La Serenìssima fiaba e impero di Francesco Rosso

La Serenìssima fiaba e impero DUE STORIE DI VENEZIA La Serenìssima fiaba e impero Questa «voglia» di Venezia è un po' come la terzana, che d'improvviso arriva al delirio, oppure si placa in abulica indifferenza. In questo momento siamo alla vertigine, la corsa a Venezia è diventata frenetica, quasi che la sua fragile, luminosa, minacciata bellezza fosse sul punto di sprofondare nell'ormai pantanosa laguna. Andiamoci oggi, perché domani potrebbe non esserci più, sembra la parola d'ordine dei milioni di visitatori. Tra la massa compatta che preme con peso crescente sulle ormai consunte fondamenta su cui poggia il miraggio orientale di Venezia, studiosi e scrittori sono manipolo cospicuo impegnati a spiegarci il «miracolo di Venezia», come da melmosi isolotti abitati da pescatori e ortolani, sia sorta la più potente città del mondo, che combattè, conquistò terre esotiche, commerciò e divenne tanto ricca da trasformare la palude nel giardino incantato di marmi che sembrano lavorati dalle merlettaie buranesi. Dove cercare città paragonabili alla Serenissima; Babilonia. Ninive, Tebe dalle Cento Porte? I confronti non reggono, il Millennio veneziano è un fenomeno che. forse, ha soltanto una corrispondenza con l'impero romano, di cui, in Oriente, fu l'ultima continuatrice. Tutto questo, e ben altro ancora, è stato già scritto in mille e mille volumi, ma c'è chi scova ancora notizie inedite. Tra gli scrittori si distingue Alvise Zorzi il quale soltanto nella passione per la sua città trova forza e pazienza di soffiar la polvere da archivi nazionali, ecclesiastici, notarili, dalle biblioteche delle case patrizie, e pubblicare, a breve distanza, addirittura due massicci volumi densi di storia e dati. Alvise Zorzi pubblicò mesi fa La Repubblica del Leone (ed. Rusconi): erano 760 pagine in cui la storia di Venezia, incominciata con la costruzione su palafitte di capanne col tetto di paglia, si concludeva con le conseguenze dell'apocalittica «acqua alta» del novembre 1966 e i danni irreparabili provocati dalla Zona Industriale. Ma come se non avesse detto proprio tutto in quel ponderoso volume, ecco le 270 pagine di un nuovo libro di grande formato Una città, una Repubblica, un Impero (ed. Mondadori), in cui Zorzi riprende il bandolo iniziale della favola inimitabile di Venezia per scendere in dettagli che correggono molte idee storte. * * Se Venezia, nel 1508. potè reggere alla Lega di Cambrai in cui erano alleati i re di Francia, di Spagna, di Ungheria, il Papato, l'imperatore tedesco, i duchi di Mantova. Ferrara. Urbino e di Savoia, e riuscì a sconfiggerli, doveva possedere inestimabili ricchezze con cui seminare zizzania fra gli alleati, ma anche una forza militare e morale indomabile perché da sola, con non più di centosessantamila abitanti, arrivò a piegare l'Europa prima, eppoi a tagliarsi un vero impero nelle terre che garantivano i commerci con l'Oriente. Quando potè dominare su tutta la sponda orientale dell'Adriatico, poi nel Mar Egeo, infine conquistare Costantinopoli, si può ben affermare che Venezia era diventata la sola erede dell'imperc romano. Tanta forza le derivava innanzitutto dal rigore con cui erano applicate le leggi, severissime per tutti, specie contro bari, stupratori, bestemmiatori. A questi ultimi, se recidivi, gli tagliavano la lingua e la mano destra. Se bestemmiatore era un prete, lo chiudevano in una gabbia di ferro appesa al campanile di San Marco, e lo lasciavano bellamente morire di sete e fame. Con gli stupratori la legge era meno severa: già allora era di moda il «matrimonio riparatore», e se l'evento non accadeva, la ragazza defiorata