New York, voti e lusso all'italiana di Lietta Tornabuoni

New York, voti e lusso all'italiana IL NOSTRO STILE NON SEMBRA MAI STATO TANTO DI MODA New York, voti e lusso all'italiana Piacciono vini e cibi della Penisola - Non scoraggiano i prezzi di pelletterìe e abiti «firmati» - La nostra cultura è in pieno rilancio - E gli italo-americani pensano di costituire un gruppo di pressione politico-economica DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NEW YORK — C'è uno che accoglie all'aeroporto Kennedy il fratello che torna da un giro in Europa, gli chiede: «E l'Italia, l'Italia? E' vero che chiude tra due settimane?)). Buona battuta. Sta in Capitolo secondo, un film scrìtto dal gran battutista Neil Simon: eppure a New York lo stile italiano non sembra mai stato tanto alla moda. Anche per via delle elezioni presidenziali, e anche lo stile non migliore. Gli americani d'orìgine italiana sono 14 oppure 25 milioni a seconda delle diverse inchieste, all'88 per cento vivono nelle grandi città e, almeno quelli benestanti, hanno votato moltissimo per Reagan; è italoamericano uno dei potenti finanzieri californiani che dall'inizio lanciarono e sostennero Reagan in politica, Henry Salvatori; è italoamericano e repubblicano uno dei senatori eletti nello Stato di New York, Alphonse D'Amato, contro il quale durante la campagna elettorale i liberals avevano condotto polemiche che lo illustravano come personaggio a dir poco losco. Con la vittoria di Reagan, sembra adesso meno astratto un sogno mai realizzato dell'industriale Jeno (Gino) Paulucci e d'altri, quello di costituire gli italoamericani in una vera lobby, un gruppo di pressione politico-economica capace d'influenzare e condizionare i politici di Washington. Intanto, come strumento d'aggregazione, da quindici mesi Paulucci pubblica una ricca rivista patinata e colorata, apparentemente dedicata all'autoesalta- zione italoamericana o all'in-1 formazione italiana di varietà J più che alla politica, dal titolo eloquente: Attenzione. Nella cultura del lusso della Quinta Strada, sono italiani i negozi di vestiti e pelletterie più belli e sfrenatamente costosi, eleganti e ricchissimi, tanto cari e tanto di successo da avere spiazzato tutti gli altri nel settore e fatto aumentare tutti i prezzi. Ci sono i nostri geniali Armani, Krizia, Missoni, Versace, i soliti Gucci, Capucci, Fiorucci e compagnucci, e pure nomi che da noi sono più qualunque. Magli, Rossetti, Gabrielli, splendono qui di fasto milionario. I settimanali pubblicano saggi sui vini italiani, che rappresentano i due terzi di tutti i vini d'importazione in America. Ristoranti e cibi italiani piacciono persino più di quanto piacessero a Londra negli Anni Sessanta: ce ne sono oltre cinquanta, battezzati con un nome (Mario's, Mimmo's, Lino's, Tino's, Gianni's, Bacigalup's, Gargiulo's), evocanti specialità nazionali (Paparazzi, Capriccio e Fortuna, Monsignore e Gattopardo, Monello e Menestrello, Pronto, Salta In Bocca), anche più poeticamente chiamati Iperbole o Divino Ristorante. Al Museum of Modem Art già lavorano a organizzare la manifestazione culturale che ne inaugurerà nel 1982-'83 la sede ampliata e rinnovata: un lungo Seminario dedicato alla commedia cinematografica italiana del dopoguerra, con proiezione di cinquanta film. Alla Carnegie Hall, la «prima» di Chorus di Luciano Berto è stata un evento. Oltre la cultura e il cibo e il lusso, il punto-chiave resta po- litico. «Gli italiani d'America potrebbero anche riuscirci a formare una lobby, ma sono divisi. Paulucci, re delle pizze surgelate, miliardario sui cinquant'anni, uno pieno d'oro come il Bambin Gesù dell'Aracoeli a Roma, fondatore della Nctional Itali un American Foundation che raccoglie gli italoamericani arrivati, ci punta molto: vuol diventare Presidente degli Stati Uniti», dice il giornalista televisivo Paolo Frajese. Lui ha compiti diversi: da cinque mesi dirige e realizza sul Canale 47 le trasmissioni televisive che la Rai destina ai telespettatori italoamericani, il settimanale domenicale Qui, pomeriggio italiano. C'è arrivato per caso: «Stavo per lasciare la Rai-tv, e l'attuale direttore generale Villy De Luca mi chiamò. In passato aveva- | rno litigato, io m'ero rifiutato di ' leggere al telegiornale un enne- simo telegramma dell'alloro presidente Saragat e lui m'aveva tolto dal video; ma più tardi affidò La domenica sportiva a me anziché a Luca Liguori, che pure s'era fatto fare apposta una plastica al naso e una raccomandazione da Rumor. Stavo per andarmene alla tv privata di Berlusconi. De Luca mi chiamò: Paoletto, vuoi andare a New York?». Quale immagine d'Italia fornisce la Rai agli italoamericani? Per esempio: brevi notizie politiche e sindacali, mezza partita di calcio e tutti i risultati sportivi domenicali, il teleromanzo su Leonardo, giochi di prestigio del mago Binarelli, Claudio Villa e le sue canzoni, sfilate di moda da Firenze a cura di Bianca Maria Piccinino, festeggiamenti del Colum¬ bus Day a New York e a Genova, il palio di Siena, rievocazione storica nel cinquantesimo anniversario del volo di Italo BalboSolo roba cosi? «Un'Italia né bene né male. Del nostro Paese la gente non sa nulla, qui: la tv americana non dà notizie italiane, la stampa italoamericana è quella che è, tanti immigrati son rimasti fermi a quarant'anni fa e se tengono in casa i posters di Mussolini non vuol dire che siano fascisti: per loro Mussolini è l'Italia. Quando ho dato notizia della strage di Bologna, un sacco di proteste: "Fateci vedere le cose belle", dicevano. Il pubblico è molto misto: gli arrivati e i ghettizzati, la minoranza complessata e razzista, antiebrea e antinegra, gli inseriti che parlano soltanto inglese e si sono introdotti nelle strutture statali...». Ma è vero che nuovo impulso alle teletrasmissioni è stato dato per ragioni politiche italiane, per esercitare influenza elettorale, in vista della legge che consentirà anche agli emigrati di votare, per lettera o presso le sedi diplomatiche, alle elezioni italiane? «Io sono uno che vota de, ma non ne so niente. Quelli che potrebbero votare in Italia non sono molti: su 300 mila italiani di Los Angeles, per esempio, soltanto 12 mila hanno il passaporto italiano. A Brookfyn la de ha aperto da tempo una sezione, la inaugurò Zaccagnini. Può darsi che qualcuno, al momento in cui potrebbe essere utile, cerchi di usare anche la nostra tv. Non per ora, direi. Forse la prossima volta che in Italia si voterà... ». Lietta Tornabuoni ■ ;::;"'''''jiiÉ^^ìiÌr-';:iÌ{:?"- New York. Il neosenatore Alphonse D'Amato festeggia con la moglie e i figli la sua elezione