bisogna «se del caso, contrapporre l'uso della forza», anche se poi si sente subito il bisogno di aggiungere che questa deve essere «naturalmente assistita dal crisma legalitario e ragionevolmente moderata»? Una legge, in quanto tale, deve essere sempre applicata e imposta con la forza, anche e soprattutto in uno Stato democratico, e secondo le regole democratiche : senza di che ogni democrazia morrebbe. E perché poi agitare, sia pure per deprecata ma eventualmente necessaria ipotesi, lo spettro delle «leggi eccezionali»? Non siamo cosi ingenui da non renderci conto che proprio questo sarebbe il più bel regalo fatto alle Br, e ai loro compari. E ancora: anche i più feroci delinquenti non si pongono mai, con le loro azioni, «fuori del consorzio umano». Proprio perché — purtroppo — essi fanno parte di questo consorzio, dobbiamo trattarli, severamente, implacabilmente, ma giustamente, da uomini, secondo le leggi della Repubblica. Sono certo che il P.G. è d'accordo con me, su questo punto (perché se no, che Procuratore Generale sarebbe?). Ma ogni equivoco verbale va dissipato. Infine. Mi pare discutibile il vedere nell'abuso del perdono giudiziale un fattore preponderante dell'aumento della delinquenza minorile; che ha cause economiche, sociali, culturali, di costume ben più profonde. Mi lascia perplesso la proposta di punibilità dei tossico-dipendenti, cioè di chi detiene la droga per proprio consumo non terapeutico (mentre è auspicabile un severo inasprimento delle pene per gli spacciatori e i mediatori). Ma soprattutto, altri mali più generali, che affliggono la nostra giustizia, andrebbero denunciati con la massima energia: il vergognoso ritardo nella riforma dei codici penale e di procedura penale (una trista e cancrenosa eredità del fascismo), la mancata revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e il sempre più basso stanziamento nel bilancio dello Stato per quanto attiene all'amministrazione della giustizia. Ma è chiaro che, con la denuncia di questi mali, la parola passa all'intera classe politica, e investe la sua diretta responsabilità. A. Galante Garrone

Persone citate: Ignazio Straniero