Satie: a Montmartre c'era un Socrate che creava calembours di Massimo Mila

Satie: a Montmartre c'era un Socrate che creava calembours Quaderni di un mammifero Satie: a Montmartre c'era un Socrate che creava calembours SONO presentati in volume, col titolo d'una rubrica che l'autore tenne per sei volte in cinque riviste diverse, quasi tutti gli scritti e le scritte di Erik Sade, il bizzarro musicista francese amico e contemporaneo di Debussy, che dai giovani della generazione successiva — il «Gruppo dei Sei» — venne elevato a suo contraltare ed antidoto. Chiamiamo «scritti» quelli normali, che chiunque può lasciare dietro di sé. Articoli, prima di tutto. Molto più numerosi di quanto si potesse immaginare, pubblicati per lo più in minuscole rivistine d'avanguardia, destinate a non andare oltre il terzo o quarto numero. Ma anche in giornali importanti, come «L'Humanitc», organo del partito socialista a cui il pio e religiosissimo Satie s'era iscritto con candida convinzione nel 1914, subito dopo l'assassinio di Jean Jaurès, e 11 sull'organo del partito cercava di far capire ai compagni che l'arte moderna non è un lusso borghese. Tal quale come abbiamo poi cercato tutti di fare. Una ricca amica americana gli procurò la redditizia collaborazione a «Vanity Fair», per cui scrisse un vero e proprio saggio critico su Strawinsky, salutato come «il Liberatore» dalla tirannia wagneriana, di cui egli dichiara d'avere «tanto sofferto». (Incidentalmente, è singolare in quest'articolo, scritto nel 1922, la precoce e lucida convinzione dei «misfatti» compiuti da Rimsky Korsakov nella revisione del Boris, unica versione allora conosciuta, e delle «inconcepibili correzioni da lui apportate allo spartito»). Un altro articolo di uguale impegno critico scrisse per la medesima rivista su Debussy, rifacendo la storia dei loro rapporti e attribuendo a se stesso il merito di averlo distolto dalle nebbie del simbolismo di deri- vazione wagneriana, indirizzandolo verso la concretezza francese dell'impressionismo. Ma l'articolo non fu più pubblicato dalla munifica rivista americana, e si legge ora per la prima volta. Sempre tra gli «scritti», nella normale accezione del termine, porremo tre lavori teatrali, tra cui quella buffonata un po' scialba che è Le piège de Meduse, e il testo di Socrate, abilissima silloge di passi dei dialoghi di Platone, accostati con maestria paragonabile a quella di Brahms nel Requiem tedesco o di Haendel nel Messia. Niente lettere, salvo una «a se stesso». Disordinato com'era, Satie non era certo tipo da tenere corrispondenza, se è vero che alla sua morte, nell'epico disordine di carte che ingombravano la sua modestissima cameretta, si trovarono centinaia di lettere mai aperte. Invece ci sono perfino quattro conferenze, tra cui una sul «Gruppo dei Sei» (che egli distingueva saggiamente in una terna di moderni e una terna di impressionisti), e un ironico elogio dei critici. Poi ci sono le «scritte», cioè i titoli stravaganti di molte composizioni (Trois morceaux en forme de poire, poiché Debussy gli aveva consigliato di curare di più la forma; Véritables préludes flasques pour un chien, perché quattro Préludes flasques gli erano stati rifiutati da un editore, e lui allora ne aveva scritti altri tre, «véritables»; Les trois valses distinguées du préciuex dégoùté, ecc.), e soprattutto le frasi ch'egli interponeva tra le righe di musica, o come prescrizioni strampalate all'esecutore (dans le creux de l'estomac; comme un rossignol qui a mal aux dents; sans transpirer; ne toussez pas, ecc.), oppure vere e proprie suggestioni descrittive o narrative, ch'egli però vietava severamente di leggere durante le esecuzioni. Che pensare di queste battute stravaganti e folgoranti freddure, fondate sull'uso micidiale del doppio senso attribuito a una medesima parola, analogamente a quanto avviene per la nota musicale nel procedimento della modulazione? La tentazione di annettervi chissà quali significati profondi, riferendosi all'adesione che per molti anni Satie diede al movimento dei Rosa Croce di Sar Peladan, deriva soltanto dalla scarsa considerazione in cui la cultura suol tenere la comicità, la buffoneria e il buonumore. Considerando che nei taccuini di Satie si sono trovate innumerevoli altre frasi «cocasses», evidentemente annotate in vista di pezzi musicali che poi non furono scritti, sembra convincente l'opinione di Ornella Volta, che ha curato questo volume, con imponente apparato critico, prima in francese e ora in versione italiana, che queste battute (talvolta fondate su procedimento opposto a quello del doppio senso, e cioè sull'aggettivazione pleonastica, come metal métallique, la Terre terrestre) servissero al compositore da incentivo, per mettergli in moto la fantasia, come ad altri può servire la sigaretta, o una tazza di caffé o un bicchierino di cognac; e a Schiller le mele marce nel cassetto. A leggerle tutte di seguito, e così dottamente postillate, le buffonate di Satie non riescono così divertenti come in loco; fanno un poco figura — per dirla col titolo di tre pezzi per pianoforte — di «embryons desséchés». Sulla religiosità di Satie, tanto sincera e libera come il suo socialismo (e poi, dal 1922, comunismo), sui suoi rapporti con Strawinsky, e sulla sua arte di giocoliere della parola, è da ricordare un aneddoto sfuggito alla solertissima curatrice del volume. In una delle sue Conversazioni con Robert Craft, Strawinsky ricorda di avere incontrato Satie che usciva da una chiesa. Forse un poco imbarazzato, e «nel suo modo straordinario» gli disse: «Alors, fai un peu communiqué ce matin». Già allora si cominciava a parlare della necessità per l'arte, e per la musica nuova, di stabilire una comunicazione con l'uomo, e giustamente la Volta ricorda che questa esigenza stava a cuore a Satie. Conoscendo il suo irresistibile vizio per il doppio senso, c'è da giurare che l'arguto vecchietto abbia celato in un calembour certe ragioni profonde dell'animo che probabilmente non gli gustava di rivelare a nessuno. Massimo Mila Erik Satie: Quaderni di un mammifero. Adelphi, 345 pagine. 14.000 lire. In un disegno di M. Larionov: Erik Satie (da destra) con Cocteau, Diaghilev e Stravinsiij