Mila in campo salva Otello di Massimo MilaGiorgio Pestelli

Mila in campo salva Otello CON L'«ARTE DI VERDI» Mila in campo salva Otello Dopo progressivi assestamenti fra i tipi di altri editori, il compendio critico di Massimo Mila su Giuseppe Verdi approda alla sua sede più naturale, la collana dei Saggi Einaudi, la casa editrice dove lo studioso è consulente dalla fondazione. ._ 'Sotto il titolo di L'arte di Verdi il volume si apre infatti con il fondamentale saggio giovanile pubblicato da Laterza, per desiderio di Benedetto Croce, nel 1933; riprende quindi il Giuseppe Verdi (Laterza, 1958) con i «profili di opere» (escluse le prime, fino al Trovatore, ormai collocate in La giovinezza di Verdi, Eri, 1974) e i saggi su «Verdi nella storia e nell'arte» fra i quali campeggia per ampiezza e partecipazione emotiva quel Verdi come il padre, scritto nel 1951 su invito del Piccolo di Milano, che anche oggi, specie ai non professionisti, consiglierei di leggere subito, per primo, come solenne introduzione a tutta l'arte di Verdi. Il libro aggiunge infine numerosi scritti mai compresi in volume: analisi di opere che esauriscono il panorama precedente (La forza del destino, varianti del Don Carlos, Otello), l'importante relazione tenuta al primo Congresso di Studi Verdiani, Venezia 1966, sulla «dialogizzazione* dell'aria nelle opere giovanili di Verdi, e una magistrale visitazione del Verdi sacro, attraverso pagine piene di sfumature e di finissimo segno. Il tutto variamente modificato e arricchito di note e aggiornamenti bibliografici. Mila, quando gli capita di ricordare l'inizio di carriera, è tutto un metter le mani avanti: me l'ha detto Augusto Monti di dedicarmi alla crìtica musicale, me l'ha detto Guido Gatti. Ma non s'aspetti che gli si possa credere: c'è 11 questo libro scritto nel 1931, a ventun anni, a testini in are una vocazione assoluta, perentoria, con un istinto critico e un dominio di mezzi già infallibili. Forse, a lodargli tanto questo lavoro oggi, non gli si fa un piacere (come a Beethoven, quando gli magnificavano il Settimino e lui aveva scritto la Pastorale); eppure, rileggendolo ora, non si può fare a meno di stupire ancora una volta della sua esemplarità: in particolare per Va plomb di un esordiente che, con gli spartiti di Verdi a portata di mano, insegna a tutti, più giovani e più vecchi, come si leggono; mai l'entusiasmo scomposto del neòfita, ovunque una chiarezza cartesiana che col minimo di superficie verbale distingue, definisce e fa capire. * * Perfettamente naturale che la mia generazione ci abbia poi trovato la prima porta verso l'opera in musica. Cresciuti a Torino, senza grandi teatri d'opera, la musica era «la musica strumentale», da Bach a Chopin, e non era prevedibile che lì dentro ci potesse entrare il Rigoletto. Ma più significativo che da quel libro avesse imparato pure la generazione precedente: con la consueta prontezza l'aveva detto subito Fedele D'Amico, quando io. un articolo del 1942 (sul volume miscellaneo Musica, Sansoni) dimostrava come il maturo quartetto dei Ronga, Della Corte, Pannain e Parente accettasse «in pieno il metodo e l'impostazione» della monografia di Mila ventenne. Nel lavoro successivo, negli incontri continui a teatro e al pianoforte con la musica di Verdi, si sono venuti precisando i contorni delle opere. Alcune formulazioni dello studioso erano cosi pregnanti che entrarono quasi in proverbio: il carattere decadentistico del Don Carlos, {'«alone febbrile» che accompagna i gesti del protagonista; «la patria sentita come clima e come istinto», la «terrestre animalità» di «Là tra foreste vergini» di Aida; il «corale del buon governo» per cullare i sonni di Riccardo nel Ballo in maschera; {'«umanità indistinta» che nella Forza del destino quasi