Padri e superstiti della «terza forza»

Padri e superstiti della «terza forza» UNA FORMULA CHE RITORNA ATTUALE Padri e superstiti della «terza forza» «Terza forza, terza via, per piccina che tu sia...». Con questa nota, fra affettuosa e patetica, Eugenio Scalfari ha rievocato qualche settimana fa, sulle colonne di Repubblica, il tentativo terzaforzista degli .Anni Cinquanta, alimentato e coltivato in quel «salotto buono» della cultura laica italiana che era la redazione del Mondo di Mario Pannunzio, in via Campo Marzio. «C'erano, cito Scalfari, La Malfa, Carandini, Mario Terrava, Saragat, Vincenzo De Caprariis, Compagna, Villabruna, Mario Paggi e altri ancora. Ogni tanto arrivava da Firenze Giovanni Spadolini. Ernesto Rossi portava una ventata d'aria fresca e di concrete battaglie. C'ero anch'io in quelle stanze, poco più che ragazzo...». Siccome Scalfari e io siamo coetanei, siamo nati entrambi nel 1925, la civetteria del «ragazzo» si applica a entrambi. Non meno che la tenacia della memoria storica: rispetto a quell'immagine di «terza forza», rispetto a quello schema di intesa fra le forze intermedie, che abbracciava il pli, il pri, il psdi. e tendeva a costituire un «cartello» laico come cuneo di rottura fra una de, arroccata su una posizione egemonico-moderata, e la sinistra social-comunista retta da un patto di unità d'azione commisurato ai ritmi della guerra fredda. Qual era il tipo di «terza forza» cui si guardava nel «salotto buono» del Mondo? E' tutt'altro che un tema accademico. Oggi di «terza forza» si riparla con estrema facilità e, diciamolo pure, con estrema leggerezza: perfino il patto di consultazione fra psi e psdi, stipulato nelle settimane di trapasso fra Cossiga e Forlani, è stato presentato, con qualche fretta o precipitazione, secondo la logica di un terzaforzismo analogo a quello degli Anni Cinquanta. Rinfrescare la memoria può essere utile. I «terzaforzisti» di tre decenni fa erano tutti, o quasi, liberali, diciamo meglio, liberali di sinistra (a cominciare dal direttore del Mondo) e repubblicani. La breve parabola del «terzaforzismo» socialdemocratico era durata dal '47 al '49, poco più del'.o spazio di un mattino: alimentata dai giovani turchi del sole nascente, insofferenti dell'«ortodossia» socialista di Saragat, che considerava «turatiano» e non «bissolatiano», che si richiama va a\Y«austromarxismo» ma comunque sempre al marxismo. Già dopo il '50 la socialdemocrazia era in competizione col psi per il controllo, o il recupe ro, della testata Socialismo: la prima unificazione partì non a caso da Romita. Saragat frequentava poco il salotto del Mondo e più gli amici del Mondo, la sera, prevalentemente al Caffè Rosati. Era largo di simpatie e di consigli; avaro di appoggi. Ogni volta che il direttore del Mondo apriva un dibattito sull'intesa laica o sulla «terza forza» (varrebbe la pena di fame un volume), il leader socialdemocratico lo arrestava col sorridente «non possumus» di un'autonomia socialista da preservare a ogni costo, rispetto a un cartello borghese, o solo democratico-liberale. Il primo progetto della «terza forza» si arrestò di fatto di fronte all'indisponibilità socialdemocratica. Scalfari fissa nella legge maggioritaria del '53 il punto di rottura delle speranze terzaforziste, anche «per il grave peccato» di cui si macchiarono i padri dell'idea. Fra coloro che accettarono la legge maggioritaria, come strumento di resistenza contemporanea alle pressioni di destra e di sinistra, ci fu Gaetano Salvemini, che ancora alla fine del '53 riproponeva l'intesa fra i tre partiti laici minori o almeno fra liberali e repubblicani. Salvemini aveva già pronto anche il nome: «Partito liberalerepubblicano». Gli rispose Ugo La Malfa, con un articolo sul Mulino di Bologna, dal titolo significativo «Masse per un partito»: «Nonperdere lesementi democratiche e risorgimentali e post-risorgimentali che ancora esistono e costruire su di esse il partito di una più moderna e civile Italia». Niente intese di vertice; piuttosto seminagione dal basso. Si iniziava la seconda fase della «terza forza» in Italia. Guidata e impersonata, si può dire, per oltre un ventennio, da Ugo La Malfa: erede diretto dell'impostazione azionista non socialista, interprete coerente dello schema