Labirinto di piazze e chiese dove Bernini scolpì il suo autoritratto

Labirinto di piazze e chiese dove Bernini scolpì il suo autoritratto Itinerario nella Roma del '600 Labirinto di piazze e chiese dove Bernini scolpì il suo autoritratto ROMA — Un primo consiglio a chi vuol capire subito il significato dell'arte di chi fu definito «l'unico parto che avesse prodotto la virtù, del secolo», è quello di recarsi immediatamente nei due santuari berniniani: la Galleria Borghese e la basilica di S. Pietro. In un certo senso significa anche rispettare la cronologia. Alla Galleria Borghese ci sono i capolavori giovanili. S. Pietro è invece il regno del suo trionfo. Per la Borghese basti dire che c'è l'Enea e Anchise, il Ratto di Proserpina, il famoso David, l'ancor più famoso gruppo di Apollo e Dafne, i due busti del card. Scipione Borghese e la Verità scoperta dal Tempo, che fu lasciata dal Bernini, per testamento agli eredi, quale ammaestramento morale e memoria della sua caduta in disgrazia quando Innocenzo X succedette a Urbano VDI. Inoltre c'è il bozzetto di Luigi XTV a cavallo e un bustino di Paolo V (da non lasciarsi sfuggire) nonché la Capra Amantea, che è la sua prima scultura. Quest'ultima fu ridata al Bernini per l'acutezza del Longhi: prima era considerata opera ellenistica. Ciò dimostra, più di un lungo discorso, la maestria del giovanissimo artista e comprova la verità di quell'altro aneddoto riguardante gli anni giovanili, trascorsi in volontaria reclusione, nel Musei Vaticani, a studiare statue antiche. Spostandoci al Vaticano, troviamo la più cospicua raccolta di opere della sua maturità. Inutile star ad elencare il gigantesco Baldacchino, la Cattedra, il S. Longino, l'altare del Sacramento, il Costantino a cavallo, la prospettiva della Scala Regia, l'abbraccio del Colonnato. Sono troppo famosi. Semmai, vista la dovizia di capolavori e la conseguente, possibile stanchezza del visitatore, un particolare richiamo va fatto per i tre monumenti commemorativi: quello di Matilde di Canossa e le tombe di Urbano vili e Alessandro VI. Specie que- sti ultimi sono soluzioni geniali che determineranno una svolta nella storia dell'arte. Anche se ci fu largo impiego di aiuti. Felicemente il Cicognara dice: •Dove non oprò, diresse; ove non diresse, influì». Peraltro, questi due monumenti costituiscono l'ideale avvio al pellegrinaggio per le chiese, necessarie per approfondire la conoscenza del Bernini. Infatti il nucleo più significativo e segreto dei suoi monumenti-ritratti lo si incontra andando per chiese. Ci sono le sue prime prove: vedi il piccolo monumento in S. Prassede al Santoni, a cui segui quello del Vigevano in S. Maria sopra Minerva. Nella stessa chiesa, quello di Suor Maria Raggi e nella chiesa del Gesù quello del card. Bellarmino. In S. Lorenzo in Dannaso, il Valtrini e in S. Maria in Monserato l'intensissimo ritratto del Montoya. E' un percorso che mette in evidenza la sua straordinaria penetrazione. Basta vedere l'ultimo di questi monumenti, del Fonseca in S. Lorenzo in Lucina, per capire che pochi altri, in ogni epoca, avrebbero potuto cogliere in quel modo la disperazione del vecchio effigiato: quasi un drammatico autoritratto. Continuando ad andar per chiese, è d'obbligo una sosta in S. Maria della Vittoria per l'estasi di S. Teresa. Ma forse sarà bene non dimenticare che ci sono altre cappelle berniniane altrettanto importanti. Per esempio la Cappella Raimondi in S. Pietro in Molitorio e quella della Beata Albertoni in S. Francesco a Ripa, un'estasi d'incredibile pathos, non certo inferiore ai languori di S. Teresa. E, infine la Cappella Chigi dove egli si cimentò con Raffaello, autore del progetto iniziale, e resse il confronto. Forse però è ora di uscire all'aperto per