Lévinas: «Vi parlo dal paese del Sacro»

Lévinas: «Vi parlo dal paese del Sacro» INTERVISTA COL PENSATORE ALLE FRONTIERE DELLA FILOSOFIA E DELL'EBRAISMO Lévinas: «Vi parlo dal paese del Sacro» Dall'infanzia in Lituania alla Rivoluzione d'Ottobre, alla scuola di Husserl e Heidegger - In lui fenomenologia e esistenzialismo incontrano la tradizione della Bibbia - «Le cose che stanno nel nostro orizzonte vanno sempre oltre il loro contenuto» - Nella relazione con l'altro si inseriscono Tessere e il sapere - «L'incontro con gli altri ci offre il primo significato» - Su questo fonda ogni responsabilità etica e l'esperienza del sacro Nato in Lituania nel 1905, ebreo, Emmanuel Lévinas è un filosofo rigoroso e difficile. Oggi, le menti più brillanti si interessano ai singolari percorsi del suo pensiero. Segreta, singolare, quest'opera complessa, senza affettazioni, parla con rara profondità metafisica dei presupposti del pensiero, dell'attenzione alle cose. Questo filosofo fa della relazione con l'Altro la relazione fondamentale in cui si inseriscono l'Essere e il Sapere. Questo compagno di Husserl e Heidegger ci accompagna verso problemi originali e originari; quando si leggono Totalitè et infini (L'Aia, 1961) o Autrement qu'ètre ou au-delà de l'essence (L'Aia) ci si ritrova ben lontani dagli interrogativi alla moda. In Quatre Lectures talmudique o Dusacre au saint (Editions de Minuit) si penetrano i segreti del Talmud grazie all'acutezza fenomenologica di Lévinas. Quando Lévinas mi riceve, sta leggendo il Talmud. Parla dolcemente, medita ogni frase, soppesa ogni parola, che dischiude un mondo in cui si avanza con serenità. Dopo l'intervista, quando beviamo il tè, l'Essere continua a far sentire la sua presenza. Incontrare Lévinas è incontrare la grande filosofia, ma è anche fare un viaggio nel paese del sacro. B. - Nell'infanzia sono stato immerso nella cultura russa ma mi sono anche accostato ai testi biblici Ho letto molto presto la Bibbia in ebraico; ho imparato a leggere in questa lingua. Ho letto anche Dostoevskij. E ho i>issuto a lungo in Ucraina, a Karkov: ero un bambino, avevo dodici anni durante la rivoluzione russa, e ho conosciuto quell'avvenimento enorme, drammatico, nei suoi riflessi sulla vita di ogni giorno. D. - A diciassette anni, lei è andato a Strasburgo a studiare filosofia. Si è trasferito in Francia, ma in realtà voleva già diventare allievo dei grandi filosofi d'oltre Reno. R. - A Strasburgo ho seguito i corsi di Pradines: mi ha insegnato un sacco di cose. In più, citava l'affare Dreyfus, e molto volentieri. Halbwachs insegnava sociologia, Guéroult mi affascinava con la sua profonda conoscenza dei sistèmi filosofici Ma volevo dedicarmi alla ricerca, e cosi ho deciso di diventare allievo di Husserl. D. - Più tardi, ha tradotto i suoi libri e li ha fatti conoscere in Francia. Nel 1928 lei si è trasferito in Germania, dove ha incontrato anche Heidegger, molto prima delle sue infelici prese di posizione politiche in favore del nazismo. R. - Heidegger mi ha letteralmente affascinato. Bisognava trovarsi un posto fin dal mattino, se si voleva riuscire a seguire le sue lezioni. Era l'epoca dell'Essere e il tempo. Nessuno avrebbe potuto pensare, allora, che Heidegger avrebbe assunto, qualche anno dopo, posizioni politiche tanto tragiche. Ho assistito al suo incontro con Cassirer, l'autore della Filosofia dell'illuminismo. Avvenne nel 1929, fu un vero summit del pensiero. Mi ricordo che Heidegger era vestito da montagna; Cassirer in modo più classico, ma faceva un'impressione straordinaria; mi ricordo i suoi capelli bianchi la loro nobilita. Cassirer parlò molto della concezione heideggeriana dell'essere nel mondo e Heidegger parlò a lungo di Kant Cartesio D. - Che ruolo hanno avuto questi incontri nella sua formazione filosofica? R. -.La mia filosofia poggia su un'esperienza pre-filosofica, su un terreno che non rientra soltanto nel campo della filosofia. Credo che quel che si chiama l'orizzonte del senso non riguardi solo la nostra esperienza del mondo. D. - Lei dunque si considera un esponente