Strage Patrica: insulti e minacce a Peci saluti e sorrisi per Fiore, il duro delle Br di Ruggero Conteduca
Strage Patrica: insulti e minacce a Peci saluti e sorrisi per Fiore, il duro delle Br Strage Patrica: insulti e minacce a Peci saluti e sorrisi per Fiore, il duro delle Br Giornata movimentata alla Corte d'assise d'appello all'Aquila - Peci parla di Patrica e degl Valentino e la Biondi si scagliano contro l'ex capocolonna torinese: «Carogna, bastardo, i aiuti agli imputati puzzi di cadavere» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE L'AQUILA — Il copione recitato secondo i ruoli. Insulti e minacce a Patrizio Peci, il «traditore»; saluti e sorrisi a Raffaele Fiore, il «duro» delle Br, colui che li accolse, fuggiaschi da Patrica, nella colonna torinese delle Br. Cosi Nicola Valentino e Maria Rosaria Biondi, condannati in primo grado rispettivamente all'ergastolo e a trent'anni di reclusione per l'assassinio del giudice Calvosa e dei due uomini della scorta, hanno rispettato le promesse della vigilia. La gazzarra, puntuale, è scoppiata non appena lui, Patrizio Peci, l'ex capocolonna delle bierre di Torino, ha cominciato a declinare le proprie generalità dinanzi al presidente. Fino a quel momento tutto si era svolto nel silenzio più assoluto. Peci era comparso, dopo qualche minuto dall'annuncio, sulla porticina laterale che immette nell'aula della Corte d'Assise d'Appello: indossava un completo blu su una camicia azzurra e cravatta bordeaux; un pullover color caffelatte con calzini in tinta completavano il suo abbigliamento. Perfettamente rasato ed apparentemente in forma, si era diretto a passo svelto verso la sedia posta di fronte al presidente. Con gli* occhi socchiusi per via della forte miopia, aveva scrutato dalla parte del pubblico per cercare un volto amico. Certamente si aspettava cosa sarebbe successo di 11 a poco. Accadde a Torino, qualche giorno fa. E, probabilmente, succederà anche in futuro. Presidente: «Mi fornisca le generalità». Peci: «Mi chiamo Peti Patrizio. Sono nato...». Biondi (rivolgendosi al presidente): »Altro che nato... è già morto». Valentino: 'Senti carogna. Ti ricordi di tuo padre che scannò un dobermann? Farai la stessa fine, bastardo. Creperai come un cane. Tu e tutti quelli...». Non ha il tempo di andare oltre, le sue invettive vengono coperte dalle urla del presidente Delfini che le accompagna scandendo poderosi pugni sul tavolo. Interviene anche il pubblico ministero Mario Ratiglia: 'Cacciateli fuori!». Dalla gabbia: 'Carogna, carogna». I carabinieri si avvicinano agli imputati. Valentino: «Ce ne andiamo noi... puzzi di cadavere». Poi ancora: 'Carogna, bastardo...». Presidente: 'Sono parole senza senso... non capisco». Il silenzio torna solo dopo alcuni minuti. Dalla cella di sicurezza filtrano ancora ingiurie e minacce. II processo riprende. Peci viene interrogato su alcuni particolari riguardanti Valentino e la Biondi e conferma, sostanzialmente, quanto già ebbe modo di raccontare al giudice istruttore torinese Caselli che si recò ad interrogarlo nel carcere di Pescara. Ripete dinanzi alla Corte di aver saputo che dopo la strage di Patrica Valentino e la Biondi chiesero soccorso alle Brigate rosse. L'organizzazione li aiutò nascondendoli prima a Roma e poi a Torino, dove vennero successivamente catturati nel gennaio del '79 nel covo di via Industria. Prima dell'arresto però i due vennero reclutati dalle bierre dopo una profonda autocritica. Valentino e la Biondi furono costretti persino a firmare un documento di quattro o cinque cartelle in cui ammettevano i loro errori sia di carattere politico sia militare. Nel documento i due rinunciavano definitivamente alla loro militanza nelle «Formazioni combattenti comuniste» (l'organizzazione che rivendicò la strage di Patrica) per arruolarsi nelle Brigate rosse. Dice infatti Peci: 'So, perché me l'hanno raccontato, come sono andate le cose a Patrica. L'autocritica miliatare cui ho accennato si riferiva all'azione di Patrica alla quale i due avrebbero partecipato e nella quale rimase ucciso un loro compagno, Roberto Capone. Valentino disse anche che pensava di essere stato lui stesso a far partire il colpo che uccise Capone». Altre urla si levano nell'aula. Sono i genitori di Valentino che aggrappati alle transenne seguono le fasi del processo. Non vogliono credere a quello che sentono. «Sono tutte memogne — dice il padre dell'imputato — è una fesseria, sono tutte falsità». La madre scoppia in lacrime: «Lo conosci mio figlio? Porco, mio figlio non ha ammazzato nessuno». Il marito abbraccia la moglie e le dice: «JVon offendere». L'anziana coppia si ricompone e il dibattimento prosegue con le domande dei difensori di Paolo Ceriani Sebregondi, il terzo imputato assolto in primo grado dall'accusa di triplice omicidio e condannato per organizzazione di banda armata. Su Sebregondi Patrizio Peci è stato molto vago. Ha solamente confermato di aver saputo che a Patrica c'era un terzo terrorista che le bierre di Roma dirottarono altrove. Qualcosa in più su questa terza persona dovrebbe conoscerlo Marco Barbone, il giovane terrorista pentito della «brigata 28 marzo» atteso per oggi all'Aquila. Ascoltato nei giorni scorsi dal procuratore generale Bartolomei, Barbone ha riferito cose ritenute dai giudici interessanti ai fini del processo, specialmente per quanto riguarda il ruolo di Sebregondi nell'organizzazione armata denominata «Formazioni combattenti comuniste». Per Barbone, che mosse i primi passi proprio nelle file di quel gruppo, si tratta della prima testimonianza in aula dopo la decisione di collaborare con la giustizia. Per lui gli imputati preparano accoglienze analoghe a quelle riservate ieri a Patrizio Peci. Nè c'è da stupirsene. Cosi come scontato è apparso il trattamento dedicato a Raffaele Fiore: saluti e sorrisi. La deposizione dell'ex capocolonna torinese, indicato come il killer di Casalegno, di Croce, del maresciallo Berardi. e come facente parte del commando di via Fani, è durata pochi secondi. Giusto il tempo di fornire le proprie generalità e di aggiungere: 'Non intendo rispondere». Ruggero Conteduca
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