Perché Costantino Nigra si dimise

Perché Costantino Nigra si dimise DOCUMENTI INEDITI SUL RITIRO DA VIENNA DELL'AMBASCIATORE CHE SERVI' QUATTRO RE Perché Costantino Nigra si dimise Quando l'ex ministro degli Esteri Giulio Prinetti mori dopo lunga e odiosa malattia, tra le lodi d'occasione non mancarono le voci critiche. Il Corriere della Sera del 10 giugno 1908, in un articolo ispirato dallo stesso Albertini, dopo aver detto che Prinetti era privo delle «qualità essenziali, la organica visione del valore degli avvenimenti e laproporsione tra gli scopi da raggiungere ed i messi da adoperare*, lo accusò tra l'altro di avere indotto l'ambasciatore a Vienna, Costantino Nigra, a dimettersi dalla carriera per non voler convalidare una politica che portava alla rottura con l'Austria-Ungheria. Che cosa c'è di vero nelle dimissioni di Nigra? Che tra quest'ultimo e Prinetti ci fosse stato un dissenso a proposito di una mancata visita di Vittorio Emanuele ni a Francesco Giuseppe, durante 11 viaggio del primo In Russia, già lo abbiamo accennato su queste colonne. Prìnetti (e non solo lui) rifiutò il gesto, sollecitato dal Nigra, perché, dopo la mancata restituzione da parte dell'Imperatore della visita fattagli a Vienna da re Umberto, avrebbe avuto ripercussioni sfavorevoli negli ambienti politici italiani. Dal carteggio di cui si dispone, in gran parte inedito, non si ha ragione di pensare che questa diversità di vedute abbia potuto indurre Nigra a un passo cosi grave. Prinetti, che amava corrispondere direttamente con i suoi collaboratori, indirizzò a Nigra molte lettere personali, che ora si trovano nell'archivio di quest'ultimo. Non solo egli provvide al rinnovo della Triplice Alleanza per il tramite dell'ambasciatore a Vienna, ma non vi è fatto importante, dai trattati di commercio all'Albania, dal problema macedone a Costantinopoli, ecc. su cui non si ala, consultato preventivamente con il Nigra, sollecitandone consigli e sug (ferimenti. Un articolo apparso, sulla Nuova Antologia del 10 giugno 1909, pubblica appunto alcuni estratti di lettere inviate da Nigra a Prinetti. In una di queste, datata 1 aprile 1901, si legge tra l'altro: «Non sono stato troppo bene in salute nell'ultimo mese, ed i lunghi viaggi cominciano a diventarmi molesti, il che non le parrà strano, se vorrà pensare che sono un antico soldato di Carlo Alberto, che ho servito quattro Re, e che sono andato al ministero degli Esteri or so¬ no cinquantanni. Come Lei vede, queste sono cifre molto serie che esigono con crescente insistenza un prossimo riposo*. E' importante constatare come Nigra pensasse di ritirarsi già prima del noto dissenso con Prinetti. L'articolo della Nuova Antologia cita altre lettere di Nigra, in cui questi elogia l'attività del ministro e nello stesso tempo fa presente il suo desiderio di andare a riposo. In una lettera del 25 dicembre 1902, cioè successiva al dissenso sulla mancata visita del re a Francesco Giuseppe, si legge: «Sono ben lieto di cogliere quest'occasione per assicurarLa che Ella ha in me un amico sincero che la stima e che desidera che Ella abbia ogni miglior successo nel posto che occupa degnamente e con vantaggio del nostro Paese...*. Queste lettere e molte altre di Nigra al punto da formare «un intero volume* sono andate perdute Insieme a tutto l'archivio Prinetti. Le ricerche da me fatte per rintrac¬ ciarlo hanno portato alla stessa conclusione: l'archivio è andato distrutto in casa Boncompagni (la figlia di Prinetti, Nicoletta, sposò un principe Boncompagni) per errore di un dipendente. Ma non esistono ragioni per dubitare dell'autenticità dei brani sopraccitati. Nel 1902 Nigra aveva settantaquattro anni. Il 1" marzo 1903 Nigra stilò la seguente domanda ufficiale di dimissioni: «La mia avanzata età, lo stato malfermo della mia salute, e le mie anzianità nella carriera diplomatica, nella quale conterò il 21 luglio prossimo 52 anni di servizio effettivo, di cui oltre 42 come capo di missione all'estero, mi impongono il dovere c mi danno il diritto dì pregare Vostra Eccellenza di sottoporre a Sua Maestà il Re la mia domanda di essere collocato a riposo (...). Questa lettera non fu spedita, forse