amendoliano dell'«Unione democratica nazionale» come germe di un «partito della democrazia» senza aggettivi, il partito chiesto e delineato, già nel luglio del '45, da Luigi Salvatorelli sulle colonne della Nuova Europa. «Terzaforzismo» come forza democratica e riformatrice, non socialista. Nessuna confusione col socialismo, ma anzi funzione propulsiva del suo riscatto autonomistico (dal congresso di Venezia in avanti). Riunire i repubblicani, i democratici senza etichette, i liberali di sinistra, diventati, dopo la fine del '55, «radicali», in seguito alla scissione col pli di Malagodi. Prova, non fortunata elettoralmente: l'alleanza repubblicano-radicale delle politiche del '58. Linea di tendenza: quella della «ricomposizione» repubblicana culminata, col '64, nella segreteria La Malfa e nei conseguenti, nuovi apporti intellettuali. ir ★ I «terzaforzisti» di matrice laico-democratica non si allarmarono di fronte all'unificazione socialista degli Anni Sessanta. Al contrario: la favorirono. La Malfa fu il grande elettore di Saragat per il Quirinale e di Nenni per la «diarchia» con Moro nella guida del centro-sinistra organico. L'unificazione allargava lo spazio a una forza di sinistra democratica, capace di riassorbire anche talune esigenze liberali. Fu la scissione socialista del '69 che rimise in discussione tutto, che frantumò il quadro politico delle coalizioni storiche della Repubblica, fino al tentativo della solidarietà nazionale. Già due anni fa, nell'estate del '78, quando ormai si delineava la crisi dell'emergenza, cominciò la rincorsa alla «terza via» fra Craxi e Berlinguer, che rilanciò in margine la polemica sulla «terza forza». Bobbio ricordò, proprio su queste colonne, che c'era solo una seconda via, da lui chiamata «socialdemocratica»; io intervenni per proporre di chiamarla «democratica» tout court, dato che associava insieme, sotto la stessa insegna, esperienze socialiste-riformiste, tipo la socialdemocrazia, e esperienze di riforma democratica della società, tipo il New Deal rooseveltiano. Allora furono individuati, o riscoperti, alcuni principi basi¬ lari della «terza forza». Come sempre, e con la maggiore nettezza di contorni, li fissò Norberto Bobbio. Primo: chi sta in mezzo fra i due partiti maggiori, «della sinistra e della destra, dei progressisti e dei conservatori, dei socialisti, in largo senso, e dei moderati». Secondo: i partiti piccoli per destinazione, «e quindi permanentemente minoritari». Terzo: i gruppi che possono spostarsi verso l'uno o l'altro blocco, determinare la maggioranza, essere «ago della bilancia»: «i partiti cerniera». Bobbio traeva dalle sue premesse un corollario: il partito socialista deve costituire «per tradizione e per vocazione» la seconda forza, non svolgere un ruolo terzaforzista. L'assunzione formale di compiti di terza forza fra i due blocchi significherebbe consacrare per sempre l'egemonia comunista sulla classe operaia, rinunciare alla competizione — che dura, con fasi alterne, dal 1921 — col partito comunista in vista di uno stesso obiettivo, perseguito in modi diversi e magari opposti Una forma di raccordo, o di collegamento, a sinistra, fra socialisti e comunisti, appariva a Bobbio, ma non solo a Bobbio, indispensabile per mettere in moto {'«alternativa». L'alternativa non è la terza via, e tanto meno la terza forza. E' un altro discorso ancora. A noi interessava chiarire solo un punto: terzaforzismo e socialismo non hanno mai percorso una strada comune nel corso del dopoguerra. Bisogna risalire a Carlo Rosselli per individuare un tentativo, fallito, di «Alleanza repubblicano-socialista» nella Parigi del 1934: e previo un rifiuto del marxismo. Dopo il '45 socialismo e democrazia laica procedettero per vie separate e spesso conflittuali: la generosa sintesi azionista durò pochi mesi. E adesso? Ci sarà un terzaforzismo socialista accanto a un terzaforzismo laico-democratico? Sulla carta è possibile. Ma può il partito socialista rinunciare, in prospettiva, alla «alternativa di sinistra» inglobante anche il pei, che è cosa diversa dalla terza forza? Noi non lo crediamo e pensiamo che Craxi lo creda meno di noi. Tutto, nella storia italiana, è difficile. Giovanni Spadolini

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