della corrente fenomenologica, che in Francia è stata ritenuta una corrente di pensiero che ritorna alle cose. R. - Certo, ma affrontare le cose non vuol dire affrontare il mondo com'è nel momento in cui costruisco una barca o una cosa. Ogni esperienza si apre su dei contesti che non sono dati dall'esperienza della percezione. Ogni esperienza dischiude il mondo delle cose sperimentate, quello degli altri uomini il rapporto con gli altri Gli altri sono davanti a noi qualunque sia la percezione che ne abbiamo. La cosa esperita dipende dai lumi dell'esperienza altrui e il pensiero contiene sempre più di quanto essa ne possa effettivamente ottenere. E' qui che mi allontano da una concezione dell'esperienza che ridurrebbe il pensiero a un pensiero della misura, un pensiero dell'uguale. L'idealismo ha sempre voluto interpretare l'esperienza. In un certo senso, ha voluto credere che il reale fosse assolutamente identico alla coscienza. Tuttavia Cartesio dimostra che la forma di Dio è più grande del suo significato psicologico. D'un tratto, si pensa più di quanto si può pensare. Questo elemento è caratteristico, secondo me. Le cose che stanno al nostro orizzonte vanno sempre oltre il loro contenuto. D. - L'opera di Husserl è, da un certo punto di vista, l'Odissea di un filosofo che tenta di ricostruire, con la seduzione, l'Io puro. E poi, in altre opere, rimette in causa il realismo, rinvia al «mondo della vita». R. - Il mondo della vita non è un mondo di misura. E' un mondo concreto, all'interno del quale si fissano i significati Secondo me, il più importante è che nell'idea obiettiva c'è meno che in questa idea relativizzata dal rapporto con l'uomo. L "idealismo si era sempre immaginato che la realtà non fosse che rappresentazione; la fenomenologia insegna che c'è più nella realtà in quanto costituita che in questa realtà in quanto essa attira il nostro sguardo. La realtà pesa molto. D. - II fenomenologo francese Merleau-Ponty parla della carne del mondo. R. - E' una formula eccellente. La realtà pesa quando si scoprono i suoi contesti E' questo il messaggio fenomenologico. Là deduzione non dipende solo dall'analisi dei concetti le cose non si accontentano di apparire, ma sono in circostanze che danno loro il peso dei loro orizzonti E quel peso è la loro ricchezza. D. - Oltre a Husserl e Heidegger, lei ha avuto familiarità con altri grossi personaggi della filosofia. Lei stesso ha detto una volta, scherzando, che su un'isola deserta ne porterebbe quattro o cinque. R. - Certo, l'ho detto con ironia. Ma effettivamente ci sono stati momenti eccezionali nella storia dlela filosofia. Su quell'isola, porterei prima di tutto Platone, il filosofo della realtà e dell'idea. La filosofia è platonica, e Aristotele l'aveva ben compreso. Poi porterei Cartesio e Kant: entrambi ritornano al soggetto. Poi Hegel che trasforma la storia in un problema del pensiero: ha una visione della storia che non è né empirica né banale. Infine, porterei con me Bergson, perché ha studiato il tempo, la durata. Senza di lui non esisterebbe gran parte della filosofia di Heidegger; oggi studiosi come Jankékévitch e Jeanne Delhomme svolgono ricerche originali riallacciandosi a Bergson. In questo pie nic non dimenticherei certo Husserl né Heidegger. D. - Veniamo ora a ciò che per lei è molto più di un librò, la Bibbia. R. - Ha per me un elemento religioso, una Passione con la P maiuscola. Al mio ritorno dalla prigionia in un campo di concentramento in Germania, incontrai un protagonista della cultura tradizionale ebraica. Non viveva il rapporto con la Bibbia come un semplice rapporto di devozione o edificazione, ma come orizzonte di rigore intellettuale. Vorrei dire il suo nome: si chiamava Chuchani Tutto ciò che ho pubblicato sul Tolmud lo devo a lui Quell'uomo che aveva l'aspetto di un barbone, per me sta alla pari con Husserl e Heidegger. Con Jean Wahl e il mio compianto amico dottor Nerson, è stato uno dei miei interlocutori preferiti D. - Lei è un fenomenologo, ma vive anche nel mondo ebràico. R. - Vi ritrovo la prova che ogni esperienza