Iran: il parlamento vota «sì» alla liberazione degli ostaggi

Iran: il parlamento vota «sì» alla liberazione degli ostaggi Dopo un anno di politica dura, primo «cedimento» di Teheran Iran: il parlamento vota «sì» alla liberazione degli ostaggi Ma il rilascio avverrà gradualmente e solo se l'America attuerà quattro condizioni: riconsegna dei fondi iraniani e delle ricchezze dello Scià, rinuncia a risarcimenti e politica di non ingerenza Forse oggi l'annuncio del rilascio: farà vincere Carter? NEW YORK — H Parlamento Iraniano ha votato il rilascio degli ostaggi e ha reso pubbliche le condizioni in base alle quali l'attuerà. Il governo Usa è pronto ad accettarle «net limiti della loro compatibilità con le leggi del Paese». Ha chiesto numerosi chiarimenti al regime di Khomeini: un comunicato è atteso di ora in ora. Il portavoce della Casa Bianca Pov/ell ha dichiarato che la risposta americana «sarà determinata dall'impegno alla salvezza dei prigionieri e dalla tutela della sicurezza e dell'onore nazionale». Non si hanno indicazioni sul momento e sulle modalità del rilascio. In un'intervista alla tv americana l'ex ministro degli Esteri iraniano Ghotbzadeh ha asserito che i prigionieri dovrebbero essere liberati «a gruppi a cominciare da mercoledì o giovedì». Powell ha introdotto nella vicenda una nota di cautela. «Il presidente è incoraggiato dagli eventi ma esistono problemi». Carter ha tenuto due riunioni d'emergenza del Consiglio di sicurezza nazionale alla Casa Bianca, con il vicepresidente Mondale, il consigliere Brzezinski, il segretario di Stato Muskie e il ministro della Difesa Brown, di cui si ignora ancora l'esito. Le famiglie degli ostaggi hanno reagito al voto a Teheran con gioia mista a diffidenza. La signora Moorefield, la segretaria dell'Associazione Flag (bandiera) ha dichiarato: «Forse ci avviciniamo alla soluzione della crisi.. Ci spaventa però la prospettiva che i nostri cari vengano rilasciati a gruppi.. In un caso del genere vorremmo garanzie». La campagna presidenziale rischia di essere sconvolta: Carter, ritenuto perdente fino a ieri, è adesso favorito nello scrutinio di domani, sebbene i repubblicani insistano che Reagan può ancora vincere, e che sarà la crisi economica a determinare il voto americano. La notizia della svolta a Teheran ha colto la superpotenza nel cuore della notte. Carter, a Chicago per un comizio, è stato svegliato alle quattro dal sottosegretario di Stato Christopher ed è partito subito per Washington: il suo aereo ha coperto in un'ora e dieci il percorso che ne richiede solitamente due. Christopher ha interrotto anche il sonno di Reagan che si trovava a Columbus nell'Ohio promettendo di tenerlo informato durante la giornata, e ha poi chiamato i familiari degli ostaggi. A Washington, erano ad attendere il presidente il vice Mondale e Brzezinski, con l'elenco delle quattro condizioni poste dall'Iran per restituire i prigionieri : 1) la riconsegna dei tondi congelati nelle banche Usa: 2) la restituzione delle ricchezze dello Scià; 3) la rinuncia al risarcimento danni; 4) la garanzia di non interferire ulteriormente negli affari interni islamici. Alle dieci del mattino è incominciata la prima riunione del Consiglio di sicurezza nazionale. Il presidente e i suoi ministri si sono concentrati sulla clausola più inquietante: quella che stabilisce il rilascio graduale degli ostaggi «a mano a mano che le condizioni poste verranno soddisfatte». Essi hanno de¬ ciso di chiedere l'aiuto dei Paesi che hanno mediato nella crisi: la Svizzera, l'Algeria (lo si è appreso con sorpresa), il Pakistan, nonché il segretario dell'Onu Waldheim. Annunciando il rinvio della seduta al pomeriggio, il portavoce della Casa Bianca Powell ha affermato: «Ci octorre la traduzione ufficiale del testo del dibat¬ tito al Parlamento a Teheran Dobbiamo anche valutare le nuove informazioni che continuano a pervenirci Forse ci sarà un ritardo nella risposta al regime di Khomeini: Nel momento cruciale l'atteggiamento americano s'è cosi differenziato da quello iraniano. Teheran è parsa ansiosa di concludere subito un accordo. Essa ha scartato le due proposte più imbarazzanti per Washington emesse nel dibattito al Parlamento: di dare all'ayatollah tre ore di trasmissione alla tv Usa, e di esigere esplicitamente forniture militari. Nella sua intervista Ghotbzadeh in particolare è sembrato conciliante: «Non esiste problema negoziale; il nostro governo invierà una nota ufficiale a quello americano. Se esso risponderà attuando tutte le quattro condizioni libereremo tutti i prigionieri subito. Se no, ne libereremo un gruppo a mano a mano che ne realizzerà una». L'ex ministro degli Esteri ha aggiunto espressamente che l'Iran rivuole innanzitutto i propri fondi e che sulle ricchezze dello Scià «basterebbe un'approvazione di principio delle nostre istanze». Washington al contrario si è dimostrata assai prudente. Muskie ha asserito che «in attesa di una comunicazione ufficiale del regime di Khomeini non si possono ignorare le ambiguità delle quattro condizioni». Egli ha additato quali gravi ostacoli a un immediato accordo «la mancanza di una competenza specifica del governo Usa sulle ricchezze dello Scià e il rischio per la guerra nel Golfo Persico che eventuali forniture militari all'Iran comporterebbero». Tra le proprietà iraniane congelate negli Stati Uniti si trovano infatti pezzi di ricambio, munizioni, apparecchi radar, missili, bombe «a pioggia» e a laser, su cui l'ayatollah punta per respingere l'Iraq. Come ha fatto osservare il candidato repubblicano alla vicepresidenza Bush, «la loro riconsegna equivarrebbe a un intervento degli Stati Uniti nel conflitto», e potrebbe portare a un controintervento dei sovietici. _ , „ Ennio Careno Dallas (Texas). Il presidente Jimmy Carter si accomiata dalle autorità di Abilene