Ideologie infrante

Ideologie infrante MARXISMO E «NUOVA SINISTRA» Ideologie infrante Un quarto di secolo fa, per la prima volta, si parlò di «declino delle ideologie». Fu in occasione di un convegno promosso a Milano, nel settembre 1955, dall'Associazione per la libertà della cultura, echeggiante le speranze e i sogni di Ignazio Silone. Il termine «ideologia», nonostante le negazioni o le contestazioni di Marx, aveva finito per caratterizzare le forme di dogmatismo dottrinario, le propensioni verso i conflitti radicali, le tendenze alle contrapposizioni estremiste, una specie di indiretta prevalenza della passione sulla ragione. E in quel momento, alla metà degli Anni Cinquanta, l'atmosfera di sviluppo economico pressoché incontrastato dell'Occidente si univa alle forme caute e ammiccanti del revisionismo sovietico non meno che alle crescenti delusioni sulle possibilità di affermazione del comunismo nei Paesi industrializzati. * * • " I centocinquanta studiosi convenuti a Milano da ogni parte del mondo ne traevano conclusioni ottimistiche, quasi anticipatrici della svolta euforica degli Anni Sessanta: le idologie estremistiche erano in declino, il benessere di massa debellava il fanatismo delle piccole minoranze rivoluzionarie, le ideologie contrapposte, soprattutto quelle che traevano radice dal liberalismo o dal comunismo, tendevano a convergere in un quid medium portato a conciliare — fu la spiegazione fondamentale di Raymond Aron — domande politiche divergenti o antitetiche. Per cinque anni, fra '55 e '60, il tema fu approfondito: a opera di uomini come Aron, Shils, Bell e Lipset. Tema co mune a tutti: la progressiva erosione delle ideologie tradizionali, in quanto esse avevano di settario, di discriminante, di totalizzante (come dirà Daniel Bell nel 1960). L'accettazione ormai comune del Welfare Stale sembrava creare un modello di vita comune a Oriente e Occidente, modello di vita che solo nelle pompose enfatizzazio ni di qualche anno più tardi di venterà il «modello di sviluppo» (coincidente coi momenti di più atroce regressione corporativa). «Il trionfo della rivo Unione sociale democratica, poteva scrivere nel 1960 Seymour Martin Lipset, senza prevedere le smentite crudeli avanzanti, ha reso disoccupati quegli intel lenitali che hanno bisogno di essere stimolati da ideologie utopie in funzione dell'azione politica». Questo dibattito, che si pio lungo per anni, mi è tornato in mente di fronte al titolo e alla tematica dell'ultimo libro di Lucio Colletti, Tramonto del l'ideologia, (ed. Laterza): un li bro che segue alla serie di scritti stimolanti e chiarificatori sul marxismo che ci ha dato il titolare di filosofia teoretica all'ateneo romano, Il marxismo Hegel, Ideologia e società, Il marxismo e il crollo del capitalismo, Tra marxismo e no. Colletti è uno dei pochissimi che conosca il marxismo dall'interno. Dall'interno per le fonti dottrinarie, che non hanno misteri per lui, e dall'inter no per l'esperienza etico-politica vissuta e raccontata, in pagine di grande sobrietà e distacco, nell'Intervista politico-filosofica. Colletti è stato comuni sta, con tessera, fino al 1964 Allievo di Galvano Della Volpe (solo chi l'ha conosciuto come me può immaginare la for za fascinatrice di un pensiero corazzato in una struttura speculativa da vecchia Italia, da mondo d'ieri, con le asprezze e le intransigenze del suo maestro Giovanni Gentile), ha fatto parte del comitato direttivo della rivista aulica dell'ortodossia togliattiana, Società, all'indomani della diaspora provocata dai fatti d'Ungheria prima della soppressione deci sa nel 1962. Colletti tende sempre a sot tolineare che il suo distacco definitivo dal pei coincise col tramonto di Kruscev, con la «desacralizzazione» dello stalinismo. In parecchie note, di . questo e di altri volumi. Col letti è tornato sulla profondi ripugnanza che Kruscev susci tava in Togliatti e sull'incapacità dei comunisti italiani di cogliere fino in fondo la svolta per tanti aspetti irreversibile rappresentata da quel misto di bertoldismo contadino e di re visionismo pragmatico. Il