scoprire il Bernini architetto. Un salto a S. Bibiana la cui facciata fu la sua prima invenzione architettonica. Un altro a Piazza del Po¬ polo per vedere la facciata interna della Porta, costruita per l'ingresso della Regina Cristina: è un mirabile esempio di solidificazione di una struttura effimera, di cui altro esempio è l'Elefante alla Minerva. Tra i palazzi, tralasciando gli altri, sarà opportuno osservare bene il Palazzo di Montecitorio. Quei grossi blocchi di pietra grezza agli angoli e sotto le finestre sono un'unghiata da leone. Non so se si può invece parlare di architettura a proposito del Ponte S. Angelo, giustamente giudicato il più bel teatro del mondo; sullo sfondo Castel S. Angelo da immaginarsi in un turbinio di fuochi artificiali, con la scappata finale, che fu un'altra sua invenzione, e attorno gli Angeli bellissimi, anche se 1 due di sua mano furono messi al riparo, fin dall'origine, in S. Andrea delle Fratte. Insomma, come scrisse un contemporaneo, opera di «un uomo che fu non solo nella scultura, ar¬ chitettura e pittura singolare, ma in altre belle facoltà eminente». Una mente davvero vulcanica che soltanto col passare degli anni si acquietò un poco, rivolgendosi sempre più alle pratiche devozionali. Come ci racconta il figlio, parlando di quel supremo traguardo che fu S. Andrea al Quirinale. Uno spazio miracoloso che gli fece dire: «Figlio, di questa sola opera di architettura io sento qualche particolare compiacenza nel fondo del mio cuore, e spesso per sollievo delle mie fatiche io qui mi porto a consolarmi del mio lavoro». Che, insieme a tanta gloria, non gli siano infatti mancati i dispiaceri, lo si scopre anche percorrendo l'ultimo itinerario, quello delle fontane. A cominciare dalla famosa Fontana del Fiumi. Per farsela accettare, Bernini dovette portare il bozzetto, di nascosto, dentro il Palazzo Pamphily a Piazza Navona, sperando che Innocenzo X, in visita alla cognata, c'inciampasse. Ma per le fontane vorrei consigliare un libro di Cesare D'Onofrio, 'Acque e fontane di Roma». Il pellegrino berniniano vi troverà una messe di notizie relative al Tritone di Piazza Barberini, alle Api di Via Veneto, alla «barcaccia» di Piazza di Spagna, alla «Mostra», sconosciuta ai più per l'Acqua Acetosa. Sarà oltretutto un viaggio divertente perché il Bernini — come dimostrano anche le numerose caricature che ci ha lasciato — fu uomo assai spiritoso. Non per niente, sul letto di morte, osservando il suo braccio destro paralizzato, scherzò col confessore: «Bene era dovere che questo braccio si riposasse alquanto prima della mia morte, avendo egli tanto fatigato in vita». Per nostra fortuna, tanta fatica ha contribuito, in modo determinante, a rendere Roma una delle città più fascinose del mondo. Francesco Vincitorio Eeattamente tre secoli fa, cioè II 28 novembre 1680, moriva Gian Lorenzo Bernini. Aveva 82 anni e per oltre un sessantennio aveva profuso I frutti del suo genio a Roma, città dove praticamente visse tutta la vita. Che sia stato artista precocissimo lo dicono gli aneddoti narrati dal Baldlnuccl, suo primo biografo. Soprattutto quello relativo al vaticinio di Paolo V: «Speriamo che questo giovanetto debba diventare II gran Michelangelo del suo secolo». In effetti, più che a ogni altro, è a lui che si deve la nascita della Roma barocca. Enumerare I moltissimi lavori che vi ha lasciato è arduo. Le guide ne citano oltre 60. E spesso sono autentici capolavori a cui le monografie dedicano parecchie pagine. Nel '62, alla Facoltà di Magistero dell'Università di Roma, il prof. Luigi Grassi, per analizzare le principali, s'impegnò per un intero «corso» della durata di un anno. Fotografie di Antonia Mulas (da «San Pietro», ed. Einaudi)

Luoghi citati: Bibiana, Canossa, Roma