Quelle 100 mila col «vischio» che acchiappavano i riciclatori di Remo Lugli

Quelle 100 mila col «vischio» che acchiappavano i riciclatori A colloquio con il magistrato che emanò l'ordinanza Quelle 100 mila col «vischio» che acchiappavano i riciclatori «Non fu un errore» dice il protagonista - Chi versava banconote di grosso taglio, doveva lasciare nome e cognome - Il provvedimento fu aspramente criticato e poi sospeso - Ma nel frattempo quattro persone sono finite in carcere DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE REGGIO CALABRIA — L'il agosto scorso, un lunedi — si era già nel clima festoso della vigilia ferragostana — agli sportelli delle banche e degli uffici postali di tutta Italia ci fu una sorpresa: se si doveva fare un pagamento con biglietti da 100 mila lire, era obbligatorio presentare un documento perché 11 cassiere era tenuto a compilare un modulo con le generalità e i numeri di serie delle banconote. Un coro di proteste: si lamentavano i clienti che avevano fretta e gli impiegati che vedevano accresciuto il loro lavoro. Dalle parole dette alle parole scritte: i giornali criticarono e pubblicarono anche il motivo e l'origine di quel provvedimento: veniva da un magistrato reggino che cercava cosi di individuare i possessori di denaro proveniente dal riscatto di un sequestro. Il giorno 13, di fronte alla valanga delle proteste, ci fu la revoca dell'ordinanza. Clienti e cassieri sospirarono di sollievo. Ci furono le ferie, di quei controlli non si parlò più. Fu un errore quel provvedimento? Portò a qualche risultato, seppure in un cosi breve tempo di validità? Ne parliamo con il protagonista, l'ideatore e autore dell'ordinanza, il sostituto procuratore dott. Francesco Colicchia. E' un calabrese, di Seminara, 45 anni, 17 anni di carriera, una permanenza anche, come pretore, a Torino dal 67 al 78. 'Non fu un errore — risponde, — tutt'altro: dimostrò che io ero nel giusto e che attraverso quella via si potrebbero raggiungere grossi risultati sul piano delle indagini. Ci furono appena tre giorni utili e, nonostante il clamore che si stava facendo sui giornali, negativo per gli scopi che l'indagine si prefiggeva, fu possibile procedere a quattro arresti di persone che detenevano denaro "sporco"». Il primo a cadere nella trappola fu, a Palermo, Natale Buscetta, figlio del boss Tommaso, che aveva presentato 54 biglietti da 100 mila provenienti da una rata del sequestro Armellini. A Reggio Calabria furono arrestati Domenico Catalano, macellaio, che aveva 16 banconote del sequestro dell'imprenditore Francesco Rullo, di cui si stava occupando in quei giorni il dott. Colicchia; Domenico Errante, proprietario di un distributore di carburante e Antonino Zampagliene, autotrasportatore, che avevano denaro di altri sequestri. •Non solo — dice il magistrato —: si è anche accertato che era passato per la Calabria denaro del duplice sequestro Ghezzi-De André, avvenuto in Sardegna. Cioè una conferma che in molti sequestri, anche avvenuti lontano dalla Calabria, c'entrano dei calabresi Del resto questa è una regione certamente ai primi posti nella graduatoria di questo reato: dal 63 ad oggi, 73 persone sequestrate, di cui 54 nella sola provincia di Reggio, 16 in quella di Catanzaro e 3 di Cosenza. L'incremento è fortissimo negli ultimi anni: dal primo gennaio 78, nella nostra provincia sono stati 16, dei quali 7 hanno dato un "fatturato" di quasi 3 miliardi». L'ordinanza che il dott. Colicchia aveva diramato, stabiliva che ogni banca e ogni ufficio postale alla chiusura degli sportelli, trasmettesse alla questura la distinta dei numeri di serie delle banconote e le generalità dei relativi possessori. Le questure dovevano poi interrogare, attraverso i loro terminali, il «cervellone» di Roma nel quale sono memorizzati serie e numeri dei biglietti pagati per riscatto. Una delle prime obiezioni che è stata rivolta al dott. Colicchia è questa: essendo a conoscenza di questo controllo, i possessori di denaro «sporco» se ne guardano dal versarlo in banca. 'Il punto è proprio questo: la conoscenza — dice il sostituto procuratore —. Il mio provvedimento doveva rimanere segreto, il controllo doveva apparire, ai clienti, come una verifica interna della banca. Un conto è intuire che l'accertamento possa servire a quello scopo e un conto è averne la certezza. Purtroppo gli organi di stampa hanno subito reso noto lo scopo e si sono anclie accaniti contro di me »■ «Sulla sua decisione era d'accordo anche il suo superiore diretto?». 'Il procuratore capo era assente, per ferie. Ho agito di mia sola iniziativa, consapevole delle difficoltà che avrei creato al personale delle banche e delle questure, ma al tempo stesso fiducioso nella consapevolezza che ognuno di noi dovrebbe avere per fare valere la giustizia». «n provvedimento di revoca le è stato imposto dall'alto?» 'Assolutamente no, non ho avuto alcuna pressione. E' una decisione che ho preso spontaneamente, dopo essermi visto subissato da critiche e da incomprensione. Un giornale ha persino scritto che dubitava delle mie facoltà mentali Sono rimasto molto deluso e amareggiato». «Perduta questa occasione di verifiche, quale altro sistema potrebbe essere possibile, secondo lei, per combattere i sequestratori?». «Si possono scoraggiare in due modi. Vanificando il profitto, come io ho cercato di fare, e calcando la mano sulle pene. A mio avviso la carcerazione, per questo tipo di reato, dovrebbe essere più dura. Remo Lugli

Persone citate: Antonino Zampagliene, Colicchia, De André, Domenico Catalano, Domenico Errante, Francesco Colicchia, Ghezzi, Natale Buscetta