Duello sul volto nuovo della città

Duello sul volto nuovo della città MODERNO 0 POST-MODERNO? RISPONDONO I GRANDI ARCHITETTI Duello sul volto nuovo della città Quali edifici costruire in futuro? - Bruno Zevi difende «l'architettura autenticamente moderna, che risponda alle esigenze dell'uomo. Altro che imitazioni di facciate palladiane» - Paolo Portoghesi dice che «il moderno ha imbrogliato tutti: con la scusa della tecnica trascurava la forma» - E rivendica la libertà di seguire i gusti della gente e di disegnare il falso antico DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ROMA — «Movimento post-moderno in architettura? Alla Biennale di Venezia si è coperto di ridicolo. I postmoderni hanno una visione nichilista, sono degli irresponsabili. Vogliono fare dell'eclettismo ottocentesco, pescare a caso nei secoli. Ma tornare indietro è impossibile. Soltanto le dittature hanno imposto i ritorni al passato nell'architettura come nelle arti». // giudizio è di Bruno Zevi. perentorio come sempre. Apostolo dell'architettura organica (che portò in Italia, con l'associazione Apao, quando Frank Lloyd Wright era da noi quasi sconosciuto), fedele alla concezione più rigorosa del moderno (altrettanto fedele all'immancabile cravatta a farfalla) Zevi non concede nulla al movimento die Paolo Portoghesi ha portato alla ribalta con la mostra dì facciate posticce alla Biennale. «Il post-moderno nasce vecchio in Italia. Il suo capofila. Charles Jencks. pubblica ora un libro che lo supera». Cerca negli scaffali dello studio straripante di libri e riviste che gli arrivano da tutto il mondo, afferra al volo Late modem architecture e subito dopo distende sul tavolo l'ultimo numero deHArchitectural re vie w: ..Siamo al post-industriali¬ smo, a una architettura che risponda alle esigenze dell'uomo, altro che imitazioni di facciate palladiane». Dallo studio di via Nomentana passo all'abitazione di Paolo Portoghesi stipata di mobili e oggetti Liberty. Le finestre aperte sullo scenario più classico del centro storico, visto da Trinità dei Monti. «A Venezia avevamo messo l'accento sulle facciate col fine di una provocazione culturale. Se dovessimo passare alla progettazione reale avremmo la preoccupazione dell'intero organismo non delle sole facciate. Però diciamo ben chiaro che il moderno aveva imbrogliato tutti: con la scusa dei contenuti e della tecnica passava sopra la forma, trascurando le facciate, che sono elementi fondamentali della città». Cos'è dunque il post-modem? Una ventata iconoclasta, una ribellione alle geometrie e alla monotonia del moderno con i suoi edifici a scatola e i suoi grattacieli tutti vetri? Una moda culturale? Bruno Zevi non è il solo a esprìmere giudizi durissimi. Dico a Portoghesi: «Si ha il sospetto che vogliate imporre una nuova moda innescando una pericolosa tendenza all'evasione, alla bizzarria. Il capofila del post-modern, .lencks. aveva inventato le case-faccia e riscoperto Gaudi. PhUip Johnson costruisce nel centro di Houston i grattacieli con la sommità tronca: angoli del tutto gratuiti come gli archi della facciata neoclassica disegnata per il palazzo American Telephone a New York. Charles Moore crea la Piazza d'Italia a New Orleans con imitazione di un anfiteatro romano, archi e colonne e fontane. Dopo aver subito la cementificazione del bel paese su disegni di architetti che guardavano ai modelli del movimento moderno, dovremmo ora essere sommersi da capricci palladiani, imitazioni barocche e cosi via?». Portogliesi perde la calma per pochi attimi («A New Orleans la gente è felice della Piazza d'Italia che i puristi dicono orrenda») poi ritorna al più olimpico distacco dalle polemiche: ..Ripeto che non siamo soltanto per le facciate. Aggiungo che non tutte le facciate proposte dai post-moderni sono belle. Però mi sembra evidente che certe imitazioni del passato sono più vivibili e piacciano più del moderno. Gli architetti avevano divorziato dalla società, pur