Questo Falstaff cosi allegro quasi tragico

 Questo Falstaff cosi allegro quasi tragico L'opera di Verdi inaugura la stagione alla Scala Questo Falstaff cosi allegro quasi tragico PRIMA di accettare l'invito scaligero per l'inaugurazione, domani sera, di questa stagione con il Falstaff, mi sono chiesto, come mai in tante e tante regìe liriche non avessi mai messo in scena questo capolavoro del «vecchio» Verdi. La risposta più semplice — ma più lacunosa — era che in quasi duecento spettacoli della mia vita di regista non ho mai allestito, cito alla rinfusa, né un Amleto o un Otello, né un Faust o un Edipo re. Non si può fare tutto, ovviamente in una sola vita. Ma sarebbe troppo facile sbrigarsela così. C'è, evidentemente, una ragione di fondo che mi era e che mi rimane nascosta. Quest'ubriacone protagonista, in fondo, dì. quattro commedie shakespeariane (le due parti di Enrico IV, l'Enrico V e Le allegre comari di Windsor) è un personaggio che ha fatto parlare di sé quattro secoli e migliaia di pagine. E' un tragico eroe oppure un solenne buffone? Oppure tutt'e due le cose? E' uno straccione speculatore e magniloquente, oppure un cinico filosofo opportunista? Dileggia, astuto e villano insieme, le Istituzioni oppure è uno sbevazzone ostinato che sa amministrarsi assai bene nel suo rituale alcool ico? Chissà non sia tutto questo. Però, qui siamo al Falstaff di Giuseppe Verdi (e dii Arrigo Boito) che è una cosa, non tutt'un'altra cosa dal Falstaff shakespeariano. Per anni s'è andato discutendo se il «miglior» Verdi fosse quello passional-risorgùnentale della trilogia (Rigoletto-Trovatore-Traviata) o quello cosiddetto «maturo» dell'Otello e del Falstaff. Più vicino al primo Ottocento o più consapevole dell'esistenza di un certo Wagner? Più affezionato a libretti mediocri o più legato a un letterato fine, colto, scapigliato, modernista come Boito? Un problema non soltanto insolubile, ma da non porsi. Perché Verdi, più lo si studia, lo si legge e lo si realizza, è proprio un tutt'uno: quello giovanile e quello «senile», quello «patriottico» e quello «religioso»: sempre grande, sempre grandissimo uomo-diteatro, musicista e librettista e regista lui stesso, con una perfetta consapevolezza degli strumenti tecnici e scenici — oltre a quelli musicali — da doversi impiegare. Mi sono trovato, sulle prime, un po' come all'approccio con il Simon Boccanegra: un intreccio tumultuoso (quello, sì, drammaturgicamente assai più improbabile) e molto difficile a realizzarsi in maniera non banale, pedissequa. Solo che il Simone del '57 viene dopo la Trilogia, e dopo l'insuccesso clamoroso di un'opera, a proposito della quale Verdi scrive alla contessa Maffei «mi pare essermi ingannato», e Falstaff viene invece trentasei anni dopo: qualcosa come tutta la vita di Mozart, per intenderci. Qui, la chiave per comprendere il mondo è più complessa e insieme, però, più chiara: «Tutto il mondo è burla». La gelosia di Otello si tramuta in una gelosia comica, ma non per questo meno pregnante o meno «tragica» (è un po' il tema ricorrente di tutto il grande Verdi, lo annota anche di recente un musicologo come Massimo Mila), l'umorismo è frammisto all' affanno del quotidiano, la catastrofe non sai quando sia parallela alla vita o decisa da un imperscrutabile destino... Mi veniva spesso ili mente, questi giorni, queste sere di prove assillanti con cantanti-attori disposti al sacrificio più totale, la frase con cui Stendhal diceva, a proposito del Barbiere di Rossini, che «A' cbaque instant s'abaisse à n'étre que de la musique de concert». E a parte la perentorietà opinabile del giudizio, Falstaff mi ricorda proprio questa enorme fusione tra il capolavoro strumentale (il «senso» dell'orchestra) e il canto che vi si inserisce malioso e frenetico insieme, perfetto nella sua armonica compattezza. Due soli esempi (ma potrebbero essercene cento): Nannetta, la più giovane delle «Comari», suscita tenerezza a Quickly, la più anziana, che l'accarezza appena e c'è un «mi maggiore» delicato e soavissimo; a Falstaff che «insulta», a modo suo, Pistola, gridandogli sprezzante «saltimbanco», quando la strumentazione si accende, questa volta sì, con jin piglio quasi wagneriano. Guai, dunque, a pensare — come regista e/o come direttore d'orchestra — a «sir* John Falstaff come a un personaggio esclusivamente comico. E' tragicomico, questo sì. Ma ha dentro sé le problematiche, le angosce, i marasmi di Mozart: con in più,1, forse, la paura stessa di vivere, di esistere. Non buttiamola sulla lacrima, per carità: ma questo miò,'^guestó «nostro» Falstaff \ — 'di'Mààzel, 'di Ezio Frigerio, dello straordinario Juan Pons (trentadue anni, un baritono spagnolo prodigioso), della Freni, di tutti — questo Falstaff che sa più di campagna qualsiasi, magari della Padania, che non di Windsor, i questo Falstaff insomma farà anche ridere ma non soltanto ridere. Toscanini lo scopriva ogni volta diverso: e ogni volta diverso lo scopriva Mariano Stabile, che di «sir» John ne fece quasi una leggenda personale (quattordici volte solo alla Scala, dal '21 al '52: un miracolo incomprensibile), ogni giorno lo scopriamo diverso, quasi inafferrabile noi. E chi sa come lo scoprirà, diverso e inafferrabile, domani sera il pubblico della Scala. Giorgio Strehler IL. veRpT^FFj Frontespizio di un libretto umoristico pubblicato dal «Gucrin Meschino» in occasione della prima rappresentazione del («Falstaff» alla Scala il 9 febbraio 1893. «Falstaff» di Giuseppe Verdi inaugura domani sera la stagione operistica della Scala. Lo spettacolo è diretto da Giorgio Strehler, tornato al teatro operistico dopo cinque anni. La direzione musicale ò affidata a Lorln Maazel, la scenografia è di Ezio Frigerio che a Windsor ha sovrapposto un paesaggio della bassa padana con acqua vera, fieno finto e botti di vino. La trasposizione Intende restituire con Immediatezza l'ambiente nel quale si muove Falstaff, un villaggio lontano dal potere, un luogo di allegre comari, pettegolo e chiuso. Falstaff ò il baritono Juan Pons, alla sua prima esperienza Importante. Con lui si esibiscono Ingvar Wlxell, Wolfgang Brendel, Peter Kelen, Patricia Wlse, Fiorenza Cossotto e Mirella Freni, che aveva cantato nella stessa opera, ma con diverso ruolo, nella stagione scaligera del '61-62. Completa curiosamente II cast Walter Valdl, un avvocato milanese da qualche tempo attore di cabaret. Giorgio Strehler, regista dello spettacolo, ci spiega le ragioni della sua scelta. L'ubriacone shakespeariano, che ha fatto parlare di sé quattro secoli, appare ogni giorno diverso e inafferrabile erdi In una caricatura di H. Mailly)

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