Piccoli non esclude il pci nel governo delle giunte di Luca Giurato

Piccoli non esclude il pci nel governo delle giunte Sorprendente svolta al Consiglio nazionale della de Piccoli non esclude il pci nel governo delle giunte In casi eccezionali e dopo il parere favorevole della direzione - Il segretario ha chiesto l'abolizione delle correnti e il rilancio morale del partilo - Sulle sue iniziative d'accordo anche le sinistre; incerti Donat-Cattin e il gruppo di Proposta ROMA — Con due novità clamorose e una conferma fondamentale, Piccoli ha riur nito e rilanciato la de proprio quando il partito sembrava ormai travolto da contrasti interni, implacabili attacchi esterni, accuse a volte giuste e a volte strumentali per scandali, intrighi, errori vecchi e nuovi. Sembrava, quello che ha avuto inizio ieri all'Eur, un «consiglio nazionale» di routine, destinato al massimo a congelare una situazione precaria ed interlocutoria, carica di malumori e di incertezze diffuse. Con una relazione a sorpresa, Piccoli lo ha invece trasformato in un avvenimento che ha assunto il valore di un congresso e che segna, per prima cosa, la «morte politica» del preambolo e lo scioglimento dei fronti usciti vincitori e sconfitti dall'ultima assise nazionale. La prima delle due novità clamorose è la seguente: in casi eccezionali, dopo il parere favorevole della direzione, la de potrà formare giunte locali (regionali, comunali, provinciali) con il pei. E' una novità storica, sia pure tra molti limiti e sottili cautele. Mai un segretario politico della de aveva detto una cosa simile in una relazione ufficiale davanti al «parlamentino» del partito! L'apertura, in casi eccezionali, al pei nelle giunte, era stata chiesta dalle sinistre di Zaccagnini ed Andreotti come condizione essenziale per una intesa con la segreteria. Piccoli l'ha accettata e con il segretario, quasi tutto il partito. Bisaglia, forse, l'ha subita. Donat-Cattin e i maggiori esponenti di «Proposta» (Segni, Mazzotta) sono gli unici che, per ora, si oppongono; rimarranno isolati all'opposizione o il dibattito in corso al Consiglio nazionale aprirà anche per questi gruppi la strada di un onorevole compromesso? La seconda novità clamorosa è questa: Piccoli ha fatto, nella relazione, ampie e dettagliate aperture alle richieste che erano al centro della «rivolta morale» portata avanti da 130 deputati e 40-50 senatori di ogni corrente. Ha proposto al Consiglio nazionale di azzerare tutti gli incarichi del partito, di rimescolare le carte e di arrivare alla grande «assemblea nazionale» di primavera con una «catarsi personale e politica-, per usare parole di Gerardo Bianco: via le correnti, rigorosa applicazione delle norme che riguardano le incompatibilità, massima severità e ampie revisioni nel tesseramento, istituzione di un «comitato di saggi» «che esamini immediatamente l'insorgenza di un sospetto nei confronti di un nostro uomo politico si che si possa difenderlo, nel caso di accertata innocenza, o prendere provvedimenti in caso di provata colpa*. A queste scelte, si lega a filo doppio anche la risposta de all'.emergenza morale». A leader e peones della «rivolta morale». Piccoli, ha risposto che il rinnovamento non è essenziale, è vitale. Senza però fare di ogni erba un fascio: «I colpevoli vanno perseguiti: dobbiamo essere inflessibili e impietosi con i disonesti, ma gli innocenti, gli onesti — cioè la stragrande maggioranza della classe politica — vanno garantiti e difesi*. In altre parole: si facciano nomi e cognomi, ma si tirino fuori anche prove documentate e sicure: dimissioni, dunque, solo allora. La conferma fondamentale (gradita a tutto il partito, ma ritenuta essenziale dai leaders dell'ex maggioranza del Preambolo) è, per dirla con le parole del documento con il quale fanfaniani, colombiani e rumoriani hanno approvato il discorso di Piccoli, «il consolidamento dei rapporti di alleanza tra la de, il psi, il psdi. il pri, assicurando conseguente e fermo sostegno al governo Forlani*. Per Flaminio Piccoli e per quasi tutta la de. le caute, limitate aperture al pei possono anche andar bene in certe giunte ma, sicuramente, non a Roma. A Berlinguer che insiste, nell'intervista che compare oggi su «l'Unità», sul Luca Giurato (Continua a pagina 2 In quarta colonna)

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