Diabolici uomini a molla di Francesco Rosso

Diabolici uomini a molla SI RISCOPRONO I GIOCATTOLI ANTENATI DEI ROBOT Diabolici uomini a molla «Lo scrìvano», «La musicista», «Il disegnatore» sono l'attrazione del museo di Neuchàtel: nel '700 resero celebre il loro artefice, l'orologiaio svizzero Jacquet-Droz - Ma è a Montecarlo la più ricca collezione di meraviglie meccaniche - La loro storia rìsale alla Cina antica e ai faraoni - Miti e superstizioni MONTECARLO — Leziose, fatue, decisamente improbabili, le andreidi e gli androidi dovrebbero rimanere confinati nel mondo fantasioso dei giocattoli meccanici, perché tali sono, almeno apparentemente; che grazie a una molla, un'imitazione umana strabuzzi gli occhi, muova le braccia, pesti le dita meccaniche su un fragile clavicembaletto, sospiri, pronunci persino qualche parola, non dovrebbe meravigliare troppo in un mondo come l'attuale, regolato ormai da esasperato meccanicismo. Invece, il riflusso d'interesse per questi 'giocattoli* dal levigato volto di porcellana, legno, o cera, sta vivendo una stagione fervida; guardiamo indietro nei secoli per scoprire gli antenati del computer proprio nei congegni meccanici, ai quali gli inventori hanno sempre dato aspetto umano. Da qui il termine •androide* eppoi, coniato da Villiers de l'Isle Adam, il suo femminile, •andreide*. Di tale interesse, è testimonianza il volume che Franco Maria Ricci, nelle sue preziose edizioni, dedica al settecentesco, celebre orologiaio svizzero, Pierre Jacquet-Droz col titolo Androidi. Perché, partito dagli orologi, e seguendo un filone che risale indietro nei millenni fino alle raffinate corti pechinesi, eppoi a quelle faraoniche, Jacquet-Droz ha costruito un • Trio* di marionette meccaniche battezzate: 'Lo scrìvano*, «Lo musicista*, 'Il disegnatore*, che ha fatto il giro del mondo, reso celebre il suo nome procurandogli, ciò che non guastava nemmeno allora, cospicua ricchezza. Quel trio, ripulito da tarme e polvere accumulate in chi sa quali solai, è stato restaurato, rimesso in condizione di scrivere, suonare, disegnare e infine, messo al sicuro dal tempo in una bacheca del museo di NeuchAtel, poco lontano da La-Chaux-deFonds, patria di orologiai nonché di Jacquet-Droz, e II vi resterà per meravigliare ancora a lungo i molti visitatori svizzeri e stranieri. 1 «pezzi* di Jacquet-Droz sono tre; che dire della •Collection de Galèa* conservata nella villa dal giardino labirintico di Montecarlo, ideata dall'architetto Charles Garnier (Opera di Parigi, Casinò di Montecarlo, ville e chiesa di Bordighera) dove di queste meraviglie meccaniche ve ne sono oltre un centinaio? L'avvocato, lo scimmione fumatore, i ginnasti, la pianista-arpista, llncantatrice di serpenti, la corte di Eugenia de Montijo pare attendano, con le infinite altre, ben chiuse nei loro scrigni di vetro, im- mobili, gli occhi vitrei, l'aspetto ebete, il tocco magico che le faccia vivere. Viene il guardiano, gira chiavi e manovelle, introduce qualche franco nelle fessure, e quel mondo fatto di leve, molle, rotelle, prende ad agitarsi con scricchiolii, a suonare metallici motivetti, a fischiare, fumare, blaterare. La pastorella muove la testa di porcellana, il coperchio del cesto che tiene fra le braccia si alza, l'agnellino che se ne sta lì da oltre un secolo, bela quieto. Dicono che la collezione di Montecarlo, messa insieme da M.me de Galèa, maniaca di androidi, eppoi donata da un suo nipote al Museo Nazionale, sia la più ricca e più celebre del mondo, e c'è da crederlo a giudicare dal numero davvero eccezionale di •Automates*. Che si tratti di giocattoli creati da geniali meccanici, non si può mettere in dubbio; eppure, allorché quel mondo di ferraglia si mette in azione, non si sfugge a una sensazione di disagio, come se quelle centinaia di copie umane non siano soltanto fatte di legno, metallo e altro, ma vivano di vita propria; ed il pubblico, sempre foltissimo, che si aggira fra giocolieri, gheise, canzonettiste, ammira, ma non si diverte; anzi, si direbbe che il gioco provochi un sottile brivido. A questo punto bisogna pur interrogarsi sull'androide, cercar di comprendere perché abbia, da sempre, eccitato fantasie morbose, fino a provocare paura, se non orrore, in chi li guardava (ed anche in chi li guarda ora). Gian Paolo Ceserani, nel volume appena pubblicato da Feltrinelli, I falsi Adami, riprende molto allindietro nel tempo la storia degli androidi e analizza le cause per cui. ancora oggi, quelle creazioni meccaniche pare odorino di zolfo, e perché il subconscio popolaresco avverta nei loro visceri di metallo la presenza del demonio, del diabbolo, che muove i congegni. Se ciò accade è anche a causa delle intenzioni dei creatori di automi, ma soprattutto della Chiesa, eppoi della letteratura, che si è impadronita di queste pupattole meccaniche per invenzioni fantascientifiche quasi sempre dense di horror. La prima leggenda ci narra di un cinese che costruì un bellissimo ragazzo che ballava, cantava, faceva inchini con la grazia di un uomo vero. Lo presentò all'imperatore dicendogli: •E' mio figlio». Ma il piccolo robot avanlettera incominciò a fissare con eccessiva ammirazione l'imperatrice; stava