Kossighin la sfinge del Cremlino

Kossighin la sfinge del Cremlino TECNICO DELL'ECONOMIA CONSERVO' IL POTERE CON STALIN. KRUSCEV E BREZNEV Kossighin la sfinge del Cremlino Era il più anziano del favoloso Politburo - Solo lui conosceva il labirinto della pianificazione sovietica tento da poter ricavare da un diffuso sottosviluppo alla base una superpotenza al vertice - Ha attraversato senza danni tutte le stagioni perché non aveva un'eccessiva ambizione - Superava i capi del Cremlino per preparazione, serietà, intelletto - Si era dichiarato contrario all'invasione di Cecoslovacchia e Afghanistan per non irritare i suoi partners d'affari in Occidente Aleksej Kossighin è stato per lunghi anni la sfinge del Cremlino. Non soltanto perché chiuso, riservato e insofferente delle manifestazioni pubbliche. Per gli specialisti della cremlinologia, una scienza da indovini, è stato sempre un enigma da che parte stesse Kossighin, con chi si schierasse nelle lotte di fazioni. Era stato Stalin a farlo assurgere ai vertici del potere nominandolo vice di Molotov, allora capo del governo. Fu poi prescelto da Kruscev come suo vice, alla guida del governo, questa volta però in contrasto con Molotov. Alla fine Breznev lo nominò membro del triumvirato che doveva sostituirsi all'esautorato Kruscev. Più che alla sua versatilità, il fatto che sia diventato l'uomo di tutte le stagioni veniva attribuito alle sue qualità tecniche. Conosceva l'economia sovietica a tal punto da riuscire a far funzionare un meccanismo che, secondo tutte le regole non soltanto di economia ma anche di pura logica, doveva ingolfarsi, bloccandosi. Soltanto Kossighin aveva una tale conoscenza di quel labirinto che è la pianificazione sovietica da poter ricavare da un diffuso sottosviluppo alla base una su perpotenza al vertice, proietta re la debolezza interna in forza esterna. Mai nella storia delle economie e degli Stati si è vista tanta potenza scaturire da tanta inefficienza, tanta ricchezza coniu gata con tanta miseria. L'alchi mista insostituibile è stato appunto Kossighin. Di volta in volta si era reso conto che un'economia non può reggersi sulle formule alchimistiche e cercava di introdurre il minimo di logica produttiva, il minimo di calcolo e di criterio del valore, nel funzionamento di quel mastodonte palco economico che doveva dirigere. Sono le famose «riforme Kossighin». Le lanciò in tre ri¬ prese, per vederle regolarmente sopraffatte da riflussi antiriformistici. Per un paradosso, che al Cremlino poi non risulta nemmeno tanto paradossale, a Kossighin è spettato di gestire anche i riflussi delle proprie riforme. Ad ogni modo, nella storia sovietica, dove i grossi nomi vengono più spesso cancellati che registrati, il defunto ex primo ministro passerà quale riformatore, tecnico dell'economia, senza meriti né caratteristiche prettamente politiche. Enigmi Sennonché la sfinge di Kossighin non è venuta meno neanche in questo campo agli enigmi che la circondavano. Appena ieri, quando è giunta la notizia della sua morte, ricomponendo gli stralci della sua biografia, i contabili cremlinologi, scavando negli elenchi gerarchici dei tempi oscuri, quando fra una purga e un'altra non risultava chiaro nemmeno chi facesse parte del massimo organo, hanno scoperto che con Kossighin moriva il più anziano dei membri del favoloso e fatidico Politburo. Fino a ieri si era creduto che fosse il «vate dell'ortodossia», Michail Suslov, quell'uomoponte storico, che con la sua presenza segnava la continuità del sacro collegio da Stalin a oggi. Invece si scopre che l'uomo intramontabile presente nel Politburo staliniano, nel Presidium krusceviano e di nuovo nel Politburo brezneviano è stato Kossighin. Era entrato a far parte del Politburo, prima come supplente e poi, quasi subito, come membro a pieno diritto, già nel 1947 (a soli 43 anni, un «ragazzo» nella gerontocrazia). Suslov