filosofica si basa su un'esperienza pre-filosofica. Nel pensiero ebraico ho ritrovato l'idea che l'etica non è una semplice regione dell'essere. L'incontro con gli altri ci offre il primo significato, e partendo di qui si trovano tutti gli altri L'etica è una esperienza decisiva. Il Talmud D. - Prescrive ciò che deve essere? R. - La legge è il risultato del fatto che incontro l'altro. Ciò implica una responsabilità verso di lui Questa differenza è una non-indifferenza. D. - In Occidente, la filosofia è greca ed ebràica. Lei vive all'interno di entrambe. R. - / testi religiosi ebraici parlano della vicinanza del prossimo. L'incontro con l'Altro mi impegna, e non posso sfuggirlo. Quanto ai greci mi hanno insegnato il linguag-> gio della filosofia. D. - Che significa dunque aver tradotto in greco il Talmud? R. - L'arte di comunicare, ciò che in filosofia si chiama teorizzazione, è greca. I filosofi greci ci insegnano a parlare. Ma la comunicazione non è solo una forma, e quando pensiamo parliamo greco, anche se non conosciamo questa lingua. D.-EU Talmud? R. - Ha una forma estremamente ingarbugliata. E' nato da tradizioni orali poi trascritte per comodità. E'un testo che richiede una continua ricerca del significato di quanto è stato detto. D. - Il Talmud è per lei anche un eserciiio spirituale? Ha con esso un rapporto diverso da quello che ha con Platone? R. - II Talmud ù terribilmente difficile, proprio come Platone. Nel Talmud, come lei sa, non c'è punteggiatura, si passa continuamente da un argomento all'altro senza alcun legame. D. - Lei ha sostenuto che i testi ebràici chiedono giustizia. R. - Appartenere al giudaismo vuol dire appartenere a una tradizione antichissima. Ma i profeti non promettevano in primo luogo la vita eterna. Non si occupavano di escatologia, non esaminavano solo i fini ultimi, parlavano del sociale e del morale. Gli «eletti» D. - Io che non sono ebrèo, riconosco di fare fatica a comprendere la nozione di popolo eletto. R. - L'essere *eletti' non significa essere privilegiati Essere eletti ha solo un significatomorale. L'uomomoraleè quello che, in un gruppo, fa quello che deve fare. In questo senso, è eletto. Il profeta, colui che chiede giustizia, è scelto, eletto, perché ha inteso per primo l'appello. E' sbagliato intendere l'elezione come un privilegio. D. - Il Talmud, quest'arte, del commento, pone in un certo senso 11 problèma delle regole del commento in generale. R. - Il commento è la vita del testo. Se un testo vive ancora, oggi è perché lo si commenta. I significati non si esauriscono nell'interpretazione. E ciò è vero per il Talmud ma anche per Platone o Goethe. D. - I suoi commenti sono originali in quanto non pre¬ tendono di dare una interpretazione definitiva, vera. R.- Il testo può avere una molteplicità di significati perché esiste una molteplicità d'uomini Se ne manca uno, si perde un significato. D. - Esiste pure ima molteplicità di culture: ebràica, greca, ma anche mongola, indiana... R. - Certo, ma è l'Europa che, accanto a tante atrocità, ha inventato Videa della •deurcpeizzazionem; è una conquista della generosità europea. Per me la Bibbia è il modello; ma lo dico senza conoscere nulla del buddhismo. D. - Un'ultima domanda che oso appena farle, dopo Auschwitz. Che significa essere ebrèi? Lei dice che durante la guerra certi partigiani erano pia ebrèi degli ebrèi. Come si potrebbe'spiegare a un cinese del ventesimo secolo cosa significa essere ebrèi? R. - Capisco la sua esitazione. Dopo la persecuzione, questa domanda è difficile, quasi improponibile. Ma lei me l'ha posta, e io dirò solo che essere ebreo non è una particolarità, è una modalità. Tutti sono un po'ebrei, e se ci fossero uomini su Marte, si troverebbero degli ebrei Non basta: gli ebrei sono persone che dubitano di sé, che in un certo senso appartengono a una religione di miscredenti Dio ha detto a Giosuè: «Non ti abbandonerò». Quando leggo questo episodio, sottolineo: «Non ti lascerò più andare; non riuscirai più a fuggire». Christian Descamps Copyright di «Le Monde» e per l'Italia di «La Stampa»