Uccide i genitori, il fratellino e porta i cadaveri in un canneto di Giuseppe Zaccaria

Uccide i genitori, il fratellino e porta i cadaveri in un canneto Orrendo triplice delitto di un diciassettenne a Roma Uccide i genitori, il fratellino e porta i cadaveri in un canneto «L'ho fatto, ha detto, perché i miei litigavano sempre. Volevo uccidermi anch'io, ma mi è mancato il coraggio» - La strage venerdì sera - Nei giorni seguenti il giovane ha continuato la vita di sempre frequentando l'oratorio dove si distingueva per la sua attività ROMA — Alberto Fatuzzo, 17 anni, ragazzo serio, credente, attaccatissimo ai genitori e al fratellino di 11 anni: venerdì scorso, in casa, li ha uccisi tutti e tre a colpi di fucile. Poi ha tenuto nascosti i cadaveri, ha atteso ogni volta la notte per portarli via uno ad uno, caricandoli sull'auto del padre, ripulendo le scale da ogni traccia, gettando i resti fra i canneti che circondano il cinodromo, sul greto del Tevere, a due passi dalla periferia pretenziosa di Viale Marconi. L'hanno scoperto l'altra notte, per caso, quando si era appena disfatto dell'ultimo cencatcdh«nmanrmscs corpo, quello del fratellino: era ancora sull'auto, i carabinieri l'hanno fermato per un controllo, gli hanno visto gli abiti, le mani ancora imbrattati di sangue. Prima ha detto che era stato il padre a uccidere e poi a suicidarsi, infine ha confessato, tranquillo: «Litigavano in continuazione, non ne potevo più. Neanche mio fratello poteva più vivere: a quel punto, era un testimone...*. Due amici, che sono riusciti a vederlo nella caserma, dicono che si sono visti salutare con il solito sorriso. Forse, con la strage di Vercelli, questo è il delitto più sconvolgente degli ultimi an¬ ni, quasi una storia tratta di peso da un racconto dell'orrore: certamente è il delitto più incomprensibile. -Il gesto di Alberto, noi non lo riconosciamo*, dicono ancora adesso i suoi amici, quelli che con lui dividevano i pomeriggi alla parrocchia di San Leone Magno. -Il nostro rapporto con lui non è cambiato*. Neanche il giudice, neanche i carabinieri hanno saputo trovare finora una motivazione convincente, una spiegazione che possa andare al di là del solito, evidente, scontato «momento di follia». In questa storia il dato più sconvolgente sembra consistere proprio nella normalità, nell'assoluta normalità di tutti i protagonisti. Il padre, Salvatore Fatuzzo, 53 anni: un geometra di origine siciliana, da anni dipendente della ditta «Armellini». Persona chiusa, dicono i vicini, poco incline alle confidenze, riservato ma cortese. La madre, Giuseppina Cristiani, 48 anni: donna sfiorita, tutte le domeniche a messa alla parrocchia di San Leone. Da qualche tempo aveva ripreso il lavoro di fisioterapista, interrotto qualche anno prima per la nascita del secondo figlio. Il secondogenito si chiamava Paolo, avrebbe compiuto fra poco undici anni: se lo ricordano come un ragazzino timido, minuto, sempre appiccicato al fratello maggiore, il suo idolo. 'Anche Alberto voleva molto bene al fratellino — raccontano ancora gli amici —. Spesso lo portava con sé, gli stava vicino, quando non c'era ne parlava con tenerezza*. Ma il clima in famiglia? •Normale, niente di strano, almeno che risultasse a noi*. raccontano i vicini: ma già qualcuno, forse anche sulla spinta dell'accaduto, mormora che da quella casa, un appartamento dignitoso al terzo piano di via del Pigneto, zona Prenestino, arrivavano spesso delle grida, che qualche volta la signora Fatuzzo aveva mostrato segni di percosse. Al magistrato, il ragazzo ha detto che da tempo, soprattutto da quando sua madre aveva ripreso il lavoro, le liti in casa si erano fatte quotidiane, sempre più violente, insopportabili. 'Anche mio fratello non ne poteva più, anche lui diceva che bisognava farla finita. Venerdì sera, quando hanno ricominciato a urlare, sono andato nella stanza di mio padre, ho preso il fucile e ho sparato, da pochi centimetri, ai miei genitori che erano a letto. Un colpo ciascuno. Poi ho sparato un terzo colpo a mio padre, che era ancora vivo. Alla fine sono andato nella stanza di mio fratello, che aveva cominciato a urlare, e ho ucciso anche lui*. Questa versione si scontra coi dettagli. Il padre di Alberto era un cacciatore, in casa aveva due fucili: ma li teneva smontati, riposti accuratamente in custodie di cartone. Le armi (il «calibro 12» che ha sparato è un automatico) sono state ritrovate esattamente così. E questo non significa solo che le armi sono state riposte, con calma, dopo la strage, ma anche che prima erano state prese, tolte dalle custodie, rimontate con attenzione. L'idea di una reazione improvvisa a un ennesino stress psicologico, sembra molto lontana. Quali che siano stati i tempi della tragedia, Alberto Fatuzzo, dopo, si è dimostrato calmissimo. Il palazzo è raccolto, trenta famiglie, quattro per piano: eppure, nessuno si è preoccupato per gli spari, nessuno ha pensato di andare a vedere. Qualcuno è uscito sui pianerottoli, ma nel palazzo non si sentiva più nulla: tutti sono tornati in casa, a guardare la televisione. E neanche nei giorni successivi qualcuno si è insospettito per quelle macchie rosse che si vedevano chiaramente sul muro, al secondo piano, e sul metallo del portone d'ingresso. «Mio padre — dice il figlio di un impiegato di ministero — disse sabato di aver visto delle gocce di sangue sulle scale, ma qualche ora dopo non c'erano più*. Ogni notte, rientrando, Alberto Fatuzzo puliva l'androne con uno straccio bagnato. A una vicina che, domenica mattina, era andata a bussare all'appartamento per chiedere della madre e andare a messa con lei, il ragazzo aveva risposto: *I miei sono partiti per la Sicilia*. E nessuno si era insospettito vedendo che l'auto di famiglia, una vecchia «Citroen Gs», era rimasta ferma li sotto. 'Papà e mamma sono usciti sabato sera per mangiare una pizza, e da allora non li ho più visti*. aveva detto Alberto con l'aria preoccupata a una zia che, sabato, era andata a chiedere notizie. E con lei era andato dai carabinieri a segnalare la lunga assenza. Domenica mattina, tornando fra i suoi amici della parrocchia (gli stessi con cui si impegnava negli aiuti agli anziani, e che in questi giorni affiancava nella raccolta di danaro per i terremotati), si era presentato tranquillo, come sempre. Solo, non era andato a messa. Nessuno si era insospettito: e tutti, adesso, continuano a chiedersi come è potuto accadere che un ragazzo cosi tranquillo, serio, impegnato, cosi normale, abbia potuto maturare un delitto cosi orrendo. Giuseppe Zaccaria Roma. Alberto Fatuzzo, l'assassino di 17 anni, è trasferito al carcere minorile (Telefoto Ansa)

Persone citate: Alberto Fatuzzo, Fatuzzo, Giuseppina Cristiani, Leone Magno, Salvatore Fatuzzo

Luoghi citati: Roma, Sicilia, Vercelli