Guidò la più spietata guerra sottomarina

Guidò la più spietata guerra sottomarina Guidò la più spietata guerra sottomarina Doenitz era stato il successore dì Hitler: per ventitré giorni, nella primavera del '45, aveva guidato quello che restava della Germania e delle sue armate sconfitte su tutti i fronti. Nell'estate 1969 ero andato a parlargli, volevo chiedergli che cosa rimaneva — nella sua memoria e nella sua coscienza — della sua lunga vita di marinaio che, attraverso il nazismo, lo aveva condotto (lui, ufficiale prima dell'imperatore e poi di Weimar) al processo di Norimberga, che cosa rammentava delle terribili accuse che gli avevano mosso, dell'allucinante sfilata di testimoni (la bestiale maschera di Hoess, comandante ad Auschwitz: l'altissimo fantasma di Paulus, il vinto di Stalingrado), delle implacabili requisitorie che chiedevano la condanna a morte per tutti, del giorno della sentenza». Il Grand'Ammiraglio, secco, minuto, i radi capelli bianchi, il volto scavato e impassibile, sembrava non voler parlare. «Sono trascorsi troppi anni, ripeteva, cortese ma duro, aggiustandosi il filo dell'apparecchio acustico sotto il chiaro impermeabile lucido di pioggia, quello che avevo da dire l'ho scritto in un libro. Perché non lo legge? C'è tutto, tutto». Avevo letto i suoi ricordi. Dieci anni e venti giorni, ma volevo conoscere, filtrate dal tempo, le sue impressioni di allora, il giudizio che adesso — a sua volta — dava dei giudici, dei testimoni e degli uomini che 10 avevano giudicato a Norimberga ritenendolo colpevole di due delle quattro imputazioni del capo d'accusa (delitti contro la pace, crimini di guerra) condannandolo a dieci anni di carcere. «Ho fatto il mio dovere come qualsiasi soldato», diceva poco più tardi accogliendomi nel caldo soggiorno della sua villetta di Aumuhle, una cittadina tra boschi di faggi e di abeti. Scuoteva appena il capo dondolando nella poltrona e ripeteva che, sì, aveva fatto il suo dovere. «Il Grand'Ammiraglio non s'è macchiato di alcun delitto: è stato condannato solo per motivi politici» diceva quietamente la moglie Inge, sollevando la testa dal ricamo e sfiorando con lo sguardo le fotografie dei due figli, marinai come 11 padre, caduti combattendo nel 1944. Ora Doenitz era rimasto solo. Morta la moglie e scoinparsi il fratello e la sorella, aveva dedicato questi ultimi tempi a riordinare i suoi appunti per ampliare un libro autobiografico uscito una decina di anni fa, La mia movimentata vita. Malgrado l'età avanzata, il Grand'Ammiraglio rivelava ogni giorno insospettate energie e cosi, del resto, era stato fin dalla nascita, quando era venuto alla luce, il 16 settembre 1891 a Berlino-Grùnau, il padre, un ingegnere, lo aveva visto così .gracile da pensare che non sarebbe mai potuto diventare un soldato, sogno segreto della madre. Eppure nel 1910, appena diciannovenne, Karl Doenitz era già nella marina imperiale e quattro anni più tardi aveva il grado di ufficiale a bordo dell'incrociatore Breslau. Passato ai sommergibili all'inizio della prima guerra mondiale agli ordini del leggendario capitano forstmann, Doenitz venne catturato dagli inglesi il 4 ottobre 1918, ma ottenne il rimpatrio fingendosi pazzo (e simulò cosi bene die quando rientrò in Germania i medici volevano internarlo davvero in manicomio). Comandante dell'incrociatore-scuola Emden nel 1934, promosso capitano di fregala l'anno dopo, assunse il coinando della prima flottiglia di U-Boote entrata in servizìo dopo il Trattato di Versailles e divenne, in pochissimo tempo, lo stratega indiscusso della più dura e spietata guerra sottomarina della storia, pagata dalla Ger¬ mania di Hitler con la perdita dì 781 sommergibili su 821 e 32 mila marinai su 39 mila. Con grande chiarezza di idee, anche se favorito dalla spontanea simpatia che il Fuehrer nutriva-per lui. Doenitz si oppose subito, fin dal 1936, ai piani per la guerra navale del futuro formulati dal Grand'Ammiraglio Raeder, comandante in capo della Kriegsmarine. Raeder dubitava dell'efficacia dei sommergibili, se impiegati contro i sistemi dei convogli e l'«oc- • chio» degli ecogonioìnetri: l'unica arma — sosteneva — era quella delle grandi navi di superficie. Doenitz, tutto al contrario, era convinto che corazzate e incrociatori pesanti, privi di basi e di coperture aeree, non avrebbero mai potuto agire liberamente nell'Atlantico, specie nell'eventualità di un conflitto con una grande potenza marinara come la Gran Bretagna. Si doveva potenziare la flotta sottomarina — predicava Doenitz — adottando la «Rudeltaktik», o «tattica dei branchi» (sulla quale scrisse un libro che, purtroppo, in Inghilterra passò inosservato). Secondo Doenitz non appena il comando sommergibili sapeva dell'esistenza di un convoglio nemico e la sua posizione approssimativa, avvertiva uno dei «branchi» di U-Boote che, subito, ne mandava uno in perlustrazione. Individuato il convoglio, il sommergibile-spia si metteva sulle sue tracce e intanto, con la radio, guidava gli altri nella zona. Una volta radunati nei pressi del convoglio, gli U-Boote lanciavano ripetuti attacchi notturni in emersione. La novità rivoluzionaria di questa tecnica consisteva nel fatto che gli inglesi, fino ad allora, avevano indirizzato i loro studi all'individuazione dei sommergibili in immersione: infatti l'ecogoniometro installato sulle loro naviscorta permetteva di localizzare qualsiasi oggetto sommerso, nel raggio di un chilometro e mezzo. L'apparecchio, però, era impotente di fronte agli oggetti in superficie sicché quando gli U-Boote, col favore della notte, salivano in emersione e attaccavano, l'ecogoniometro non era più capace di distinguere la loro presenza da quella della scorta. Il comando di Doenitz aveva poi scoperto che. nel cuore dell'Atlantico, vi era uno spazio «vuoto» irraggiungibile cioè sia per la scorta aerea americana che accompagnava il convoglio per un certo tratto, sia da quella inglese che gli andava incontro: nella seconda metà del '42 questo «vuoto» — compreso grosso modo fra Terranova, la Groenlandia e l'Islanda —fu soprannominato. sinistramente, «Black pit» «fossa nera», o anche «fossa della morte»: nel solo novembre '42 i sommergibili di Doenitz vi affondarono 119 navi per 729 mila tonnellate. Poi però la maggior autonomia degli aerei alleati e lo sviluppo del radar arrestarono questa strage: gli U-Boote declinarono e con la loro scomparsa i mari furono campo esclusivo dell'azione alleata. Cosi, divenuto capo della Kriegsmarine, al posto di Raeder, il 31 gennaio '43, Doenitz vide sempre più ridursi il proprio spazio di manovra tanto che nel '44 la sua flotta ebbe come maggior impegno quello di partecipare — attraverso il Baltico — all'evacuazione del fronte orientale investito dall'offensiva sovietica. Il 30 aprile '45, a dispetto di ogni pronostico, Hitler, al momento di togliersi la vita, designò Doenitz come proprio successore alla direzione dello Stato. Da Flensburg, nello Schleswig-Holstein dove si trovava il suo quartier generale, Doenitz non potè che tentare un'estrema difesa a Est cercando nel frattempo di far attraversare l'Elba al maggior numero possibile di truppe tedesche inseguite dall'Armata Rossa. Il 7 maggio il Grand'Ammiraglio si Annullile, lina recente immagine di Doenitz. nella sua villetta