aveva diritto a una congrua dote. Contro i bari c'era poco da fare, erano una camorra che corrodeva il costume veneziano, la passione del giòco era forte almeno quanto l'amor patrio, ed era naturale che la professione di baro prosperasse. A Venezia si giocava dappertutto: nei ridotti, nei casini da gioco, nelle infinite botteghe del caffè. Nel 1683 ve n'erano ventisei nella sola Piazza San Marco, ove ne sono rimaste tre. Altra piaga di Venezia, dove accorrevano come api al miele pzGdtvvappqqcqsmstovVsnvdSfprDr per la gran ricchezza dei veneziani, erano le prostitute: il Gran Consiglio le fece rinchiudere nel sestiere del Castelletto, un bordello di vastità mai veduta né prima né dopo altrove. Ma les filles de plahir non amavano il chiuso, dilagarono per tutta la città, fino a occupare palazzi patrizi. Il celebre quadro del Carpaccio rivela quale fosse la ricchezza delle cortigiane di Venezia, tra le quali non mancavano le Aspasie che sapevano di lettere e musica, poetavano come Gaspara Stampa, suonavano il liuto come sua sorella Cassandra, o intrattenevano in dotti conversari i loro «clienti» come Veronica Franco. La mollezza dei costumi, lo sfarzo dei gioielli e delle sete, non ammorbidivano però la severità contri certi reati. Nel 1622. Antonio Foscari. di grande famiglia, ambasciatore della Serenissima a Parigi e Londra, fu impiccato sulla Piazzetta perché accusato di spionaggio remunerato con molto denaro. Dopo averlo impiccato, scoprirono ch'era innocente. ★ * Le leggende sui Dogi, sul loro strapotere, nepotismo, ladroneria, sono centinaia: dice Zorzi che la carica di Doge era scarsamente ambita, e chi poteva si tirava indietro tanto era costosa e controllata; anziché arricchirsi, a fare il Doge c'era pericolo di finire in miseria, o morire di esaurimento. Bellissima la pagina dedicata ai funerali dei dogi, un trucco da maschera veneziana. Poiché anche i dogi si decomponevano, come tutti i mortali, i loro corpi venivano tumulati in segreto; poi si celebravano funerali sontuosi con tutti i patrizi, gli ambasciatori, i cardinali, le congregazioni, attorno al catafalco sul quale giaceva un manichino sontuosamente vestito, col volto in cera ricalcato su quello già sepolto. Un macabro carnevale, dal quale i veneziani traevano gran piacere. Alvise Venier. figlio del doge Antonio Venier. fece uno scherzo grossolano a tal Dalle Boccole inchiodandogli un paio di corna alla porta di casa. Fu arrestato, e nonostante l'intervento di tutti i grandi, il padre non gli concesse la libertà provvisoria. E morì in carcere, perché malato, non perché le carceri veneziane, afferma Zorzi. fossero quei luoghi di orrore tanto caro alla letteratura folcloristica. I Piombi? Erano le soffitte del Palazzo Ducale. Carceri con vista su San Giorgio e la Giudecca. Balzac. che le visitò, disse che quelle soffitte, a Parigi, sarebbero state pagate a canoni altissimi. I Piombi sono diventati quello che crediamo per merito di Giacomo Casanova, ma la sua fuga attraverso i tetti del Palazzo Ducale non dev'essere stata poi tanto pericolosa. II volume di Alvise Zorzi racconta la storia della potenza veneziana dalle origini al 1797. quando sulla Laguna arrivò Napoleone, un millennio di potenza e ricchezza accumulata non importa come, trafficando in schiavi ed eunuchi, se era necessario, magari con la guerra di córsa, parente prossima della pirateria, depredando le città conquistate, quindi precedendo le deprecate razzie napoleoniche. Conquistata Costantinopoli, portarono via tesori incredibili, compresa la Quadriga che sormonta la facciata di San Marco. Ma sono proprio queste vicende a generare l'inimitabile fiaba di Venezia. Francesco Rosso