insistendo tanto sull'impegno sociale e politico. Non tenevano più conto delle aspirazioni della gente, della natura e dei luoghi in cui si costruiva, del gusto comune che veniva automaticamente definito cattivo. Io credo che noi architetti dobbiamo seguire il gusto della gente, anche quando può sembrare banale». Port Grìmaud, la falsa Venezia costruita a due passi da Saint-Tropez, tutta canali e ponti, le case affacciate sull'acqua con l'ormeggio dello yacht davanti alla porta, è per Portoghesi un modello positivo. ..La gente ci sta benone, ai turisti piace moltissimo». Dal complesso turistico-portuale alla grande città il discorso di Portoghesi non cambia: ..Secondo i moderni il passato doveva soltanto suggerire il nuovo. Le Corbusier cercava nel passato, ma nel suo disegno non se ne trova traccia. Io. al contrario, mi sento libero di ispirarmi anche nella forma a una vecchia casa di Roma. Rivendichiamo il diritto a imitare ». A questo punto è indispensabile un salto all'indietro: dagli anni della ricostruzione post-bellica ai nostri giorni abbiamo costruito 8 milioni di alloggi prevalentemente in case a molti piani progettate da architetti che hanno reso uniforme l'aspetto delle città e del territorio nazionale. Dal Brennero ad Agrigento, l'Italia è stata coperta da una valanga di scatole e scatoloni in cemento armato che ripetono nelle loro forme, quasi sempre in modo approssUnato e rozzo, i modelli dell'architettura razionalista comparsa in Italia negli Anni Trenta. Innumerevoli caseggiati in condominio costruiti dopo il 1950 fanno venire in mente Giuseppe Terragni in edizione dozzinale. Coperture a terrazza, facciate geometriche a volte con aggiunta di rivesti- menti e balconate, generano monotonia e insoddisfazione, lasciando una impronta che durerà secoli. I crìtici e gli esperti estraggono dalla marea anonima le sperimentazioni della Triennale di Milano (il quartiere Q.T. 8 realizzato tra il 1947 e il 1950) alcuni quartieri Inacasa come il Tiburtino III che ebbe tra i progettisti Carlo Aymonino, lo stabilimento Olivetti di Pozzuoli disegnato da Luigi Cosenza, la Torre Velasca del gruppo Bbpr (Belgioioso. Banfi, Peressutti, Rogers). il Grattacielo Pirelli di Giò Ponti per citare qualche esempio. Ma alcuni «pezzi- individuali, a loro volta discussi e spesso inseriti in operazioni di violenza alla città (vedi la Torre Velasca a Milano) possono salvare l'architettura moderna dal giudizio di fallimento, oggi ripetuto in Italia come in tutta Europa e negli Stati Uniti? Tale fallimento non giustifica almeno in parte la spinta del post-moderno per ia liberazione dall'appiattimento, dalla pretesa di razionalizzare e uniformare dimenticando tradizioni e materiali locali, aspirazioni e bisogni di chi deve abitare le case disegnate dagli architetti? Non è forse vero quel che afferma Portoghesi: «L'alta cultura si muove soltanto per i grandi concorsi. L'edilizia di massa non interessa i chierici»? Bruno Zevi dice: «Distinguiamo anzitutto la produzione pseudo-moderna, quella dell'edilizia commerciale e speculativa dall'architettura autenticamente moderna. Questa è in nettissima minoranza e ha avuto i suoi fallimenti ma anche i suoi successi». E' però evidente, se il pseudo-moderno domina al 90 per cento, che la lezione dei grandi maestri non ha dato i frutti sperati. Zevi stesso rimprovera a quei maestri (da Le Corbusier a Gropius. Aalto, Mies Van Der Rohe. Wright) di essersi isolati nei loro studi e di aver lasciato pezzi da antologia, non una grammatica né una sintassi per l'architettura moderna. Cile fare dunque per i milioni di metri cubi da costruire in futuro? Rinvigorire il movimento moderno e dargli il codice di un linguaggio chiaro e trasmissibile, come propone Zevi? Archiviarlo e progettare sentendo la gente, svincolando l'architettura da ogni dogma, conquistando anche la libertà di disegnare il falso antico, come propone Portoghesi? Bisognerà sentire altre voci. Mario Fazio