lo segui con un ritardo di quattro anni. Per constatare di che stoffa fosse il premier defunto, basta ricordare alcuni nomi: insieme con lui nel Politburo erano entrati Beria, onnipotente capo della NKVD, Malenkov, designato a succedere a Stalin e Vosnessenski, capofila dei contestati comunisti di Leningrado, grande economista. Si sedevano accanto a mostri sacri come Molotov, Zdanov, Kaganovic, sempre che Stalin gliene offrisse l'occasione in quanto egli, nel suo stile di governare, il Politburo non lo convocava quasi mai. Viene da chiedersi, nel momento della sua scomparsa, come mai Kossighin non abbia mai fatto valere questo suo capitale politico, come mai abbia subito le leadership degli altri capi (le loro versatilità e incompetenze) invece di imporne ed esprimerne una propria. La risposta, probabilmente, è questa: è durato tanto, attraversando senza danni tutte le stagioni, appunto perché non esprimeva eccessive ambizioni. Anche quando era salito più in alto, membro del «triumvirato», Breznev, Kossighin, Podgorni, invece di cercare di divedere il potere in tre parti uguali è stato il primo a ritirar- si nella tecnicità del mestiere di primo ministro. Breznev e Podgorni erano rimasti soli nell'arena a contendersi il primato finché il capo ucraino non ha perso la battaglia. In quell'epoca Isaak Deutscher aveva pronosticato: «Kossighin assume il governo per equilibrare Breznev». Nemmeno il grande cremlinologo (l'unico che dava un senso a questa specialità) aveva capito che contrapporre il governo al partito oltre che assurdo sarebbe stato suicida. E Kossighin si è guardato bene dal commettere questo errore. Più che mancanza di ambizione, questa in lui era intelligenza politica. L'uomo-sfinge, impenetrabile dietro la maschera di sofferenza (che non si è mai capito se fosse fisica o politica) superava tutti i capi del Cremlino per preparazione, serietà e intelletto. Nelle scuole di partito staliniane aveva, però, anche imparato o intuito che un dirigente riesce a mettere a profitto le proprie doti intellettuali dosandole, amministrandole, anche camuffandole quando serve, piuttosto che metterle in vista e sfoggiarle. Menti estroverse bruciano da sempre i personaggi del potere in Russia, da Trosky a Buharin, da Vosnessenski a Kruscev. Si sopravvive e si avanza nella graduatoria mimetizzandosi e adattando le proprie capacità al livello medio e mediocre dell'«intelligenza collettiva», perno del meccanismo del partito. E Kossighin ha saputo amministrare la propria intelligenza con un'arte pari o addirittura superiore di quella con cui stabiliva gli impossibili dosaggi di un'economia squilibrata. Il vertice del Cremlino si può scalare da due versanti: incamminandosi da un'organizzazione locale di partito o da una fabbrica. Kossighin intraprese la scalata dalla fabbrica. Figlio di un operaio, arruolato¬ si nell'Armata rossa a 15 anni, alla fine della rivoluzione aveva seguito gli studi al «Tehnikum» di Leningrado. Diventato ingegnere tessile fu quasi subito nominato direttore di un cotonificio. Lo scontro Nel 1938 venne eletto (per così dire, in quanto vere e proprie elezioni di sindaci nelì'Urss non sono mai avvenute), presidente del Soviet di Leningrado. E' qui che Stalin l'aveva notato e portato a Mosca, alla funzione di commissario del popolo per l'industria tessile. Passò poi all'industria leggera, alle finanze e tre anni dopo conquista la carica di viceprimo ministro. Passò momenti brutti quando il «gruppo di Leningrado», capeggiato dal suo amico Vosnessenski, fu portato davanti al plotone di esecuzione (la colpa del brillante economista era quella di sostenere l'esistenza di un mercato anche nell'economia socialista, cosa in cui Kossighin senz'altro credeva, senza mai esprimerlo in chiari termini). Erano tempi in cui la «sfinge» si chiudeva ancora di più nei suoi enigmi. Molotov gli aveva imputato