Confronto teso alla Camera ma tanti i deputali assenti di Alberto Rapisarda

Confronto teso alla Camera ma tanti i deputali assenti Confronto teso alla Camera ma tanti i deputali assenti (Segue dalla l'pagina) sa dal comunista Di Giallo. Anche l'ex capo del Sid Miceli, oggi deputato missino, è intervenuto. Al termine di questo lungo dibattito è risultato che: 1) Il governo, che era parso sicuro e compatto appena 48 ore prima al Senato, ha mostrato divisioni interne circa l'opportunità di fare dimettere o meno i personaggi «chiacchierati» per lo scandalo petroli (il ministro democristiano Bisaglia, i sottosegretari socialisti Di Vagno e Magnani Noja). Il presidente del Consiglio Forlani ha detto «no» alle dimissioni. Il capogruppo socialista Labriola ha detto che ci si deve dimettere solo «quando c'è un dubbio consistente», ed è parso di capire che si riferisse unicamente a Bisaglia. Il segretario socialdemocratico Longo, fuori dall'aula, ha sostenuto l'opportunità delle dimissioni di tutti («c'è anche il problema di comprendere quando è il momento nel quale, restando ad ogni costo sulla scena, si può concorrere ad indebolire la credibilità democratica del partito e delle istituzioni»). 2) Il partito comunista, decidendo con il discorso del capogruppo Di Giulio di suscitare e capeggiare «la rivolta degli onesti», ha anche segnato probabilmente un definitivo cambiamento di rotta strategica, arrivando di fatto alla conclusione che nella de i comunisti non riescono ormai a trovare più interlocutori credibili. Una svolta che Di Giulio ha voluto sottolineare con un gesto clamoroso, andando a sedersi a pochi banchi di distanza dal liberale Bozzi, quando questi ha preso la parola. Come a far capire che il pei oggi cerca il collegamento soprattutto con le forze che si impegnano con maggiore credibilità nella battaglia per la moralizzazione della vita pubblica. E infatti il discorso di Bozzi è stato, al pari di quello di Di Giulio, una dura e preoccupata requisitoria contro la corruzione divenuta sistema di potere. La seduta era cominciata di buon mattino, alle 9,30, alla presenza di ben pochi deputati dei quattro partiti di governo. Sui banchi della de per tutta la giornata, malgrado l'Importanza dell'appuntamento, ci sono stati una ventina di deputati sui 262 eletti (Andreotti è stato sempre presente). Sui banchi del psi ce n'erano 5-6 e mancava tra gli altri Craxi. Dalla tribuna degli ospiti, la sorella del giornalista assassinato Mino Pecoreili ha seguito lo svolgimento di tutto il dibattito. Il ministro della Difesa Lagorio (psi), che ha parlato per primo, ha confermato che ha disposto una «ricognizione» nel vecchio archivio del dlsciolto Sid da concludere in un mese, e ha detto che ha aperto procedimento disciplinare contro il capo del Sid di allora (Miceli), il capo dell'ufficio D (Maletti) e 1 suoi due segretari. Si tratta di un vero e proprio processo di diritto militare, che si conclude con una sentenza, ha tenuto a precisare. Il ministro Sarti ha spiegato che più di quanto sta facendo non può, per non interferire nelle libere scelte di un potere autonomo come è la magistratura. Il ministro Reviglio ha annunciato i provvedimenti che saranno discussi tra poco dal Parlamento per porre fine alle incertezze legislative che hanno reso più facili le ruberie sui petroli ed ha assicurato che la Guardia di Finanza non sarà più utilizzata in funzione di ordine pubblico. Il presidente del Consiglio Forlani ha negato che siano opportune le dimissioni di Bisaglia e dei due sottosegretari, perché non si possono «gettare in pasto agli istinti più emotivi» gli nomini «prima che gli accertamenti siano svolti». Il governo vuole fare chiarezza, ma «nessuno speri, nella confusione, di trovare il governo nei panni di una ingenua Biancaneve pronta a mordere la mela avvelenata di eventuali intrighi e di torbide manovre», ha ammonito. Certo «questo è un tempo di sospetto di cui bisogna liberarsi», ha aggiunto, provocando la reazione del radicale Mnlega che gli ha gridato: «Spudorato». Contro questo «no» alle dimissioni si sono schierati tutti i partiti dell'opposizione, appoggiati in questo anche da uomini dei partiti di governo. Tutti costoro mostravano a dito, nel corridoio di Montecitorio, 11 de Zamberlètti, un personaggio che può essere considerato un modello di correttezza per la prontezza con la quale si dimise dalla carica di sottosegretario quando circolarono le voci su ruberie di un suo collaboratore in occasione del terremoto nel Friuli. Zamberlètti usci assolutamente pulito dalla vicenda, ma rimase a lungo emarginato dal suo partito, «forse per punizione, perché il suo non diventasse un esempio da seguire» rilevava un altro democristiano. Il capogruppo comunista Di Giulio ha lanciato due «ultimatum» col suo intervento: uno ai democristiani, e ad Andreotti, perché dimostrassero entro ieri sera che erano capaci «di farla finita con l'uso delle parole mezze dette». L'altro rivolto ai socialisti, invitandoli a decidere prima di Natale che posizione prendere nella commissione inquirente sullo scandalo Italcasse, per confermare con i fatti le loro buone intenzioni di moralizzatori. La risposta di Andreotti non ha soddisfatto il pel, ed ha probabilmente rotto definitivamente 11 filo che ha legato fino a Ieri l'ex presidente del Consiglio con Botteghe Oscure. «La Repubblica è a un bivio — ha detto II liberale Bossi —: o tutti troveranno la fona di recuperare le energie per ridare onore ai valori repubblicani e costituzionali, oppure si accentuerà la disarticolazione sociale tra feudi in lotta fra di loro». Ed ha chiesto, tra calorosi applausi anche del pei, la costituzione di una commissione parlamentare di Inchiesta. D repubblicano Olcese ha condiviso «l'angoscia e le preoccupazioni» di Bozzi concordando nel sospetto che il «Paese appare coperto da mafie e massonerie che si combattono a vicenda». Il radicale Cicciomessere ha chiesto la smilitarizzazione della Guardia di Finanza. Alberto Rapisarda

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