Alle cene di Sarah champagne e leoni

Alle cene di Sarah champagne e leoni Alle cene di Sarah champagne e leoni 12 gennaio 1892-4 pranzo, con Schjoob. Daudet ci ha raccontato. Era invitato da Victor Hugo. Naturalmente il grande poeta era a capotavola, ma rimaneva laggiù, in fondo, isolato, e un po' alla volta gli invitati lo lasciavano in disparte, andando verso la gioventù, verso Jeanne e Georges. Il poeta era quasi sordo e nessuno gli parlava. Ci si dimenticava di lui, quando d'un tratto, alla fine del pranzo, si udì inaspettatamente la voce del grande uomo dalla barba irsuta, una voce profonda, echeggiante da lontano, che-si lamentava; «Non mi avete dato il biscottino' Non mi avete dato il biscottino! ». 10 ottobre 1892. Verlaine, un Socrate da letamaio. Arriva che puzza già di assenzio. Vanier gli dà cinque franchi contro ricevuta, e Verlaine resta li, chiacchiera, farfuglia, parla a gesti, parla corrugando le sopracciglia, parla con le rughe del cranio, con le povere ciocche sperdute dei suoi capelli e persino con quella sua bocca dove potrebbero abitare dei cinghiali Parla di Racine, e di Corneille «che comincia a calargli ». Mi sorride, mi parla delle sue elegie, di Victor Hugo e di Tennyson. «Io faccio poesia da uomo a uomo. Io parlo in versi. Le elegie: ecco una cosa bella e semplice. Non ha forma. Io non voglio più curarmi della forma. La disprezzo. Se volessi fare un sonetto, ne farei due». fii dice: «Voi siete ricco». Si scopre fino a terra, mi offre di accompagnarmi fino all'angolo, guarda il suo bicchiere di assenzio con quei suoi occhi che sembra abbiano una voce, lo guarda come un lago colorato e, quando io pago, dice. «Oggi sono povero. Domani avrò del denaro» Tiene stretta nel cavo della mano la moneta da cinque franchi di Vanier e dice come un bambino: «Voglio essere saggio e lavorare. La mia piccola verrà senza dubbio ad abbracciarmi questa sera. Non mi importa di stare nel fango, purché lei possa mangiare un po' di aragosta». Borbotta, è disgustoso, si tira su attaccandosi da tutte le parti, battè il piede sul pavimento, con un fare da ammalato, per assicurarsi di essere in piedi, dichiara di voler beneà Vanier «Fanno male ad aizzarmi contro di lui. Certo che non guadagna molto con me ! ». Ma appena Vanier ha voltato le spalle, Verlaine gli mostrai pugni. «Porco.dì un editore, non fa altro che mungermi! ». Unóspettacolo di miseria penosa. 2 gennaio 1896. - In casa di Sarah Bernhardt. La trovo sdraiata! presso un camino monumentale, sdraiata sopra una pelle d'orso bianco. Osservo subito che in casa di Sarah Bernhardt non ci si siede: ci si distende. Mi dice: «Mettetevi il, signor Renard». Li, dove? Fra lei e la signora Rostand, c'è soltanto un cuscino e mi arrangio a stare in ginocchio accanto alla signora Rostand, mentre i miei piedi si allungano come in un confessionale: ' Si teme di essere in tredici. Maurice Bernhardt è lì, assieme a sua moglie che è incinta. Per passare nella sala da pranzo, Sarah mi prende il braccio. Questo mi fa dimenticare che devo scostare le tende. Cerco di abbandonarla appena entrati, ma invece bisogna avanzare a braccetto fino laggiù in fondo alla tavola, verso una grande poltrona con baldacchino. Mi siedo alla sua destra e capisco subito che non mangerò molto. Sarah beve in una coppa d tiro. Io non so decidermi ad aprir bocca, nemmeno per chiedere il mio tovagliolo che un cameriere ha portato via. e mangio la carne con la forchetta da fru tta Subito dopo mi accorgo che vado deponendo con molta eleganza sull'appoggia-coltelli gli asparagi che ho succhiato. Mi impiccia molto anche un certo piatto di vetro: ci mettono l'insalata. Fortunatamente alla sinistra di Sarah c'è un medico; l'immancabile medico dei romanzi, delle commedie e della vita. Egli spiega a Sarah perché questa notte ha sentito battere ventun colpi e perché il suo cane ha abbaiato ventun volte. Poi si fa un po'di chiromanzia. Pare ch'io sia molto «lunafe- Dovrei dunque amare molto la luna, parlarne spesso, subire l'influenza delle sue variazioni. Effettivamente