I capi vogliono occupare la fortezza dei managers di Clemente Granata

I capi vogliono occupare la fortezza dei managers Traguardo vagheggiato, ma ancora lontano I capi vogliono occupare la fortezza dei managers La categoria unica di capi e dirigenti (i «quadri») è ben radicata in molti Paesi europei - Alla Solvay di Rosignano si vive all'ombra di questo modello con l'Afsi (l'associazione dei funzionari) DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ROSIGNANO SOLVAY — In polemica talora ringhiosa sulle strategie da adottare per ottenere la rivalutazione del proprio ruolo, frazionati in movimenti d'opinione, associazioni professionali, minisindacati, che conducono spesso una vita grama in condizioni di « semiclandestinità», i «colletti bianchi» in rivolta si ritrovano uniti intorno all'obiettivo finale da raggiungere: la qualifica di dirigente. Benché inflazionata e annacquata, essa conserva un suo fascino discreto. Traguardo vagheggiato nell'ultimo decennio, ma sempre lontano. Tanto più lontano, anzi, quanto più nello stesso periodo diventava sensibile il processo opposto: la continua discesa, l'appiattimento dei «colletti bianchi» nell'ambito del più generale fenomeno della proletarizzazione del ceto medio. Chimera dunque l'ingresso nella categoria dirigenziale? I capi intermedi delle fabbriche sono convinti di no. Sostengono che la prova di vitalità è di combattività fornita in questo periodo dopo tante umiliazioni, gli empiti d'orgoglio che si registrano in ogni angolo d'Italia costituiscono le valide premesse del successo finale. Ma c'è di più. La categorìa unica che comprende manager e capi, la categoria dei «cadres», dei «quadri», è una realtà ben radicata in molti Paesi europei. Secondo gl'interessati non c'è che da seguire un percorso già tracciato e sperimentato. Il modello europeo, cui si ispirano i colletti bianchi italiani, semplifica in modo notevole la gerarchia aziendale prevista dalla nostra legge, elimina distinzioni che, a detta di alcuni direttori del personale, sono «autentiche iatture». Ma è un processo di semplificazione che, a differenza di quello registratosi negli ultimi anni in Italia, non umilia il «capo», ma gli fornisce continui incentivi. A Rosignano, lungo il litorale livornese, negli stabilimenti della Solvay (tremila operai, centoventi manager e capi), l'Europa è molto vicina. L'azienda, che opera in Toscana dal 1912 e produce bicarbonati, acqua ossigenata e polietilene, è belga. E in Belgio, come in Germania, come soprattutto in Francia, la gerarchia dell'impresa è fondata esclusivamente sulla funzione che il dipendente svolge. Se la funzione ha natura direttiva, egli è un dirigente a tutti gli effetti, o meglio, secondo l'esatta denominazione tecnica, un «quadro». Solido, potente gruppo quello dei «cadres» d'Oltralpe (quasi una consorteria, secondo alcuni). Butta sul piatto della bilancia efficienza, forza, prestigio ed è capace di condizionare la politica governativa. In Francia forse presenterà un proprio candidato alle prossime elezioni presidenziali. Costui non avrà alcuna possibilità di successo, è chiaro, ma potrà svolgere un'azione di disturbo. A Rosignano dunque si vive all'ombra di un così autorevole modello. Pensare che esso si sia compiutamente realizzato in Toscana è un errore. Se è vero che, di fatto, l'azienda non annette molta importanza alla distinzione tra manager e capi, è altrettanto vero che dal punto di vista sindacale e normativo le differenze, sconosciute in Belgio, da noi rimangono. Cionono¬ stante il contatto con l'esperienza europea non rimane senza conseguenze. Innanzi tutto il vertice dell'azienda sceglie i dirigenti tra i quadri intermedi ed è questo un fenomeno di mobilità verticale, che forse non ha riscontro nel panorama delle altre imprese italiane. In altre parole il «capo» ha maggiori possibilità di fare una carriera più che soddisfacente. In secondo luogo a Rosignano c'è forse l'unico gruppo professionale italiano, che comprende dirigenti e capi. Si chiama Afsi, Associazione funzionari della Solvay italiana. Di recente ha stretto un patto d'alleanza con l'Unionquadri di Roma («movimento» dei colletti bianchi delle aziende pubbliche), che con particolare determinazione vuole giungere a un sindacato misto di cui dovranno far parte manager e 1' « élite » dei capi. Ma l'aspetto più rilevante è dato dal fatto che proprio in provincia di Livorno troviamo i dirigenti più disponibili ad accogliere le istanze dei «quadri». E' significativo ciò che afferma l'ingegner Giorgio Zaza: «Per noi i "quadri" potrebbero entrare benissimo nella confederazione che raggruppa il sindacato dei dirigenti, la Cida*. Diciamo a Zaza che il suo discorso presenta molte novità nei confronti delle affermazioni di altri dirigenti poco propensi ad accogliere i capi nelle loro file ed egli risponde: «JVora sappiamo se noi di Livorno siamo una minoranza o no, anche perché la Cida non ha mai promosso indagini conoscitive di questo tipo. Noi facciamo un discorso molto realistico. I dirigenti hanno perso parecchio in questi anni: prestigio, soldi, professionalità. Il recupero è impensabile, ma la difesa della professionalità è ancora possibile. Se ci alleiamo con i "capi", scendiamo di un gradino in fatto di "status", ma acquistiamo una forza contrattuale superiore perché siamo di più e, piaccia o no, quello che conta oggi è il numero*. Sicché la difesa della professionalità può diventare il naturale terreno d'incontro tra dirigenti e fascia intermedia dell'azienda. L'esigenza che sottolinea l'ing. Zaza, ci viene ripetuta quasi con le stesse parole da un gruppo di capì della «Solvay»; Mario Lippi, presidente dell'Afsi, Enrico Bobbio, Gianfranco Lazzari, Mario Bertini, Angelo Esposito e Adriano Pasquinetti. Delusi dal comportamento dei sindacati confederali, furibondi addirittura contro Camiti, che chiamò i quadri un 'Concentrato di reazione-, sollecitati dal modello europeo, sono i più attivi a porre sul tappeto la questione dell'alleanza con i dirigenti e della riforma della legge (il famoso articolo 2095), che considera i capi semplici impiegati. A chi è scettico oppongono oltre le consolidate esperienze d'Oltralpe gli stessi esempi che fornisce la realtà italiana. Nel settore del commercio, per esempio, il «patto sacro» tra dirigenti e capi è già stato stipulato. Perché non dovrebbe essere possibile anche nell'industria? Clemente Granata

Persone citate: Adriano Pasquinetti, Angelo Esposito, Enrico Bobbio, Gianfranco Lazzari, Giorgio Zaza, Mario Bertini, Mario Lippi, Zaza