«Bisogna risvegliare il gigante che dorme»

«Bisogna risvegliare il gigante che dorme» «Bisogna risvegliare il gigante che dorme» (Segue dalla l'pagina) tiene che si sia ritorta sul Capo dello Stato l'accusa da lui rivolta all'avversario — accusa ingiusta — di volere la guerra con l'Urss. Il dato di fatto fondamentale, su cui non si può polemizzare, è comunque che gli Stati Uniti hanno compiuto una svolta a destra. La maggioranza repubblicana al Senato, l'organo che ha le maggiori competenze di politica estera, anticipa grosse modifiche nella strategia della superpotenza. L'aggressività della minoranza dello stesso partito alla Camera, a cui vengono delegate in genere le questioni interne, fa pensare a precise involuzioni. Sotto Nixon e Ford, il Congresso poteva contare sulla forza equilibratrice dei Kennedy, dei Mondale, dei Muskie, del Church, dei McGovern, dei Bayh, dei Magnuson, la grande sinistra democratica. Di tutti loro, non è rimasto che Kennedy. La svolta conservatrice è stata favorita dalla scarsa affluenza alle urne. La percentuale, il 53 per cento circa, è stata assai lontana dal record del 62 per cento, quando si scontrarono John Kennedy e Richard Nixon, e vicina al primato negativo della contesa del '48 tra Truman e Dewey, il 51 per cento. Hanno votato 85 milioni di elettori, in maggioranza bianchi e di media età. E' unanime il parere che ciò abbia agevato Reagan, già confortato dalla preferenza data da molti intellettuali, operai e negri a Anderson. Ma un maggior flusso ai seggi avrebbe ridimensionato, non impedito il suo trionfo. Il monito •stavate meglio quattro anni fa» aveva colpito nel segno. Il dramma elettorale americano si è consumato in pochi minuti, int rno alle 20 di martedi sera, le due della notte di mercoledì in Italia. Lo scrutinio del 5 per cento delle schede ha consentito ai computers proiezioni molto precise. Dalla Casa Bianca, sono giunti immediati segni di sgomento. Sotto gli occhi di 120-130 milioni di americani decisi a trascorrere in piedi l'intera nottata cifre sempre più distruttive per Carter si sono susseguite sui teleschermi. Il Presidente ha cercato di rendere pubblica la batosta, il portavoce Powell glielo ha impedito. Poi, mentre i seggi della costa occidentale erano ancora aperti, Strauss, il direttore della campagna carteriana, ha annunciato che tutto era perduto. Alla vigilia, a Whìte Plains. dove si era recato a votare, presago della vittoria di Reagan, Carter si era abbandonato al pianto. Quando è apparso in pubblico a Washington, alle 22, aveva ancora le ciglia umide. Ma ha saputo fare alcune battute di spirito. « Vi promisi il giorno della mia elezione che non avrei mai mentito — ha detto. — Non vi dirò perciò che sono contento... Ma questo è il prezzo della democrazia... Non sono riuscito a fare tutto ciò che mi ero prefisso... Voglio tuttavia che formiate quadrato attorno al prossimo Presidente.. Il Paese deve essere unito e forte». Ha concluso con un ringraziamento, abbracciando la moglie Rosa lynn e la figlia Amy. Reagan ha preso atto del trionfo un'ora più tardi, nella hall del suo albergo a Los Angeles. 'Il presidente Carter mi ha telefonato — ha dichiarato — e mi ha assicurato il più efficace passaggio delle consegne della nostra storia.. Gliene sono grato... Questo per me è un momento di profonda umiltà... Voglio ricordarvi ciò che disse Lincoln in un momento analogo: non sono spaventato, né lo è l'America... Insieme, rimetteremo il Paese in piedi». Come Carter, Reagan ha stretto a sé i congiunti e rivolgendosi alla moglie Nancy ha esclamato: •Presto avrà un nuovo titolo, ma è sempre stata la prima signora della mia vita». L'oscurità è scesa sulle sedi delle federazioni del partito democratico, che avevano preparato invano il ricevimento della vittoria, mentre i festeggiamenti in quelle del partito repubblicano sono continuati sino alla mattina successiva. Sui teleschermi sono sfilati tutti i protagonisti delle elezioni, Mondale, che pare voglia ripresentarsi candidato al Senato, e aspira alla candidatura alla presidenza nell'84, il nuovo vicepresidente Bush, l'unico che ha ricordato l'attesa del rilascio degli ostaggi dell'ambasciata a Teheran. A Boston, Kennedy si è trincerato nel silenzio. Sarà probabilmente lui, non Mondale, l'alfiere della grande coalizione di centro sinistra alle prossime elezioni, n dopo urne ha trovato i due campi opposti in clima egualmente fattivo. Reagan ha riferito che nominerà oggi l'equipe per la transizione da un governo all'altro. Ha espresso l'intenzione di rinnovare anche i quadri intermedi di Washington, gettando cosi le basi per un rafforzamento del proprio partito. Il suo braccio destro Meese ha sostenuto che •l'incarico avuto dell'elettorato è anche di mutare sistemi e uomini. Non si è trattato solo di un referendum su Carter — ha precisato — nella coalizione democratica si sono aperte falle, tra i sindacati e le minoranze etniche, di cui dobbiamo tenere conto». Carter è partito per Camp David, il rifugio nel Maryland, con la famiglia, dopo aver tenuto una breve conferenza stampa. Ha spiegato che nei prossimi due mesi e mezzo cercherà di portare a termine due missioni: il rilascio degli ostaggi, su cui peraltro si terrà a contatto quotidiano con il successore, e il vertice con il premier israelia¬ no Begin e il presidente egiziano Sadat per la soluzione della questione palestinese. Il Capo dello Stato è apparso sereno e conciliante. •Sono certo che Reagan farà il possibile per restituire gli Stati Uniti alla loro preminenza». Ha confidato che scriverà un libro di memorie, e probabilmente si ritirerà dalla politica. Sui giornali, alla radio e alla televisione è incominciata la sfilata degli esperti. Al centro c'è il «personaggio» Reagan, il presidente più vecchio della storia americana quasi 70 anni, e il primo divorziato. La curiosità maggiore riguarda gli uomini del suo governo: tornerà Kissinger? Che cosa faranno gli ex presidenti Nixon e Ford? Sarà Haig il ministro della Difesa? Poi ci sono le accuse carteriane, tutte ritirate: quella di voler intaccare ii sistema pensionistico e sanitario, oltre a quella di militarismo. Si scopre che l'ex governatore della settima potenza industriale al mondo, la California, è uno sconosciuto per il grande pubblico. Riappaiono financo le spente ombre del 1968. All'università di Berkeley in California, 3000 dimostranti, inalberanti cartelli con su scritto «La fine è vicina» e «Reagan vattene», hanno attraversato la città in corteo. Non ci sono stati scontri con la polizia, né arresti né feriti. Ennio C aretto