Tuona Foscari, gran vecchio verdiano di Massimo Mila

Tuona Foscari, gran vecchio verdiano INAUGURATA ALL'OPERA DI ROMA LA STAGIONE LIRICA DEL CENTENARIO Tuona Foscari, gran vecchio verdiano DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE ROMA — Con la sesta opera di Verdi ha iniziato la stagione il Teatro dell'Opera, che la settimana scorsa aveva commemorato il centesimo anniversario della sua fondazione, quale Teatro Costanzi. con un patetico concerto di vecchie glorie della lirica, frammiste ad alcuni valori del presente, tutti modestamente accompagnati da un pianoforte. Da lontano, sembra che dovesse essere qualche cosa tra il Concerto Martini e Rossi, e la tampa lirica, ma qui tutti dicono che è riuscito lieto e commovente. Fra le opere minori del giovane Verdi, anche / due Foscari sta godendo il suo quarto d'ora di nuova fortuna, un po' appannata dal fatto che non è un'opera selvaggia, tirata via alla brava in cerca dell'effetto e del successo facile, ma anzi nacque con prelese di accuratezza e di studio. Giustissimo riprenderla a Roma, città per la quale fu scritta, sebbene Verdi deside¬ rasse ovviamente destinarla a Venezia, e fu la prima sua sortita fuori dalle piazze del Lombardo-Veneto. Forse si può obiettare qualcosa alla scelta di quest'opera per l'inaugurazione d'una stagione, considerando il suo carattere lugubre e soprattutto la monotonia del soggetto, dedotto da un dramma di Byron. Di questa monotonia Verdi era perfettamente consapevole e ne trasse utile lezione per l'avvenire. Si rese conto, per esempio, che non si può cominciare un'opera con tre arie di sortita consecutive, dove i personaggi principali vengono in scena a turno, a farsi conoscere, cantano una cavatina e una cabaletta, poi se ne vanno per lasciar posto al successivo. Ma c'è in quest'opera un serbatoio dei grandi temi verdiani futuri: la solitudine del potente in trono, il contrasto tra il potere e gli affetti familiari, il rapporto tra padre e figlio. Giganteggia perciò il vecchio Foscari. costretto dalle trame politiche a I condannare all'esilio il figlio innocente, e poi spogliato brutalmente della carica dogale. La figura ha ricevuto fortissimo rilievo dall'interpretazione di Renato Bruson, giovane artista in panni di canuto vegliardo, laddove il non più giovanissimo ma sempre valido tenore Bergonzi impersona Foscari figlio. Questo gioco incrociato delle età è riuscito benissimo, con un Bruson veramente superbo, e fatto segno ad interminabili acclamazioni dopo l'emergente aria del terzo atto. ^Questa è dunque l'iniqua mercede», e con un Bergonzi che in quest'opera si trova a casa sua. come sa chi abbia avuto la fortuna d'alloggiare nel suo bell'albergo di Busseto che porta il nome dell'opera verdiana. La voce presenta appena pochi e fuggevoli segni d'usura, ma si riprende sempre vittoriosamente tanto nel registro di forza quanto in quello patetico. Il soprano Maria Parazzini ha fatto annunciare dopo il primo atto il persistere d'una leggera indisposizione vocale, e infatti, sapendolo, ci si è potuti accorgere che specialmente negli insieme cercava un poco riparo dietro le tonanti voci maschili: ma il temperamento di cantante verdiana ce I a. e là dove la sua parte emerge si è prodigata senza risparmio. Bernardino Di Bagno. Angelo Marchiandi. Anna Di Stasio, Giuseppe Forgione e Carlo Flammini coprono le parti minori. Il coro è diretto da Gianni Lazzari e il tutto dal direttore stabile del Teatro, il giovane Daniel Oren, che dirige con la papalina in testa e con grandi movimenti del corpo. Qui è molto ammirato da alcuni e molto criticato da altri. Certamente sa il suo mestiere, tiene in pugno l'orchestra, e non si può nemmeno dire che non abbia gusto verdiano: anzi, in un certo senso, ne ha fin troppo, in quanto sembra divertirsi un mondo a sottolineare certi giovanili goffaggini del compositore, come i bassi bandistici, i valzerini del Senato vene¬ to, lo sbilenco motivo che ritrae la subdola potenza del Consiglio dei Dieci. Della regia di Giorgio De Lullo non son da rilevare trovate sensazionali, ma semplicemente la generale dignità della recitazione e il buon uso fatto dell'impianto scenico di Pier Luigi Pizzi, centrato sopra una ripida scalinata, non certo comoda ma di buon effetto e adatta a molti usi. Preoccupazione dominante dello scenografo è chiaramente quella di 'sfuggire al pericolo della cartolina illustrata, col Ponte dei Sospiri. L'azione potrebbe svolgersi in qualunque luogo cupo, e l'esterno dell'ultimo atto, mantenuto anche nella scena finale che dovrebbe svolgersi invece nella prima scena dell'opera, non reca tracce di Venezia. Il che in fondo è un peccato, dato che nella musica queste tracce ci sono. 11 successo è stato calorosissimo, e per (d'iniqua mercede» è mancato poco che ci scappasse fuori il bis. Massimo Mila

Luoghi citati: Busseto, Roma, Veneto, Venezia