Samurai

Samurai tasera in anteprima a Napoli Samurai hln- : sonila icarstofilm o? alla lizzo en è ,utto ) chp X diCosl ente che sosia te di lan, i a vo¬ lontà, nascondono la sua scomparsa e presentano il ladro come se fosse il signore. «Ovviamente il problema del sosia può essere filosofico. Il sosia ha il proprio corpo, la propria esistenza prima di entrare nella personalità di un altro. Rischia di perdersi. E' un problèma rappresentato in modo evidente da Nobukado, il fratello minore di Shingen, che spesso ha svolto il ruolo di sosia, prima di. scoprire Kagemusha e di cederglielo. Ma non ho concepito tutto questo come un tentativo metafisico. I francesi parla¬ no troppo facilmente di metafisica». — In tutti 1 suoi film ciò che si ammira è l'espressione di un umanesimo, cioè il rispetto della persona umana, di tutto ciò che fa l'identità d'un essere umano, compresi i valori spirituali, l'anima. Se le si dice questo, lei è d'accordo? E in questo modo di vedere la sua opera, Nobukado non è forse un personaggio importante quanto Kagemusha? «Accetto questa definizione e le conseguenze che lei he fa derivare. Quando scrissi la sceneggiatura, fui molto toccato e coinvolto dal dramma dello sdoppiamento di personalità; mi sono dedicato a fondo ai racconti dell'epoca. Nobukado aveva fatto spesso il sosia del fratello maggiore, ma era molto diverso da lui. Lo si descrive come un uomo di cultura, raffinato, un artista. Scolpiva, disegnava, scriveva poesie. Shingen non era soltanto un guerriero, ma Nobukado era un uomo di élite. Riceveva i delegati della Corte di Kyoto al posto del fratello. Mi sono domandato quali dovevano essere 1 suoi sentimenti quando faceva la parte del sosia. E a poco a poco mi si è imposta l'idea di Ka¬ gemusha, il sosia, il ladro, l'individuo semplice e frustrato. «Tutto questo non traspare necessariamente dal mio film, ma è ciò che ha guidato il lavorio della mia immaginazione. Assumendo definitivamente, e lui solo, la parte di sosia, Kagemusha, anche se il suo destino personale è drammatico, rimette in causa la vita e la personalità di Nobukado, lui si degno di succedere a Shingen. Il film è costruito sul contrasto, i rapporti, la differenza tra Nobukado, fratello di sangue di Shingen, e Kagemusha, creatura dello stesso Nobukado all'inizio, ma che poi lo deruba della sua importanza in seno al clan, della sua stessa ragione d'essere. «Secondo me Nobukado è storicamente colui che più ha fatto per ia gloria del clan Takeda, il solo che avrebbe potuto salvarlo. Ma è stato respinto nell'ombra, è diventato un subalterno del fratello e dei suoi generali, ai quali era di molto superiore. Ho voluto ridargli il suo vero posto nella storia, inserendo nella battaglia perduta alla fine del film un primo plano di lui. Ha l'elmo e gli attributi guerrieri di Shingen, non parla, ma sul suo volto si legge la disperazione per non aver potuto salvare tutto ciò che suo fratello aveva costruito. Il mio primo piano non è, come pare sia stato considerato, una proiezione immaginaria di Shingen che contempla il disastro. E' un omaggio a Nobukado, personaggio sacrificato». — Tutta la sua regia è concepita come un affresco. CI sono inquadrature «incorniciate» come pitture, con 1 personaggi disposti secondo linee precise, ci sono movimenti della macchina da presa che ricordano le ondulazioni di un pennello sulla tela. In una scena sulla riva del lago, nel momento in cui s'immerge l'urna con il cadavere di Shingen, alcuni uomini del «clan» stanno allineati, immobili, sulla parte sinistra dell'inquadra-' tura, sullo sfondo dell'acqua e del cielo; nella parte destra una grande macchia nera, dai contorni irregolari, introduce un elemento decorativo, da stampa, a questo paesaggio naturale. Il suo film storico è anche un ricreare, attraverso la tecnica del cinema, l'arte che caratterizzava la pittura del sedicesimo secolo in Giappone e altrove. «E' vero, ho cercato di usare in questo film un mezzo d'espressione ilpiù possibile simile alla pit^ufa. Le ho dettò ché'tuwo era'belio in quell'epoca, e nón'era possibile realizzare un film ambientato nel sedicesimo secolo senza tener conto di quella bellezza, senza tentare una ricerca estetica equivalente. La macchia sul lago è una lingua di terra che emergeva nel posto che abbiamo individuato, sull'isola di Hokkaido, dopo aver dovuto rinunciare ad un altro posto a causa della neve. E' un paesaggio molto giapponese, che ho scelto per quella lingua di