perché Nigra venne a sapere che Prinetti, mentre si trovava il 29 gennaio in udienza al Quirinale, era stato colpito da un insulto cerebrale. A questo punto un'osservazione appare lampante. Se Prinetti e la sua politica erano la causa delle dimissioni di Nigra, la malattia del ministro avrebbe dovuto indurre quest'ultimo a rimanere al suo posto. E invece il 2 aprile Nigra inviò a Prinetti la domanda del 1" marzo accompagnandola con una lettera: «Fin dall'ottobre del 1902 esposi verbalmente a Vostra Eccellenza le ragioni d'età, di salute e di anzianità di servizio, che mi spingevano a chiedere il mio collocamento a riposo durante il corrente anno. Con lettera particolare del 16 gennaio scorso Le rinnovai l'espressione del mio desiderio, dichiarandoLe che avevo la cosciensa di non aver più né la salute, né la potenzialità di lavoro necessarie per continuare a tenere il posto di Ambasciatore di Sua Maestà a Vienna (...). La risposta venne da un telegramma dell'ammiraglio Costantino Morin, che aveva assunto il portafoglio degli Esteri: •Nell'assumere l'Uffi¬ cio effettivo di Ministro degli Esteri, rivolgo a V. E. una vivissima preghiera che mi lusingo di vedere esaudita. Desidererei ardentemente che VE. V. non insistesse nella domanda di collocamento a riposo ripetutamente presentata. Mi permetta di poter ancora fare assegnamento sull'alta intelligenza, sulla vecchia ed illuminata esperienza, e sulla grande autorità del nome di Costantino Nigra*. Nigra accondiscese a rimanere, ma solo per qualche mese. Puntualmente, il 25 ottobre del 1903 'persistendo i motivi per cui io chiesi il mio collocamento a riposo* pregò il ministro di «dar corso alla domanda contenuta nella mia lettera dell'aprile scorso*. Richiesta che rinnovò a metà gennaio del 1904, al successore di Morin, Tommaso Tittoni. Finalmente quest'ultimo, dopo nuove sollecitazioni da parte del Nigra, si decise a «dar corso* alla richiesta ed il 26 febbraio 1904 indirizzò alTambasciatore questa lettera autografa: *Ella, opponendo invincibili ragioni di salute alle mie ripetute, insistenti preghiere, mi ha costretto a sottoporre a S.M. il Re il Decreto che La ha collocata a riposo. E con vivo rammarico e con tristezza adempio adesso ad un altro obbligo dandoLe di quel Decreto la comunicazione ufficiale. E' venuta meno cosi la lusinga ch'io avevo di poter conservare alla Patria e al Governo l'opera preziosa di chi fu collaboratore fidato del Conte di Cavour, e, continuando gloriose tradisioni con moderni intendimenti, legò il suo nome ai più importanti negoziati del giovane Regno. Perduta quella speranza, mi incombe, così, oramai il dovere di esprimerLe, insieme con quel rammarico vivissimo, i sensi della più viva riconoscensa del Governo del Re per gli eminenti servigi resi al Paese in tante, così varie ed importanti vicende*. A questo punto riesce assai difficile pensare che Nigra si sia dimesso per «dissenso» con Prinetti. Ù riposo del famoso ambasciatore durò poco, appena tre anni. A Tittoni toccò inviare al figlio Lionello, il 12 luglio 1907, un ben più triste telegramma: 'Scompare con Costantino Nigra uno degli ultimi superstiti di quella schiera gloriosa cui l'Italia deve d'essere risorta a dignità di libera nazione. La morte sua è lutto della Patria*. Ai funerali c'era anche il vegliardo Emilio Visconti Venosta, già ministro degli Esteri per cinque volte, colui che, più di tutti, aveva modellato, insieme con Nigra, la politica estera dell'Italia. Cosi egli descrisse la fine del diplomatico in una lettera ad Alberto Pansa, ambasciatore a Berlino: «Da set mesi la vita non è stata per lui che un continuo soffrire. A Roma andavo quasi ogni giorno a vederlo, rimanendo solo per pochi minuti per non dargli occasione di parlare, perché non lo stancasse anche il solo ascoltare. La sua morte, benché attesa, mi ha vivamente addolorato. Ero legato a lui dai lunghi ricordi della vita, da un'antica amicizia a cui mi univa il pensiero dei grandi servigi che egli aveva resi al nostro Paese in un tempo di cui sono scomparsi ormai i testimoni. Ho sentito, seguendo il suo feretro, la tristezza del sopravvivere a tutto il mondo in cui si è vissuto*. Enrico Serra