A Locri aperto il «processone» contro 133 della mafia ionica di Enzo Laganà

A Locri aperto il «processone» contro 133 della mafia ionica Nel tribunale trasformato in un bunker inattaccabile A Locri aperto il «processone» contro 133 della mafia ionica Dopo l'assassinio di don Antonio Magri, il «mammasantissima» della vecchia guardia, la nuova 'ndrangheta, spietata e senza freni, si è data alle imprese più losche: sequestri, racket e droga - I collegamenti tra le cosche del Nord e del Sud - Il dibattimento durerà almeno quattro mesi REGGIO CALABRIA — E' iniziato ieri mattina davanti al giudici del tribunale penale di Locri il monumentale processo al 133 mafiosi della fascia Jonica della provincia reggina. Ottantanove in stato di detenzione, cinque a piede libero, altri trentanove latitanti. Tutti devono rispondere di associazione per delinquere di tipo mafioso a seguito di un approfondito rapporto presentato all'autorità giudiziaria dal colonnello Franco Morelli, comandante del gruppo carabinieri di Reggio Calabria. In settecento pagine dattiloscritte, l'ufficiale traccia l'organigramma delle più potenti e agguerrite cosche mafiose del versante jonico, che da anni impongono nella zona la loro prepotenza. Inizialmente si occupavano di contrabbando di sigarette, ma poi hanno allargato le loro attività procurandosi lauti guadagni con fatti delittuosi in vari settori. In una grande gabbia di ferro, divisa in tre comparti, sono stati sistemati i quarantini imputati che hanno voluto essere presenti al processo. L'aula del palazzo di giustizia è stata trasformata con speciali accorgimenti in un autentico «bunker» inattaccabile. Imponente e massiccio il servizio d'ordine, fin nei minimi particolari. Quasi trecento carabinieri presidiano l'edificio, scortano 1 detenuti, istituiscono posti di blocco. Il dibattimento e la discussione dovrebbero impegnare il tribunale, secondo il programma del presidente Agostino, per almeno quattro mesi, con una media di tre udienze la settimana. La pubblica accusa sarà rappresentata dal dottor Alberto Barnbara. I testimoni che sfileranno davanti ai giudici saranno un centinaio, tra cui i sindaci del comprensorio Jonico. L'udienza di ieri è stata interamente assorbita dalla costituzione delle parti e dalla lettura dei capi di Imputazione. Il processo entrerà nel vivo nelle prossime udienze. Alle cosche si addebitano numerosi omicidi, rappresaglie a suon di lupara e tritolo, agguati e estorsioni. Questi i reati commessi nella zona e che purtroppo sono divenuti cronaca quotidiana. I crimini perpetrati nella fascia jonica hanno attirato l'attenzione anche delle autorità centrali. Nella Locride esiste certamente la base dei sequestri di persona e del fiancheggiatori insospettabili per il riciclaggio di denaro sporco. Dalle indagini sono emerse le ramificazioni con la malavita di tutta Italia e con «Cosa Nostra», la pericolosa organizzazione americana che si occupa anche di droga. L'evoluzione della mafia calabrese, in pratica, segue il passo dei tempi. Dapprima piccoli traffici (la cosiddetta mafia agri colo-pastorale), poi quella più potente e meno controllabile annidata in ogni settore produttivo. Autentici managers del crimine dirigono le file dell'impresa, con un «fatturato» di diversi miliardi. In questo contesto si è inserita la «famiglia» della fascia jonica, che i carabinieri hanno individuato nelle cosche degli Orsino di Gioiosa Jonica, Magri di Siderno, Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica, Aquino e Cordi di Locri, Ruga di Monasterace, Zucco di Sant'Ilario, Cataldo-Marafiodi di Locri, Caracalli-D'Agostino di Canolo, Nlrca di San Luca. Non sono poche le cosche e gli «sgarri» sono divenuti ine¬ vitabili, anche per il crollare di determinati equilibri all'interno delle varie «famiglie», con l'eliminazione del «mammasantissima» della 'ndrangheta calabrese, don Antonio Magri, assassinato dalle nuove leve. Magri, infatti, era il boss della vecchia guardia, che rispettava rigidamente 11 codice dell'.onorata società», che si opponeva ai sequestri di persona e alla droga, che aveva rispetto per le donne. Il «mammasantissima» era ingombrante e fastidioso ed è stato ucciso. Da quel momento le attività mafiose non hanno più avuto alcun freno. Ormai è chiaro che vi sono stretti legami tra le cosche locali e quelle operanti al Noiù, in particolare a Torino e a Milano. Basta ricordare il sequestro di Alma Rosa Brusin, rapita ad Avigliana, nei pressi del capoluogo piemontese, e liberata nel versante jonico della provincia reggina. L'Intera banda era formata da elementi dello stesso paese, San Luca. n «processone» di Locri fa seguito ad altri due giganteschi .dibattimenti contro la mafia celebrati in questi ultimi dieci anni. Il primo per il «summit» di Montalto dell'ultima domenica di ottobre di undici anni fa per l'elezione dei vertici della 'ndrangheta; il secondo contro sessanta presunti mafiosi del Reggino e della piana di Gioia Tauro, con interessi negli appalti e nei sub-appalti dei lavori per il costruendo porto del quinto centro siderurgico. L'operazione che portò all'incriminazione dei 133 scattò la vigilia di capodanno in tutta Italia, nel giorno che fu definito «il più lungo della 'ndrangheta» e che permise una serie di arresti Enzo Laganà