tendenze «liberaleggianti», ma era ormai tardi: Stalin morì nel momento giusto, almeno per Kossighin. Così entrò nell'era krusceviana con un alone non si sa quanto meritato di antistalinismo. Il rancore contro Molotov lo portò per l'unica volta a uscire dal suo guscio. Nello scontro fra Kruscev e Molotov, infatti, si schierò con il dissacratore di Stalin, con un discorso focoso, inconsueto per il suo stile: «Molotov e altri membri del gruppo antipartito considerano che gli appartenesse la direzione del partito per tutta la vita e che il partito dovesse eseguire i loro voleri invece di sottoporsi loro al volere del partito. Molotov e il suo gruppo si sono stac¬ cati dalla vita a tal punto da mettere sotto sospetto e contrastare ogni nuova proposta, utile per lo sviluppo dell'economia.) Secondo Molotov soltanto la cruda centralizzazione determina lo stile socialista della gestione economica». Era senz'altro il discorso più coraggioso mai pronunciato da Aleksej Kossighin. Era anche il momento più coraggioso della recente storia sovietica. Diventato primo ministro, proprio al tramonto di quell'epoca krusceviana, Kossighin potè constatare che la «cruda centralizzazione» determinava davvero lo stile, se non socialista, ad ogni modo sovietico, nel gestire l'economia. Qualche ruga della sua maschera sofferente va probabilmente attribuita anche a questa amara scoperta: l'anticentralista lasciava agli eredi la macchina economica più centralizzata del mondo. Nell'impossibilità di cambiare le strutture e tanto meno il sistema, si rifaceva cercando un respiro negli agganci con le grandi economie industrializzate dell'Occidente. Infatti, Kossighin poteva mancare a qualche manifestazione politica, anche a qualche seduta del Politburo, ma non mancava mai ad un incontro con uomini d'affari occidentali approdati a Mosca. Contrattava direttamente il transfer delle tecnologie, i crediti, gli investimenti. Negoziava in persona con Rockefeller, MacNamara, Agnelli, Hammer e von Amerongen. Avendo fatto i conti era giunto alla convinzione che l'economia sovietica non poteva tirare avanti a lungo la sproporzionata e sempre più esigente macchina cosmico-militare. Intravedeva un'uscita, appunto, nell'aggancio alle economie occidentali: costrette a cercarsi nuovi mercati negli sterminati spazi sovietici sarebbero state anche costrette a sovvenzionare una parte delle esigenze sovietiche. Per paura di compromettere quest'operazione, Kossighin si era dichiarato contrario all'invasione della Cecoslovacchia e dell'Afghanistan, come era stato il primo a caldeggiare l'immediato ritiro dei missili da, Cuba: tutto per non irritare i suoi partners d'affari in Occidente. Con ogni probabilità alla base del suo repentino ritiro, oltre che la malattia (altri dirigenti del Cremlino aspettano l'ultimo giorno sulla loro poltrona al Politburo), stava anche la sua contrarietà all'inasprimento dei rapporti coll'Occidente e la deludente scoperta di dover chiudere il suo ciclo di 16 anni di presidenza senza assicurare al cittadino sovietico l'aumento dei beni di consumo, a scapito della produzione strategica, che egli dal pulpito del Soviet supremo prometteva regolarmente allo scadere di ogni anno per l'anno seguente. Così si spiega anche il fatto che Aleksej Kossighin rimane una «sfinge» anche nel momento in cui scompare dalla, scena mondiale. Rimane un enigma se sia morto da membro del Politburo a pieni diritti e dignità o da membro emarginato. Infatti, dal sommo orga¬ no non è stato estromesso, il suo nome figura tuttora nell'elenco dei grandi del Cremlino, però dal polittico ufficiale della Piazza Rossa, dove sono raffigurati i membri del Politburo, il suo ritratto era sparito proprio durante gli ultimi festeggiamenti della Rivoluzione d'Ottobre. FraneBarbieri el jI Mosca, 1961. Aleksej Kossighin, Michail Suslov e Nikita Kruscev al Soviet Supremo