tramonto dell'ideologia tout court, per Colletti, il tra monto della «nuova sinistra» esplosa in Italia col '68, nei suoi incontri e nei suoi intrecci costanti con l'ideologia domi nante nel pei. Colletti si rifiuta dpcsddegdmsscmsps di tracciare un rigo netto di separazione fra contestazione e comunismo. Parla, e non a caso, di «coinvolgimento profondo» del pei in tutto il corso delle cose e delle idee che si era sviluppato dal '68 in avananche per frenarlo, correggerlo, temperarlo (ma sempre dall'interno, nel timore di un marxismo diverso, di un diverso od opposto messianesimo). Tutte le oscillazioni comuniste in materia sono registrate con puntiglio filologico, da maitre à penser e mai da uomo i parte. Colletti ricorda il colloquio di Luigi Longo con Scalzone e gli altri dirigenti del movimento studentesco, accusati pochi mesi prima di ribellismo piccolo-borghese: «Sorpreso dall'esplosione improvvisa del '68 su posizioni di diffidenza e di incomprensione verso il movimento giovanile», il pei non mancò di adottare una rapida e quasi sconcertante conversione. Il tentativo di inseguire la tigre, per poi magari cavalcarla, non fu mai abbandonato: nonostante i moniti di Giorgio Amendola. Anche fischi a Lama, all'interno dell'ateneo romano, nell'inverno del '77, non interruppero gli sforzi per agganciare il grosso del movimento, magari isolando le frange estreme. Ma le tesi, o meglio le constatazioni, di Colletti non sono strumentali a nessuna tesi politica, o partigiana. Il filosofo, pur scettico sulla consistenza della linea di solidarietà nazionale (giudicata, a nostro parere, con severità talvolta eccessiva), non tende minimamente a sminuire o a mettere in discussione il contributo decisivo che ha dato il partito.comunista alla lotta contro la contestazione degenerata in terrorismo, contro il partito armato: dal rapimento Moro in avanti. * * D suo obiettivo è un altro: dimostrare come l'ondata della «nuova sinistra» abbia investito in pieno le convinzioni e i punti di riferimento del marxleninismo, nell'edizione scolastica prevalente in Italia. La crisi dell'ideologismo di sinistra, nutrito da tutti i succhi e da tutti i miti della rivoluzione culturale cinese non meno che dalle influenze della scuola di Francoforte, finisce per tradursi in una crisi del marxismo. La contestazione post-sessantottesca diventa «l'ultimo e disperato tentativo di rianimare la dottrina e imprimerle vita nuova». Non fu un fenomeno di breve momento; e Colletti lo sa. Dopo il '68, in Italia, la «coscienza ideologica» si dilatò spaventosamente «fino a inghiottire e fagocitare tutto». Con un salto di qualità, che costituisce il sale di queste pagine, essa assunse un carattere nuovo. Travalicò i confini della politica; investì il costume, le mode, gli abbigliamenti, diventò, per usare un'espressione cara all'autore, «onnipervadente». Mise in discussione la speranza cattolica, che, secolarizzandosi, si convertì nella tensione verso la nuova società. Dall'innesto fra estremismo marxista e millenarismo cattolico nacque un «utopismo sociale» che si rifiutò di prospettare i fini in connessione coi mezzi: rifiutò le compatibilità, esasperò le contraddizioni, creò le basi del grande rifiuto. Senza fermarsi neanche ai ceti tradizionalmente influenzati dalla sinistra. Il ribellismo rivendicativo di taluni settori di piccola borghesia parassitaria nasce di lì... Il compromesso storico era una risposta troppo povera rispetto al complesso di sollecitazioni e di stimoli che la nuova sinistra aveva messo in circolo, anche in forme tumultuarie e contraddittorie (fino a Alt-. husser che nel suo disperato «no» aveva legittimato il passaggio all'autonomia organizzata). Di qui le contraddizioni del pei, che a Colletti appaiono profonde, e finora insanate. Ai tempi della famosa polemica sulla «terza via», nell'estate '68, Colletti fu l'unico che riuscì ad essere più severo di Bobbio. «La storia è impietosa. La terza via non esiste». E non mi risulta che da allora abbia cambiato opinione. Giovanni Spadolini

Luoghi citati: Francoforte, Italia, Milano, Ungheria