Grande Falstaff nella Bassa Padana di Strehler di Massimo Mila

Grande Falstaff nella Bassa Padana di Strehler L'ultimo capolavoro verdiano, assente da anni, ha inaugurato la stagione della Scala Grande Falstaff nella Bassa Padana di Strehler Il giovane spagnolo Juan Pons, un protagonista degno di Mariano Stabile - Mirella Freni all'altezza della sua fama nell'opera diretta da Lorin Maazel DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — La stagione della Scala è partita bene, con la ripresa dell'ultimo capolavoro verdiano, che mancava da parecchi anni, un po' per la difficoltà di trovare un protagonista, forse anche un po' per certa dissennata tendenza della critica recente a svalutarlo. L'esecuzione, affidata alle cure di illustri interpreti come Lorin Maazel per la parte musicale e Giorgio Strehler per la regia, è riuscita, anche se non perfetta al cento per cento, tale da render giustizia all'opera, si che (ed è questa la prova del fuoco) anche i novellini, anche la generazione cresciuta negli ultimi tredici anni, che non avesse ancora avuto conoscenza dell'opera, poteva farsene un'idea esauriente. L'esecuzione musicale, prima di tutto. Lorin Maazel è un direttore che è passato attraverso molte tempeste della musica moderna (aveva tenuto a battesimo V Ulisse di Dallapiccola, con piena soddisfazione dell'autore) e dà un'interpretazione dell'opera sentita, per cosi dire, dal poi, dal l'oggi, senza nessuna indulgenza storicistica a riportarla nel clima del suo tempo. Se è abbastanza facile rilevare l'espressionismo verdiano in Otello, potrebbe sembrare più problematico attribuirlo alla misura ironica e comica del Falstaff. Maazel ci prova, e sottopo ne il venerabile spartito a violenze, scoppi, esplosioni quasi berghiani. Il venerabile spartito li sopporta benissimo, dando prova di quanto fosse in anticipo sui suoi tempi, nonostante i soliti mugugni di Verdi sulla necessità di ritornare all'antico, e di quanto contenga di nuovo, di «moderno» nel senso più preciso, e odierno, della parola. Forse questa presenza cosi infuocata e scatenata dell'orchestra la sopportano un po' meno alcune delle voci che, reclutate per metà all'estero, in parte arrecano una benefica iniezione di energie nuove, in parte non sembrano proprio insostituibili da elementi nostrani. Certo, la più importante e lieta novità, è che si è finalmente trovato un Falstaff. Non un baritono che. essendo bravo, può anche all'occorrenza cantare Falstaff, ma un Falstaff per definizione e quasi in esclusiva. Lo spagnolo Juan Pons si dev'essere imbottito dei dischi disponibili delle interpretazioni di Stabile e quasi ne crea l'illusione fonica. Qualche volta, pur essendo giovane e di buona, fresca voce, riesce a rifarne perfino quel tono squarciato, arrangolato, che il grande Mariano aveva accentuato con gli anni, facendosene uno strumento di caratterizzazione del personaggio. Certo, non si può tacere che Juan Pons ha avuto una peri- colosa crisi d'intonazione durante il secondo atto, nella scena della seduzione ad Alice. Forse sarà stato turbato dalla «pompa del suo sen» (si trattava di quello di Mirella Freni), e in tal caso la sbandata è, se non scusabile, comprensibile. Mirella Freni, principale fra gli interpreti italiani, è stata all'altezza della sua fama: un punto di forza, specialmente nei rischiosi concertati, dove tutto non è ancora perfettamente a posto. La Nannetta di Patricia Wise si fa ammirare non solo per l'incantevole grazia della figura, e il tenore Peter Kelen non riesce proprio a portarsi sulla sua linea di rendimento vocale. La Quickly di Jocelyne Taillon è accettabile, ma certo in Italia ne abbiamo avute, e ne abbiamo, di molto superiori. Tra gli interpreti emerge specialmente il Ford del baritono Bernd Weikl, e anche il poderoso Pistola di Luigi Roni. Su un livello normale di brillantezza la Meg di Kathleen Kuhlmann; un po' scarsi gli altri tenori, Sergio Tedesco e Piero De Palma, del resto vecchie volpi espertissime. Nell'ultimo atto collaborano egregiamente il coro, diretto da Romano Gandolfi, e la scuola di ballo coi suoi allievi diretti da Annamaria Prina, su movimenti ritmici ideati da Marise Flach. E la regia di Strehler? La regia di Strehler è pari alla fama dell'illustre uomo di teatro. Si concentra soprattutto, oltre che sui movimenti d'insieme (il gioioso rovesciamento di Falstaff nel canale, con un maiuscolo spruzzo d'acqua, che rimonta sul terrazzo), sul protagonista e sulla coppia dei giovani innamorati. A Falstaff viene prescritto un atteggiamento di calma superba e maestosa che si attaglia molto bene a certa sapida concisione della parte vocale. Ai furtivi amoreggiamenti di Fenton e Nannetta viene conferita una freschezza, una carica di simpatia a cui contribuiscono anche molto la giovane età e il fisico dei due attori. Certo, anche un genio del teatro come Strehler soggiace un poco alla tentazione di dare «un Falstaff diverso», e questa si manifesta nelle scena di Ezio Frigerio, che si propongono di suggerire un «ambiente padano», in un patetico tentativo di recuperare anche l'ultimo Verdi a quella piccola patria del melodramma da cui era volato tanto lontano. Sicché l'interno della taverna della Giarrettiera è una cantina piena di grosse botti (si suppone, di Lambrusco) e il giardino della casa di Alice è un'aia rurale, con un carro di paglia sotto un porticato, e nello sfondo una cascina da film di Bertolucci. Dal carro di paglia la regia di Strehler trae pretesti graziosissimi per le «limonate» di Fenton e Nannetta (ma a pat¬ to di disporre d'un attore di agilità acrobatica come il tenorre Kelen). Ma l'idea di declassare un poco i personaggi portandoli a livello contadino. è oziosa. Sappiamo benissimo che Windsor non era, e non è, una metropoli; ma non è nemmeno un paesone rurale come Casalborgone o Pocapaglia, e che i personaggi appartengano alla borghesia appare chiaro da tutta la vicenda. Se qualcuno non lo capisse, è stabilito ben chiaro da Falstaff: «Quell'uomo è un gran borghese-, dice di Ford nel primo atto. In particolare la mascherata dell'ultima scena, con la leggenda del Cavaliere nero e la gran quercia di Herne, con la bassa padana non c'entra proprio, anche se regista e scenografo traggono buon partito da un gran nebbione, tipo quello di Amarcord. Esito lietissimo: la commozione per il capolavoro ritrovato, e riscattato dei deliri di certa critica alla moda, è stata toccante, specialmente nei primi due atti (il terzo è notoriamente un po' inferiore) e tutti gli artisti sono stati festosamente applauditi, da ultimo comparendo alla ribalta anche Strehler, fra i cantanti, il direttore d'orchestra e quello del coro. Massimo Mila Juan Pons, Falstaff rivelazione, con la Freni alla Scala Jocelyne Taillon, Mirella Freni e Kathleen Kuhlmann in una scena del «Falstaff» alla Scala

Luoghi citati: Casalborgone, Italia, Milano, Pocapaglia