Le stagioni della violenza di A. Galante Garrone

Le stagioni della violenza ALLE RADICI DEL TERRORISMO Le stagioni della violenza Dopo molte centinaia di arresti, c'è già chi parla di un terrorismo in dissoluzione. Conviene non farsi illusioni di sorta, e vedere il fenomeno nella sua complessità, e perdurante gravità: e non solo con la pacata fermezza di chi non ha perduto la fiducia nelle leggi seriamente applicate, ma, vorrei aggiungere, con l'occhio dello storico. Penso a uno studioso come Angelo Ventura. Come si sa, ha pagato di persona, subendo oltraggi e minacce e attentati, il suo impegno di docente e di cittadino. Il suo recente discorso all'università di Padova, alla presenza di Pertini, è stato pubblicato sull'ultimo numero dell'autorevole «Rivista Slorica Italiana». E' uno studio che dovrebbe fugare le troppo facili e spensierate illusioni sul prossimo disfacimento del terrorismo italiano. Il caso altoatesino, che in questi giorni sembra avere una sua reviviscenza, sta a sé. Già una volta è stato debellato; e potrà esserlo presto. Esso non ha né le dimensioni né le radici di quello basco o di quello irlandese. Naturalmente, è un problema che deve essere risolto non solo con misure di polizia, ma politicamente. Disogna applicare con lealtà gli accordi sanciti, e superare le meschine rivalità nazionalistiche, da una parte e dall'altra, in una visione europea. Ben altrimenti grave è il terrorismo nostrano: il quale va esaminato, come Ventura ha fatto, con metodo storico, nella sua specificità, lasciando da parte certe analisi sociologiche sui «meccanismi di emarginazione» che caratterizzerebbero la società italiana. Diciamo piuttosto che l'essenziale connotato di questo terrorismo inaile in Itaìy è la sua base ampia e fluttuante, quel serbatoio a cui i terroristi che hanno già imboccato la strada senza ritorno del «partito armato» attingono le loro reclute: una base dai contorni non ben definiti, al limite fra la legalità e l'illegalismo, fra l'associazione aperta e i nuclei clandestini, fra la propaganda, o la teorizzazione estremistica, e le azioni già sconfinanti nell'illecito penale. Questo magma indistinto è costituito, quasi per intero, non da emarginati sociali, ma da intellettuali, tecnici, operai «garantiti» dei grandi complessi industriali, studenti quasi sempre di estrazione borghese. Il colore, rosso o nero, di cui si ammantano questi gruppi, è solo una verniciatura d'accatto, una rimasticatura ideologica, disancorata dalle grandi forze sociali a cui pretendono di richiamarsi. E' qui, in questa fascia, che il «partito armato» raccoglie i suoi adepti, e il terrorismo germina. Ed è qui, in questa zona di confine tra il lecito e l'illecito, che è maturata l'abitudine alla violenza, anticamera del terrorismo. Come osservava di recente Jemolo, molti di questi giovani hanno cominciato con violenze minori, sia pure la distruzione di un furgone per il trasporto di quotidiani. E via via, si è passati agli «espropri proletari», alle scritte minatorie sui muri, ai pestaggi, ai lanci di bombe molotov. Dall'allegro slogan «prendiamoci la città» si è trascesi ai soprusi e alle intimidazioni, dalle intemperanze goliardiche a veri e propri reati. Ed è questo il campo nel quale per troppo tempo si sono avute le più pericolose tolleranze e indulgenze, se non addirittura compiacenze. Ed è a costoro, infine, che si sono rivolti i farneticanti e gelidi teorizzatori, con le loro ciniche parole d'ordine, gli insulti sprezzanti. Lo studio di Ventura ce ne offre un campionario impressionante. E' proprio vero quel che diceva un grande storico inglese, Lewis Namier: che per quel che riguarda la storia contemporanea, anche la più recente, i segreti sono stampati, basta saperli cercare e volerli leggere. Due soli esempi, fra i tanti. Un editoriale di «Autonomia» del 15 febbraio 1979, nel commentare le «dipartite di un lavoratore "qualificato" del pei (Guido Rossa) e di un amministratore "equo" della giustizia capitalistica (Emilio Alessandrini)», giudicava criticabili queste «azioni di combattimento contro esponenti del revisionismo»: «non tanto per la fine di due impiegati della macchina statale di controllo antiproletario», ma perché «azzoppare e giustiziare un nemico di classe» può esser fatto solo a condizione che si lavori «dentro l'esperienza dell'illegalità di massa e dello sviluppo del movimento comunista organizzato». E c'è chi (Franco Piperno), in «Preprint» del dicembre 1978, si è commosso per quel «coniugare insieme la terribile bellezza di quel 12 marzo del '77 per le strade di Roma (il corteo di massa armato) con la geometrica potenza dispiegata in via Fani»! Anche nelle connivenze e suggestioni e mascherature ideologiche deve ficcare lo sguardo il giudice, o lo storico, per capire, nelle sue origini più o meno remote, 10 specifico terrorismo del nostro Paese. Naturalmente, resta intatto 11 problema giudiziario delle responsabilità individuali rispetto ai delitti che vengono commessi. Su questa necessità di distinguere la responsabilità penale da quella politica o culturale, abbiamo più volte insistito. Ma qui c'è, per noi, un'altra grave ragione d'inquietudine. Molti processi sembrano colpiti da paralisi. Scorrono anni e anni, prima di giungere alla fine. Catanzaro insegni. Forlani ha annunciato, per l'aprile del 1982, la riforma del codice di procedura penale (e se ne parla da più di trent'anni!). Nell'attesa, si dovrebbero varare alcuni provvedimenti urgenti, e già maturi, per sveltire i processi, e avviarli a conclusione. Un altro motivo di allarme ci indica Ventura. Anche la più prudente valutazione storica deve riconoscere che «forze potenti e occulte agiscono quanto meno per coprire e utilizzare il partito armato». Da tanti indizi affiora un torbido retroscena di intrighi, ad alto livello, negli apparati dello Stato, nel mondo della politica, della finanza, della mafia. Inquietante, ma ineccepibile è la conclusione dell'analisi storica di Ventura: «Nessuna organizzazione terroristica, che non affondi le radici in tensioni etniche o in una disgregazione generale del sistema quale certo non si dà in Italia, può svilupparsi e operare intensamente per così lungo periodo senza coperture e appoggi ad alto livello, nazionali o esteri». Ecco perché non ci sentiamo di condividere l'euforia di chi giudica in via di liquidazione il nostro .terrorismo. (Si pensi anche agli allacciamenti più diffusi fra terroristi e criminali comuni, e alle rivolte come quella di ieri nel carcere di Nuoro). Siamo sempre più convinti che se non si estirpano tutte le radici e tutti i legami, la mala pianta, nonostante i molti e fortunati colpi di accetta per reciderne qualche ramo, continuerà a rispuntare dal terreno che la nutre. A. Galante Garrone

Luoghi citati: Catanzaro, Italia, Nuoro, Padova, Roma