Bruxelles chiederebbe a Tekye tregua commerciale di 4 anni di Renato Proni

Bruxelles chiederebbe a Tekye tregua commerciale di 4 anni Come alternativa alla limitazione dell'import Bruxelles chiederebbe a Tekye tregua commerciale di 4 anni BRUXELLES — La Cee. dopo la riunione di martedì dei ministri degli Esteri, sta elaborando una nuova strategia commerciale con il Giappone. A Lussemburgo, lunedi e martedì, i capi di governo dei nove Paesi diranno con chiarezza che l'attuale squilibrio commerciale non è più tollerabile. Non dichiarato, ma implicito, sarà l'avvertimento che la Comunità potrebbe anche imporre limitazioni sulle importazioni di certi prodotti giapponesi, se Tokyo non ridurrà lo smercio dei suoi prodotti, se non lascerà fluttuare in modo «pulito» lo yen e se non acquisterà una quantità maggiore di merci europee. Se invece Tokyo seguirà questi suggerimenti, la strada sarà aperta per un negoziato, nel quale la Cee dovrà essere considerata come «un mercato unico». E' un fatto che la situazione attuale è assai insoddisfacente, n passivo nella bilancia commerciale europea con il Giappone, nel 1980, sarà di 10 miliardi di dollari. Il Giappone vende in Europa automobili per 5 miliar- di di dollari; 10 mila uomini d'affari giapponesi si trovano attualmente nel Paesi della Cee. I capi di governo, a differenza delle altre occasioni, sono intenzionati ad ottenere risultati molto presto, si dice entro marzo, per riequilibrare i commerci. Intanto, i ministri degli Esteri europei hanno rifiutato il mandato di negoziare con il Giappone alla Commissione europea, perché c'è ancora disaccordo sui fini e sui mezzi delle trattative. La Germania (liberista e competitiva, ma sempre meno come dimostrano le preoccupazioni della sua industria automobilistica) e l'Inghilterra, praticamente «colonizzata» dai giapponesi nei settori delle auto e dei televisori, vorrebbero negoziare con il Giappone sulla base della reciprocità: la Cee abolirebbe le «quote restrittive» (70 in tutto) sui prodotti giapponesi, in cambio di un impegno, ancorché vago, di Tokyo ad aprire i suoi mercati alle merci europee. L'Italia e la Francia rifiutano questa strategia semplicistica e chiedono che prima i giapponesi dimostrino concretamente la volontà di equilibrare i flussi commerciali. Per esempio, il Giappone è accusato di aver lasciato deprezzare del 22 per cento lo yen, tra l'aprile del '79 e l'aprile dell'80. per sostenere le sue esportazioni. A Lussemburgo, probabilmente prevarrà la linea «dura» italo-francese. Quando si negozierà, cioè, certe restrizioni quantitative sulle importazioni giapponesi, come le automobili, non saranno incluse nel ventaglio delle possibili concessioni. Altrimenti, i mercati dell'auto italiano e francese, ora praticamente chiusi, sarebbero invasi dalle vetture «made in Japan», senza sicurezza di contropartite. L'obiettivo della Cee, invece, è di ottenere una limitazione delle esportazioni giapponesi in alcuni settori chiave per almeno quattro anni, per dare tempo al¬ le nostre industrie di ristrutturarsi e di diventare competitive (ma lo faranno?). La Cee adotterebbe anche misure restrittive dirette, se non temesse gli effetti politico-economici di tale misura nei rapporti triangolari Europa-Giappone-America. Difatti, se l'Europa bloccasse le merci giapponesi, queste tenderebbero a riversarsi sul mercato americano e viceversa. Alla Commissione europea, invece, si trovano esperti che teorizzano concessioni giapponesi in cambio di promesse tutte da verificare, senza che i nostri commissari ostacolino queste pericolose strategie. E' vero, tuttavia, che il Giappone esporta il 10 per cento del suo prodotto nazionale, contro il 25 per cento della Comunità. Certamente, si possono abolire le quote sull'importazione in Italia degli ombrelli giapponesi, della carne e dei cavalli vivi (che il Giappone non ha da vendere, almeno per 11 momento) e su altri prodotti minori. Ci sono, in effetti, violazioni degli accordi Gatt da ambo le parti, ma per ora è l'Europa a rimetterci. Renato Proni

Persone citate: Gatt