sommerge le vicende individuali; Violetta che muore «come un'eroina»; le effusioni di Fenton e Nannetta, viste dal Falstaff con la tenerezza dei vecchi «che hanno molto vissuto e la vita lasciano senza rimpianti». Tutti pescarono in queste definizioni, che poi si propagarono e circolarono liberamente, senza che la fonte venisse più menzionata. Se dovessimo indicare, tenendone sott'occhio tutta l'esperienza, qual è la centralità, il fattore unificante della lettura verdiana di Mila, proverem¬ mcsvtbn mo a indicarlo nel quoziente di contemporaneità che lo studioso percepisce e immette a sua volta nell'arte di Verdi. In parte, lo riconosce anche lui: il libro del 1931 «testimoniava d'una nuova congiuntura del gusto, nella quale diventava possibile, a giovani infatuati di Debussy e di Ravel, di Stravinski e di Hindemith, e magari del jazz, nutrire un amore schietto e irresistibile per l'arte verdiana». E' questa apertura che dava alle sue pagine tono e impostazione così diversi da quelle, pur documentate e meditate, di Roncaglia e Della Corte, assai meno propensi all'arte contemporanea; e anche oggi è un uomo che vive nel presente quello che continua a interrogare Verdi, un uomo radicalmente incapace di pensare che la musica finisca, o che al punto morto attuale non possano seguirne altri vivi. La descrizione della brutalità forsennata che apre l'Otello, con riferimenti all'espressionismo, fra suono e rumore, è impensabile senza Mila crìtico della musica del nostro tempo; e l'ipersensibile annotazione relativa «all'osceno sogno di Cassio, dove il tempo di Siciliana lenta... evoca la madida,-sudaticcia intimità notturna del sonno in comune» sembra lasciar trasparire un famoso quadro del Wozzek di Berg. Sono «le battute di un colloquio con Verdi che dura da mezzo secolo», i riflessi che la sua arte continua a emanare sulla nostra cultura, come una presenza sempre da investigare. E' intuibile che il luogo in cui testo verdiano e sensibilità moderna si congiungono più ampiamente è proprio l'inedito scritto sull'Otello, quasi una monografia condotta fra i due' estremi di sottigliezze minime (ponendo l'accento su quella sillaba, su quell'accordo) e di vaste sintesi. Qui Mila scende in campo, con insolito ardore polemico, contro i detrattori dell'opera, testimonianza, a detta di taluni, di caligine senile, di stanchezza e di intellettualismo, complice Boito. Ora, il ribasso delle azioni di Otello nella più recente letteratura critica, sono forse da collegare a una generale simpatia per l'irrazionalismo: il superamento della sommaria psicologia del melodramma quarantottesco verso il realismo di sentimenti analizzati nel loro sviluppo organico, non è più considerato, ad un certo punto, un valore tanto prezioso. Ma proprio qui si inserisce l'originalità del saggio sull'O tello: vagliando tutte le testi' monianze possibili (specie nel recente, informatissimo carteggio Verdi-Boito edito dall'Istituto di Studi Verdiani) e, ancor più, ricorrendo agli strumenti più penetranti dell'analisi stilistica, Mila propone un'immagine dell'opera come capolavoro dell'arte moderna, «situato nell'atmosfera della fin di secolo, tra art nouveau e pensiero negativo»; cioè Mila rilancia in positivo {'«intellettualismo» dell'opera come cifra di inquietudine, di crisi in seno al decadentismo europeo. E l'indagine non è meno persuasiva per la simpatia umana che si avverte per l'ultimo Verdi, canuta quercia solitaria fra l'agitarsi di modernisti e scapigliati; quasi che l'ammirazione profonda, autobiografica, del musicista per i suoi vecchiardi coriacei (Filippo II, Fiesco) sia trasvolata nel critico, e da questi applicata all'im magine di Verdi nella sua ulti ma, fecondissima stagione. Giorgio Pestelli 1

Luoghi citati: Milano, Torino, Venezia