Col cuore di Sindbad il marinaio di Mario Ciriello

Col cuore di Sindbad il marinaio UN VASCELLO RINNOVA L'AVVENTURA DELLE «MILLE E UNA NOTTE» Col cuore di Sindbad il marinaio Cangio-irlandese Tim Severin sta navigando dall'Oman alla Cina, dove getterà l'ancora in luglio - Nel '76-'77 ripercorse, tra l'Irlanda e l'America, il pericoloso viaggio di San Brandano - Ora guida su una rotta leggendaria il «Sonar», piccolo veliero in legno indiano connesso con 700 chilometri di fibra di cocco - Ha 32 uomini di equipaggio - Un importante contributo italiano DI RITORNO DALL'OMAN — Un piccolo vascello scende verso il "lare Arabico meridionale, lungo la costa indiana del Malabar. I monsoni di Nord-Est gonfiano le due larghe vele latine, sibilano nel sartiame. E' cominciata l'avventura del Sohar, un viaggio nella storia, una lunga navigazione in un'antichissima scia. Partita da Muscat o Masqat, capitale dell'Oman, domenica 23 novembre, la nave ha per mèta la Cina, dove dovrebbe gettare l'ancora a metà luglio 1981. Per la nostra epoca non è un'impresa eccezionale: ma il Sohar è un fantasma del passato, rivive dopo un millennio, è una leggenda che vuole divenire realtà. La leggenda è quella di Sindbad il marinaio, uno dei personaggi più vividi di Le mille e una notte. Figura mitica, probabilmente, ma tracciata sulla silhouette o di un Sindbad vero o di quei navigatori arabi in generale, omaniti in particolare, che già allora — tra l'Ottavo e il Nono Secolo dopo Cristo — si spingevano fino al Mar Cinese. Esploravano e commerciavano, sfidando acque ignote e infide con vascelli di molti tipi chiamati collettivamente safina. Di questi piccoli velieri il più noto è quello descritto oggi con il nome dhow, una specie di feluca, di caicco, ma con caratteristiche proprie. E' dunque un dhow (la parola è più inglese che araba, e si pronuncia dau; quello che affronta adesso questo nuovo viaggio dall'Oman alla Cina. Un dhow nuovo di secca, ma copia perfetta di quelli che dal Golfo salpavano verso i mari asiatici mille e più anni fa. Non un chiodo metallico unisce le varie parti dell'imbarcasione, allacciate e congiunte soltanto da chilometri di fibra di cocco. Non un motore agevola la corsa, il Sohar agguanta ì venti, propisi e avversi, si avvale delle antiche ma sempre valide arti della navigasione. Ecco il «Sindbad voyage» Anni 80. Il nuovo Sindbad si chiama Tim Severin, un anglo-irlandese di 39 anni, un giovane Heyerdhal. Per gli amanti del pittoresco, Severin è una delusione. Non ha l'aspetto né di lupo di mare né di esploratore né di scienziato. Eppure, questo distinto e compassato signore, sempre elegante, sempre schivo, ha diritto a tutte tre i titoli. Ha studiato geografia all'Università di Oxford, con successive specialissasioni in atenei e britannici e americani. Ha scritto numerosi libri sulla storia delle esplorasioni. E tra il '76 e il '77 concepì, organizsò e diresse l'ormai famoso «Brendan voyage». Saint Brendan (San Brandano) era un monaco irlandese che, secondo certe leggende e certi documenti, avrebbe raggiunto l'America prima di Colombo e prima ancora dei Vichinghi Come dimostrare che l'impresa era forse avvenuta? Non c'era che un modo, fare come Heyerdhal, sperimentare la teoria. E cosi Severin costruì una replica di un'antica imbarcasione irlandese, una specie di canoa, aperta, il cui fragile scheletro era coperto dalle pelli di 49 buoi. E con questa «barca di cuoio- sfidò il più crudele degli oceani l'Atlantico settentrionale. Gsbnbpssvpf Tutto andò bene fino alla Groenlandia: poi il Nord mostrò la sua grinta brutale. La barca fu aggredita da gelide bufere, assediata dalle balene, danneggiata dagli iceberg: ma Severin e i tre compagni arrivarono alla mèta, sbarcarono in America. Il successo della temeraria avventura stuzzicava lo spirito irrequieto di Severin. Dopo aver emulato Saint Brendan perché non emulare Sindbad? Il progetto era costoso, ma il sultano Qabus dell'Oman se ne entusiasmava e lo finanziava. Dopotutto, l'Oman aveva una lunga e nobile tradizione marinara, era stato la Venezia dell'Oceano Indiano, aveva sconfitto persino il potente Portogallo. Soltanto l'ultima guerra pose fine ai traffici secolari tra l'Oman e le nazioni asiatiche, fino alla Cina. I dhow lasciavano l'Oman carichi di frutta e pesce secco che cedevano lungo la costa indiana, in cambio di spezie. Poi, face- a vano scalo in Sri Lanka (Ceylon) dove acquistavano gemme e piume di pavone. Tutte queste merci, più altre raccolte in altri porti, erano vendute a Canton, donde i dhow tornavano con sete, stagno, gioielli oggetti d'arte. Ancora qualche anno fa, il cacciatore tenace e fortunato poteva