L'ultima raffica del Terzo Reich di Tito SansaGiuseppe Mayda

L'ultima raffica del Terzo Reich LA MORTE DI DOENITZ, STRATEGA DEGLI U-BOOTE, SUCCESSORE DI HITLER L'ultima raffica del Terzo Reich II Grand'Ammiraglio «regista» di agguati e battaglie in Atlantico sarà sepolto senza onori militari - Divenuto capo della Germania nazista, fu costretto a ordinare la firma della resa incondizionata - Oggetto di terribili accuse, e condannato a Norimberga, passò dieci anni in carcere - «Ho fatto solo il mio dovere» - li recente incontro con il nostro inviato DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BONN — Il Grand'Ammiraglio Karl Doenitz. morto a ottantanove anni la sera della vigilia di Natale nella sua casa di Aumuehle nelle vicinanze di Amburgo, sarà sepolto senza onori militari: a tutti i soldati delle forze armate tedesche il ministero della Difesa di Bonn ha vietato di partecipare in divisa alla cerimonia funebre. Quando ero andato a fargli visita, in una piovosa giornata dello scorso autunno, Doenitz aveva detto: «Sono completamente apolitico, non ho contatti ufficiali con le forse armate, le quali mi ignorano. Soltanto con vecchi camerati, che mi visitano e mi scrivono. Ma so di avere l'appoggio della popolazione, che legge il mio libro Dieci anni e venti giorni. Questo sostegno privatomi basta». Orgoglioso fino all'ultimo, il Grand'Ammiraglio disdegnava coloro che — secondo lui — non avevano capito la sua «funzione storica» che gli aveva permesso di salvare nelle ultime settimane di guerra la vita di un milione 850 mila soldati del fronte orientale, e che avevano processato e condannato uno che «ha fatto soltanto il proprio dovere di soldato». Non aveva dubbi, insisteva sempre su questi punti: l'ammirazione che per lui avevano nutrito gli avversari inglesi, a cominciare da Churchill, la incapacità di Hitler a seguire i suoi consigli, il salvataggio dei soldati, la sentenza di Norimberga contro di lui « innocente». Afflitto da una grave sordità, Doenitz faceva sedere i visitatori alla sua destra, sotto un quadro raffigurante Federico di Prussia, e rispondeva con voce fioca ma con chiarezza di idee. E. per non venire falsamente interpretato, consegnava all'interlocutore appunti da lui scritti a macchina, senza errori, con dati e nomi. Ma sulla sua vita privata non c'era verso di strappargli qualcosa. I figli maschi — mi disse quasi di sfuggita — sono caduti in guerra. Gli erano rimasti una figlia, Ursula Hessler, vedova di un comandante di U-boot anche lui caduto in guerra, tre nipoti e due pronipoti. «Mi vengono a trovare qualche volta, disse, ma di solito sto solo, da quando mia moglie è morta». Trascorreva le giornate con disciplina militare: sveglia alle 6,30 e poi lavoro fino alla sera. Teneva una corrispondenza attivissima, con camerati, storici, giornalisti, in Germania e all'estero. Aveva un archivio ordinato. Era senza segretaria. Una volta l'anno andava in cura a Bad Brueckenau. in Franconia, ogni tanto si faceva portare in tassì dal medico. Non leggeva giornali, non aveva contatti con la Germania del dopoguerra. «Che ne pensa di Hess, ancora prigioniero a Spandau?» gli avevo domandato. «E' stato condannato, come me» aveva risposto senza un'ombra di commozione. Nell'accomiatarmi, aveva concluso: «Forse non tutto ciò che ho fatto era giusto, ma ho fatto il mio dovere fino in fondo». E poi aveva inviato una breve lettera di ringraziamento per la visita, scritta con mano malferma e firmata semplicemente con il cognome: «Doenitz». Tito Sansa vide costretto a ordinare la firma della capitolazione a Reims. Lassù, a Flensburg, per altre due settimane, rimase in vita il suo governofantasma, dal quale aveva estromesso i più fanatici nazisti: il 23 maggio, però, le autorità alleate arrestarono Doenitz e, con lui, Albert Speer. Al processo di Norimberga a Doenitz venne rimproverata la guerra sottomarina condotta senza alcuna restrizione ma egli replicò, con una testimonianza scritta di Nimitz, che gli Alleati, nel Pacifico, si erano comportati nello stesso modo. Tuttavia, anche per le pressioni dei sovietici — i quali volevano la condanna a morte di tutti gli imputati — Doenitz fu ritenuto responsabile di aver contribuito a preparare una guerra di aggressione (anche se nel '39 non era ancora ammiraglio) e di aver dato ordine di non salvare i naufraghi delle navi affondate, quest'ultima accusa basata su una discutibile interpretazione dell'«affareLaconia'. Doenitz trascorse dieci anni nel carcere berlinese di Spandau, assieme a Speer, a Hess, a von Schirac. Tornò libero nel 1956: ad attenderlo, fuori della prigione, c'era la moglie, che in tutto quel tempo aveva lavorato come infermiera in un ospedale di Amburgo e ogni tre mesi prendeva il treno e lo andava a trovare. Quel giorno, nella sua casa di Aumuhle, vicino al ribollente Mare del Nord, chiesi al Grand'Ammiraglio che cosa pensava di Hitler: «Un uomo intelligente, dinamico. rispose, ma con una personalità demoniaca, in parte buono, in parte cattivo». Gli domandai ancora perché il Fuehrer lo aveva scelto come successore. «Ci ho pensato spesso, disse lentamente, e ho concluso che. essendo Goering in stato d'arresto, ero io il più anziano ufficiale di un'arma in certo qual senso indipendente da un punto di vista politico. No. no. non ho nulla da rimproverarmi: sono in pace con la mia coscienza». Giuseppe Mayda jl #"'fjjP$SL rff Rastenburi!, 1942. Hitler stringe la mano a Doenitz. ricevendolo al quartier generale