Processo record alle Br di Ciurcio in un'ora dibattimento e sentenza di Vincenzo Tessandori

Processo record alle Br di Ciurcio in un'ora dibattimento e sentenza Le accuse: istigazione e minacce al «processone» di Torino Processo record alle Br di Ciurcio in un'ora dibattimento e sentenza La Corte di Perugia ha inflitto 5 anni a Ognibene e 2 anni agli altri imputati appartenenti al «gruppo storico» - Insulti agli avvocati d'ufficio, frasi ironiche al presidente DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PERUGIA—Un'ora, o poco più: dibattimento, discussione e sentenza per quello che è definito il «gruppo storico» delle Brigate rosse. E in quell'ora si è anche bruciato più di un miliardo di lire, perché tanto è costato a Perugia questo processo per l'istigazione all'insurrezione armata, le apologie e le minacce fatte dai brigatisti durante il dibattimento dei «cento giorni» a Torino. Sentenza di condanna, una delle tante, talmente scontata che il pubblico ministero Alfredo Arioti, lo stesso che indaga sui reati presunti di Giovanni De Matteo, già procuratore a Roma, ha fatto delle richieste senza motivarle, • tanto è tutto nei verbali del processo torinese: TJ verdetto: cinque anni per Roberto Ognibene; due anni e quattro mesi per Alberto Franceschini e Paolo Maurizio Ferrari; due anni e due mesi per Pietro Bassi; due anni per gli altri: Angelo Basone, Pietro Bertolazzi, Alfredo Buonavita, Renato Curcio, Giuliano Isa, Arialdo Lir.trami, Nadia Mantovani, Tonino Paroli e Vincenzo Guagliardo, che è l'unico latitante del gruppo. In sostanza è uno stralcio del processo celebrato già in appello a Firenze una settimana fa, un processo •minore» che ha posto la città in stato di assedio. Il centro storico di Perugia è bloccato dalla mezzanotte, palazzo di giustizia, una splendida costruzione rinascimentale, appare come una fortezza irraggiungibile. Dozzine di uomini armati, un elicottero che volteggia sull'acropoli, la folla in attesa dell'arrivo degli imputati sotto i portici della posta, proprio davanti al tribunale: anche questo viene considerato uno spettacolo. In aula, il pubblico è molto scarso, forse quattro o cinque persone, il resto sono agenti e carabinieri in borghese o dipendenti del tribunale, alcuni avvocati curiosi. I brigatisti erano giunti a Perugia negli ultimi giorni: per loro era stato rimodernato un braccio del carcere di piazza Partigiani. Costo: fra i cinque e i seicento milioni; le grate delle celle, dicono, sono in metallo speciale arrivato dalla Germania e le hanno pagate mezzo milione l'una. E cento milioni sono stati spesi per la gabbia, anch'essa in metallo tedesco, lavorato a Pescara, che ora deturpa una splendida aula affrescata in stile rinascimentale. E' la prima volta, dicono', dopo tanti anni che a Perugia sono tornate le sbarre. Ore 9,30: arrivano gli imputati. Per primo entra nella gabbia Renato Curcio, seguito da Bertolazzi, poi Basone che forse è stato designato come portavoce del gruppo, infine gli altri. E in quella gabbia divisa in due settori entrano anche quindici carabinieri mentre altri undici si fermano nella prima metà; appena fuori ancora carabinieri con due cani lupo. Del gruppo non fa parte Nadia Mantovani, che è lasciata al di là delle sbarre, naturalmente «perché donna». Non ci sono gli avvocati di fiducia (Chiuso, Giannino Guiso e Giovanna Lombardi) ma il contrattempo già previsto dal presidente Raffaele Zampa è subito superato: sono presenti gli avvocati nominati d'ufficio Antonio Roscio, Luciano Ciurnelli, Corrado Zaganelli. Dovrebbero esserci anche dodici testimoni, tra cui il giudice Mario Sossi, che Ognibene chiamò «psicoflebile» il 22 maggio '78; i componenti della Corte d'assise di Torino presieduta dal dott. Guido Barbaro; il pubblico ministero di quel processo. Luigi Moschella. Nessuno è venuto. Rapido, il presidente chiede agli imputati se hanno fatto ricorso in Cassazione per la sentenza di Firenze. Rispon- de Franceschini: «Quote cassa? La Cassa del Mezzogiorno? L'Italcasse?». Impassibile, il giudice prosegue: «Conoscete i capi di imputazione?». Coro dalla gabbia: «Cne copi di imputazione? Di che cosa stai parlando? Abbiamo dichiarato qualcosa?*. Franceschini: «Afa dove sei? Lo sai o no?». Gli imputati hanno redatto un comunicato di nove pagine, che vorrebbero leggere, ma viene sequestrato prima che qualcuno possa vederlo. Ore 9,55: la parola alla pubblica accusa che suggerisce le pene. Massimo: cinque anni. A Firenze, per reati simili, le pene furono assai più pesanti, Otto e dieci anni, ma, spiega il dott. Arioti, «c'è un limite alla realtà: Ore 10,05: è il momento della difesa. Si alza Luciano Ciurnelli e i brigatisti insorgono. Grida Ferrari: «£' inutile che parli, per noi non parla nessuno, parla la guerriglia». Altra voce: «E' tei l'imputato, sono duecentomila anni che ripetiamo di non parlare». E' un canovaccio vecchio, scontato, ma il legale, forse inesperto, si avvicina alla gabbia e Franceschini gli dà uno scappellotto. Per il presidente è troppo. Fuori tutti. Anche Curcio, che non ha aperto bocca. Le mani strette alle sbarre, la voce venata di ironia, dice: •Io sono stato buono, non ho detto niente, perché debbo uscire? Presidente, eccellenza, rappresentante del regirne, come ti devo chiamare ?». Mentre lo portano via mi dice: «Te l'avevo detto che questo è un regime peggiore di quello di Van Thieu!». Nell'aula è tornato ora il silenzio, ancora pochi minuti per i difensori che leggono un memoriale di tre pagine, e alle 10,18 la camera di consiglio. Tutto finisce alle 11. Il verdetto viene letto senza gli imputati, l'elicottero torna a volteggiare sulla città. E' finito forse l'ultimo processo ai capi storici dalle Brigate rosse. Vincenzo Tessandori