io parlo molto della luna, ma la guardo ben poco. Nel mio pollice c'è molto più volontà che logica. E' vero. Rostand è il mio contrario, e per dimostrarlo Sarah prende e riprende la mia mano, che è bianca e grassa, ma di cui io curo pochissimo le unghie. Non le ho mai viste come questa sera: poco belle e non sufficientemente pulite. «Oh! non avete inventato abbastanza?» chiede Maurice Bernhardt dal fondo della tavola. A me sembra piuttosto che Sarah improvvisi la sua chiromanzìa. Del resto, essa non scopre più niente. Intanto la signora Maurice Bernhardt ha fatto cadere sulla tovaglia una coppa di vetro colma d'acqua e di petali di fiori, che mi si rovescia tutta addosso. Sarah, rapidamente, bagna le dita nell'acqua e mi strofina la testa, assicurandomi che questo mi renderà felice per molto tempo Il suo sistema morate è di non pensare mai al domani. Domani, può succedere qualunque cosa: anche di morire. Bisogna godere di ogni minuto, minuto per minuto. Non ricorda né qudfa, paese preferisce fra tutti quelli che ha visti; ite(^téfséccéssp l'ha:pià.prp/oi^ii^te'cómTnbs-" sa. ha pensato ài recitare Casa' di bambola ma trova che Ibsen è troppo involuto. No. Per lei occorre che «l'ideale sia chiaro- Le piace troppo Sardou perché possa amare Ibsen. L'attrice, che io conosco per la sua celebrità, mi turba e mi stordisce: ma la donna che è qui, accanto a me, non mi fa una glande impressione. Poi si comincia con qualche giochetto di questo genere: «Sapete perché le ranocchie non hanno Ja coda?». «No». «Nemmeno io». Non ci si crederebbe, in casa della «grande Sarah-. Si continua cercando a quali bestie assomigliamo. Sarah è sicura di assomigliare ad un'antilope, Rostand a un roditore, sua moglie a un montone, la moglie di Maurice a una civetta. In quanto a me, non si sa a che animale accostarmi. Ho forse troppa fronte per assomigliare a un animale. «Quando ho letto per la prima volta una vostra riga,» dice Sarah «ho detto: quest'uomo deve esser rosso di capelli. Strano, perché i rossi sono cattivi. A guardarvi bene, voi siete però piuttosto biondo». «Io ero rosso, assolutamente rosso e cattivo, signora, ma, a mano a mano che la ragione mi imponeva di essere buono, i miei capelli tiravano al biondo». Si dicono queste ed altre puerilità. Haraucourt parla gravemente della mia ammirazione per Victor Hugo. «Aveva tanto spirito Victor Hugo-, dice Sarah. Hugo le ha regalato un anello, la lacrima del Ruy Blas. Sembra, a questo proposito, che Robert de Montesquiou abbia una vera lacrima in un anello, e il dottore pretende che egli abbia fatto anche poesie che, secondo lui, sarebbero molto belle. Si passa nel salotto. Vasi di palme con una lampada elettrica nascosta sotto ogni foglia. Sotto una campana di vetro, una statuetta di ragazzina, modellata in argilla. Sarah la finirà al suo ritorno. Molti ritratti e un mucchio di cose da museo. Con un tono meno teatraleggiante di tante altre, dice: «Ho voluto fare tutto, scrivere, scolpire. So che non ho talento, ma ho voluto provare tutto». Sarebbe una magnifica maestra di volontà. Ecco adesso il leone, uno dei cinque «puma- di Sarah Bernhardt. Lo tengono alla catena. Viene ad annusare le pellicce distese sul pavimento e la gente. Ha degli stiramenti di coscia terribili, dei formidabili unghioni, e Ha- raucourt fa bene a chiudere gli occhi quando il «pumavuote carezzargli la camicia inamidata. Finalmente, con sollievo generale, lo portano via... Arrivano due enormi cani col naso rosa e nero, ciascuno dei quali si mangerebbe un bambino per colazione. Si rotolano per terra, con un fare bonaccione, e i nostri vestiti neri si riempiono subito di piccoli peli bianchi. Una bottiglia di champagne si rovescia nelle mani del cameriere II turacciolo salta e Sarah, che è distesa sulla sua pelle d'orso, prende il getto in pieno viso. Per un momento ho creduto che anche questo facesse parte del programma... Jules Renard (Da Per non «crivero un romanzo Per gentile concessione di Serra e Riva Editori) Victor Hugo, foto di Nadar Sarah Bernhardt, futo di Nadar