trovare, e comprare, in remoti villaggi omaniti, deliziose porcellane cinesi, ora è tutto «patrimonio nazionale». Severin si accinge dunque, nel '79, a costruire un grande dhow, due alberi con vele latine, un fiocco, una prua lunga e arrogante, una poppa altaemaestosa. (Su uno di questi dhow, l'Oman, che fu uno dei primi Paesi a riconoscere l'indipendenza degli Stati Uniti mandò il suo ambasciatore fino a New York). Dev'essere un dhow eguale in ogni particolare ai vascelli arabi più antichi il primo ostacolo è la materia prima, il legno. Severin lo scopre in India, legno di aini, un albero simile a quello che in dravidico era chiamato tekka, che in inglese è teak e in italiano teck. «Gli alberi erano in foreste piene di vipere, ricorda Severin, nessuno voleva seguirmi». Poi il secondo ostacolo: trovare i maestri d'ascia, i carpentieri navali, in grado di costruire secondo le vecchie arti. Ve n'è ancora qualcuno in Oman, ma non bastano: e l'esploratore ha anche bisogno di 32 uomini per «operation coconut», li trova soltanto alle Laccadìve, le isole indiane. L '«operazione noce di cocco» è vitale, perché 700 chilometri circa di corda, ottenuta da fibre di cocco, da oltre 80 mila noci, connetteranno tutte le parti dello scafo, stringeranno e salderanno le tavole di legno e il fasciame. I chiodi fecero la loro comparsa sui dhow arabici soltanto nel Quindicesimo Secolo. Finalmente, la nave prende forma, cresce, si alza austera sulla spiaggia di Sur, 300 chilometri a Sud-Ovest della capitale (Masqat o Moscate o Muscati dove la bellezza della natura si fonde con i ricordi storici. Un tempo, si varavano a Sur centinaia di dhow: oggi si tenta di ridar vita a questo artigianato navale. Il Sohar — perché questo è il nome del vascello, dal nome del presunto luogo natio di Sindbad in Oman — è lungo quasi 30 metri. Sette metri è la sola chiglia foggiata da un unico tronco di al aero. Le preghiere del muezzin Polemica in Francia — registrate su nastro — mitigano la fatica. Si approssima il giorno della partenza, quando il Sohar comincerà il suo viaggio di seimila miglia. Salperà il 23 novembre, alla fine delle celebrazioni per il decimo anniversario dell'accessione al trono del sultano Qabus. E' stato il ministero omanita per il Patrimonio culturale a rendere possibile la realizzazione del progetto di Severin: vi è stato quindi un importante contributo italiano, quello di un torinese. Paolo Costa, che del ministero è da alcuni anni prezioso e dinamico consigliere archeologico. Il ministro, Sayyid Faisal Bin Ali Bin Faisal Al Said, si vale di un italiano, Enrico D'Errico, anche per i restauri dei monumenti La piccola rada di Muscat è un ancoraggio di rara bellezza. L'antica città e il palazzo del sultano si affacciano sulle sue acque che sono però dominate dalla presenza maestosa ma non arcigna dei due forti portoghesi Mirani e Jalah, su promontori opposti Alte pareti rocciose serrano il porto in un abbraccio coreografico. E' il 23 novembre. Una breve cerimonia, un inno, la benedizione di un vecchissimo poeta e di un giovanissimo studente di teologia: e il Sohar punta la prua verso il mare, si porta sulla rotta di Sindbad, desta dal loro lungo sonno i capitoli più avventurosi di Le mille e una notte Con il suo equipaggio di venti uomini — marinai omaniti e studiosi occidentali di ecologia marina e meteorologia — Tim Severin sta avvicinandosi ora alle Isole Laccadive. A metà gennaio, dovrebbe avvicinarsi alle Maldive: poi Sri Lanka, le Isole Andamane, le Nicobare. gli stretti di Malacca. Singapore. Sumatra, Hong Kong. In luglio, se tutto andrà bene, il Sohar risalirà il fiume delle perle e arriverà a Canton. Se tutto andrà bene, perché i rischi non mancano, monsoni troppo violenti o un tifone potrebbero mettere a dura prova lo scafo, potrebbero sgretolarne l'ossatura. Affondano le superpetroliere: possono affondare i dhow alla Sindbad. Tim Severin è munito di un sestante, di una radio, di carte nautiche, ma cercherà di non servirserne, di vagliare invece le vetuste arti dei grandi navigatori arabi i mu'ellim. Si lascerà guidare dalle stelle e da strumenti primitivi come un quadratino di legno con un filo e tanti nodi die. a quanto pare, bastava un tempo a indicare la latitudine approssimativa. A un osservatore scettico può sembrare una missione inutile. Ma nulla è vano quando l'uomo si riaccosta alla natura e alla storia, quando tende la mano attraverso i secoli quando trasforma i miti in realtà viventi Mario Ciriello M O Il i Ti Si l dll dl Sh Il li ll l l'bl i Museat (Oman). Il navigatore Tim Severin accanto al modello del «Sohar». Il veliero porta sulle vele l'emblema omanita