emancipandosi, diventando uomo, forse incominciava ad avere un'anima. L'imperatore lo condannò a morte, ma il •padre*, comprendendo che la sua creatura diventava pericolosa, toccò un filo e lo distrusse. Ciò non impedì che altri meccanici continuassero a costruire automi, e se il mito racconta del cane meccanico costruito da Giasone e messo a guardia della nave Argo nella Colchide, la storia ci rammenta le inrvnzioni di Erone (V secolo d.C.) ciabattino greco che meravigliava il mondo coi suoi animali e uomini semoventi, con invenzioni incredibili, come la pignatta a vapore, precedendo Papin e Fulton. Il periodo nero per i creatori di androidi fu il Medioevo; la Chiesa considerò peccato imitare l'opera di Dio, per cui riprese corpo il mito di Prometeo che ruba la scintilla vitale a Giove e la regala agli uomini. Credevano davvero, i costruttori di automi, di gareggiare con Dio •creando* esemplari meccanici dalle apparenze umane? Probabilmente ci credettero, perché la Chiesa non si sarebbe tanto accanita contro gli androidi se non avesse fiutato nei loro •genitori* odori di sulfurea superbia. Non potendo sbizzarrirsi con gli androidi, per non finire sul rogo, i meccanici si diedero all'orologeria, e ne vennero capolavori, coi jaquemarts che con martelli battevano le ore sulle campane. I più celebri sono i Mori di Venezia. Il Rinascimento soffoca i terrori demoniaci e ritorna alle bambole semoventi. Ma il secolo più fecondo per questi marchingegni fu il Settecento, il secolo dei lumi, ed il più grande creatore di androidi fu il grenoblese Jacques Vaucasson; nel 1738 presentò il primo trio meccanico della storia; -Il tamburino*. •Il flautista* e 'Il piffero*. Mandò in estasi il mondo, che finì per perdere la testa quand'egli presentò •L'anatra*, naturalmente meccanica, che si sprimacciava le piume, nuotava, prendeva il grano dalle mani di chi gliel'offriva; lo masticava. Seguiva la fantastica •deiezione*. Passò in seconda linea la vera, rivoluzionaria invenzione di Vaucasson: i cartoni traforati per i telai meccanici da lui scoperti. Invenzioni autentiche e ciurmeria, questa sì diabolica, sono la chiave del singolare mondo degli androidi; il più celebre automa fu l'imbroglio di Wolfgang Von Kempen, un •Turco* automatico, imbattibile a scacchi. Sconfisse Caterina la Grande, Federico II di Prussia, e fece ancora in tempo a sconfiggere Napoleone, il quale, non abituato a perdere, pare abbia ordinato di distruggere il •Turco* truffatore. La creazione di androidi fu sempre argomento preferito da artisti (si pensi ai giochi meccanici di Leonardo) e da filosofi e scrittori; Cartesio vi si accostò con molto rispetto, Lamettrie fu un po'più guardingo, Rousseau se ne entusiasmò. Ma furono i letterati, a incominciare da Goethe, ad infatuarsi del sfalso Adamo*, a pensare che l'uomo poteva competere con Dio creando il suo simile. Egli non pensò alla meccanica, ma all'alchimia, ed il suo homunculus è ben il precursore della fecondazione in provetta. L'androide creato dalle mani dell'uomo, quasi sempre ha influenze nefaste in letteratura, con l'eccezione di Pinocchio, il quale, unico, aspira a diventare un bambino perbene. Il resto, è solo tragedia. • Frankenstein*, ridotto per non so quante versioni cinematografiche, è del 1818; nasce pazzoide, sanguinario, presto ribelle al suo creatore, o costruttore. In •Eva futura*, Villiers de l'Isle Adam inventa •Hadaly*. una bambola così bella e veritiera che fa davvero innamorare e dannare gli uomini. Non accadde identica avventura a Pigmalione con Galateo, alla •Olimpia* di E.T. Hoffmann, a •Frantine* di Cartesio? Potremmo continuare all'infinito. Infine, appare il robot, l 'uomo meccanico che può fare tutto. A proporcelo fu Isaac Asimov col suo libro Io Robot che, si badi alla data, è del 1950, un'epoca già posseduta dai transistor se non dai computer. Quel 'Robot* di Asimov è ormai obsoleto, ma rappresenta uno spartiacque importante; rivela la differenza tra la fantascienza, un susseguirsi di avventure e personaggi improbabili, ed il robotismo, che invece possiede un'architettura pressoché perfetta, tutta verificabile. Inoltre, ti fa notare come dagli automatismi potessero derivare con grande antitipo scoperte sensazionali (il vaso di Erone è il progenitore della caldaia a vapore, arrivata quasi due millenni dopo), ma se hanno spianato quasi involontariamente la strada dell'automazione, i creatori di automi si sono poi arrestati alla costruzione di giocattoli mirabili, dei quali, l'apparizione più recente è il • bestiario* di Luca Ronconi per l'Orlando Furioso, che però era già tutto nel teatro meccanico di Erone. Gli automatisti hanno avuto paura a varcare certi limiti, davvero il confine col mistero li ha sgomentati? Oppure non hanno compreso fin dove potevano giungere con le loro creature meccaniche? Non svela l'enigma il •Trio* di Jacquet-Droz che Franco Maria Ricci ci ripropone col suo prezioso volume ricco di illustrazioni, né lo svelano le centinaia di enigmatici androidi che affollano le sale del Museo di Montecarlo. Francesco Rosso IVlontecarlo. «Pierrot scrittore» e la «Pianista-arpista» della Collection de Galèa

Luoghi citati: Cina, Montecarlo, Parigi, Prussia, Venezia