Prezzolini: sono cauto non sogno più di rifare gli italiani

Prezzolini: sono cauto non sogno più di rifare gli italiani Nuove pagine del diario Prezzolini: sono cauto non sogno più di rifare gli italiani . URIOSO — scrive Prezzolini sotto la data del 24 y\ maggio 1961 (aveva allora 79 anni) in un passo che mi pare centrale del suo diario — tanti parlano di me, o almeno mi ricordano a proposito della "Voce"; ed a me pare, invece, di esser sbocciato da poco e veramente di esser un altro dopo il 1930 in America. Mi pare d'esser capace di esprimermi meglio, di essere più. maturo, di saper parlare al pubblico in modo più persuasivo e di aver abbandonato un po' di quella retorica che accompagna inevitabilmente le aspirazioni dei giovani. Se non altro sono più cauto. Non sogno più di rifare gli Italiani! Non è un piccolo progresso.mi pare*. Nella riflessione autocritica sul passato, Prezzolini mescola ragioni e sentimenti assai diversi tra loro. A leggere questa seconda parte di diario tutta americana e postfascista, si ha netta l'impressione che lo scrittore toscano sia per molti aspetti ancora prigioniero della sua esperienza politico-letteraria nel primo venticinquennio del Novecento e che cerchi, senza riuscirvi compiutamente, di uscirne, di assumere una personalità nuova, distaccata da quel periodo come da problemi e polemiche che avevano caratterizzato gli anni della crisi liberale e del regime fascista. Cosi in questo volume campeggiano in misura prevalente, accanto al «privato» che vi ha un ruolo centrale, e a volte addirittura assorbente, le riflessioni sugli Stati Uniti, sull'Italia postfascista, sull'esistenza dell'uomo. Certe considerazioni che Prezzolini avanza di fronte alla caduta del fascismo e al crollo dell'asse Roma-Berlino sono significative per definire meglio di quanto si sia fatto finora il suo atteggiamento complessivo di fronte al regime mussollniano. «Quando si sia stati in attesa d'una operazione di una persona cara — scrive il 1° novembre 1943—sì dice fra noi: su fate presto, che questa tortura sia finita per lei e per noi. Così m'accade pensando all'Italia ed alla Germania: fate presto ad assassinarle che sia finita la tortura di vederle fatte a pezzettini. Pare che Croce sia riuscito a cacciar via il re e il reino, creando una reggenza, al tepor della quale cresceranno rivoluzionari e comunisti*. E il 5 maggio 1945, dopo la resa dei tedeschi, annota cupamente: «Anniversario della morte di Napoleone. Hitler è morto con decenza e con mistero. Mussolini in una rissa d'osteria. Commento udito nel nostro Faculty Club: "In battaglia gli Italiani valgono poco; ma quando si tratta di assassinare nessuno li sorpassa*. Da pensieri come quelli che si sono trascritti emerge con chiarezza come la sua professione di obbiettività e distacco dal «politico», professata già prima dell'avvento del fascismo e poi con insistenza negli anni successivi, abbia di fatto coperto una scelta di campo precisa che finiva per identificare l'Italia con il fascismo e la Germania con Hitler. Le crìtiche e i dissensi che di volta in volta Prezzolini esprìmeva nei confronti dei regimi fascisti rientravano in quell'individualismo riottoso di intellettuale isolato cui lo scrittore toscano non avrebbe comunque voluto rinunciare ma non mettevano in discussione né la sua avversione profonda al socialismo né la sua inclinazione verso una gestione della cosa pubblica affidata a pochi uomini forti, geniali, capaci di dominare le masse. Non a caso uno dei maggiori bersagli dei suoi attacchi anche in questo secondo volume è un intellettuale come Gaetano Salvemini che aveva dedicato cosi gran parte della sua vita a studiare e a criticare il fascismo fino a rivalutare la democrazia liberale prefascista e persino Giolitti, il «ministro della malavita». Ma, come dicevo all'inizio, questa parte del diario è per molti aspetti secondaria e marginale nell'economia dell'opera rispetto alla lunga autoanalisi che Prezzolini cerca di compiere su se stesso e alle generalizzazioni che, partendo dalla sua esperienza, estende agli altri uomini. Un cinismo di fondo, seppure a volte contraddittorio e attenuato da momenti di commozione o di tenerezza, caratterizza le pagine di Prezzolini a questo proposito. «Ho imparato dal mondo — basti questo esempio per mille altri che potrebbero citarsi — che è meglio non impegnarsi. Le cure per gli altri son spesso delusioni, il mondo non mi ha insegnato altro che egoismo, cautela, non fare, promettere vago senza idea di mantenere E, da questo punto di vista, torna assai di frequente l'idea del suicidio: come un modo coerente e accettabile di por fine con un atto di volontà cosciente a quell'accidente senza senso che è l'umana esistenza. Senonché, in questo mondo prezzoliniano che oscilla tra la tragedia e la noia, tra «l'inferno degli articoli» che deve scrivere e i piccoli piaceri di ogni giorno, a un certo punto, quando lo scrittore ha ormai sessantanni appare una donna, Pigia o Jackie a seconda dei passi del diario. E intorno all'amore che ne nasce, il cinico letterato che si era scelto lo pseudonimo di Giuliano il sofista ai tempi della «Voce», costruisce un altro mondo, dove non regnano cinismo né noia ma all'opposto passione, fede. E sembra quasi, arrivando in fondo alle cinquecento pagine, che sia questa contraddizione nuova e inaspettata a consentire a Prezzolini di andare avanti, di accantonare il proposito suicida quando si ripresenta e a rassegnarsi meglio alla realtà, al suo mestiere di scrittore del quotidiano, ai grandi progetti che aveva e che non è riuscito a realizzare né in America né altrove. Nicola Tranf aglia Giuseppe Prezzolini, Diario 1942-1968, Rusconi, Milano, 502 pagine, lire 15.000.