terra e per l'effetto che essa poteva dare alla mia Immagine. Per certe scene di battaglia si potrebbero citare 1 pittori italiani del Rinascimento. Quel che conta, evidentemente, non è l'imitazione della pittura, ma la corrispondenza con la pittura che può dare la regia cinematografica per far capire me glio l'epoca ». — In questo momento a Parigi c'è un'esposizione di schizzi e disegni che lei ha fatto per preparare il film. Ha l'abitudine di fare sempre questo tipo di preparazione prima di girare? «Assolutamente no. Mi era già successo di fare qualche disegno, ma questa volta c'è stato un motivo del tutto particolare. Poiché le trattative con i produttori giapponesi erano molto difficili (prima che intervenisse la Fox) temevo di non poter mai girare Kagemusha. La rinuncia mi faceva soffrire, non volevo che il film sparisse nel nulla. Cosi decisi di disegnarlo. Quelli esposti a Espace Caràin non sono tutti 1 miei disegni, un'altra esposizione è aperta in questo momento negli Stati Uniti. Bisognava che Kagemusha in qualche modo esistesse, che qualcosa rimanesse dell'idea». — La versione presentata a Cannes era più lunga d'una ventina di minuti. Poi lei ha raccorciato e rimaneggiato il film. Perché? «Nessuno me lo ha imposto. Avevo già l'Intenzione di fare un nuovo montaggio dèi film. I produttori volevano presentarlo a Cannes e ho avuto soltanto due settimane dopo aver terminato le riprese per prepararne una copia. Praticamente ho incollato una all'altra le sequenze che avevo realizzato, ma sapevo benissimo che il film aveva un ritmo troppo lento, che c'erano lungaggini e dettagli da rivedere. «Ora Kagemusha è come volevo che fosse, anche se, rivedendolo a Parigi alla serata inaugurale, ho ancora sentito due o tre respiri imperfetti. Io monto sempre i miei film sul ritmo d'una respirazione. Una scena, un piano che segue un altro, deve arrivare al momento dell'espirazione. Ho tagliato in parte la sequenza del sogno che mancava di equilibrio ed ho soppresso alcune inquadrature dell'ultima battaglia. Ma non è il dettaglio che conta. Bisogna tagliare e montare in modo che gli spettatori rimangano con il desiderio di vedere qualcosa In più rispetto a ciò che hanno visto. Alla proiezione del 23 settembre al Colisée la co- pia non era perfetta, i colori erano resi male. Vi abbiamo rimediato dopo. Ma mi ha irritato il fatto che si siano riaccese le luci prima che finisse di passare il cast con 11 sottofondo musicale. La presentazione del cast è parte integrante d'un film e purtroppo nessuno ci bada nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. «Il solo spettacolo in cui si rispetta la totalità di un'opera è il nò, in Giappone. Il pubblico aspetta che tutti i personaggi siano usciti di scena — e spesso è una fase lunga, segnata da un preciso rituale — prima di applaudire; le luci sono riaccese dopo». — E' rimasto sorpreso, felice di ottenere la palma d'oro al Festival di Cannes? ' «Non ero venuto a Cannes per vincere la palma d'oro. In realtà non volevo andare al Festival. Henri Langlois un giorno mi aveva detto che se qualcuno doveva utilizzare il colore nel cinema "in modo totale", quello ero io. Nel 1970 Dodes Kaden, il mio primo film a colori, era stato soltanto una prova. Con Kagemusha avevo l'impressione di aver realizzato il "modo totale", ma Langlois era morto, e l'idea che non ci sarebbe stato per constatarlo mi toglieva ogni desiderio di andare a Cannes. Ne parlai con William Wyler; sua moglie mi disse: "Bisogna pensare che Langlois sarà presente, che vedrà il film; si, ci sarà certamente". Allora, se Langlois c'era, dovevo esserci anch'io. Cosi sono andato a Cannes, per lui». Intervista di Jacques Siclier (Copyright Le Monde e per Titillili La Stampa) m m «Ogni volta che realizzo un film aumento i miei debiti. Ma non mi sono mai fermato. I produttori giapponesi sono i più ottusi del mondo. Non capiscono niente della mie sceneggiature. Ho potuto fare il film solo con i dollari american5» Ha Nella foto piccola sotto il titolo: Akira Kurosawa durante le riprese del film. Le altre illustrazioni sono tratte da disegni originali del regista giapponese. Fanno parte di una serie di taccuini sui quali Kurosawa, temendo di non poter realizzare il nini. disegnò tutte le inquadrature di «Kagemusha». Recentemente sono state esposte a «Espace Cardili» di Parigi.

Persone citate: Akira Kurosawa, Henri Langlois, Jacques Siclier, Kaden, Kurosawa, Langlois, Takeda, William Wyler