Continua la campana a morto per la «faida» di Cittanova di Clemente Granata

Continua la campana a morto per la «faida» di Cittanova Una lunga catena di vittime: già trentanove Continua la campana a morto per la «faida» di Cittanova Iniziò nel 1964 tra le famiglie Facchineri e Albanese dopo un furto di maiali - Da allora si continua a uccidere - Ma alla base dello scontro ci sarebbero interessi contrapposti per il predominio della zona DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CITTANOVA (Reggio Calabria) — Dovevano temere qualcosa. Altrimenti non si spiega perché, giunti in vista di Cittanova su un'auto pubblica, deviarono verso Polistena allungando il percorso. Precauzione inutile: non riuscirono a evitare l'appuntamento con il massacro. Imbruniva. Poco prima del quadrivio Bombino, lungo la strada che si snoda sotto cupole di secolari olivi, sbucarono in tre a viso scoperto. Crepitarono i fucili a panettoni. Cadde Michele Facchineri, 49 anni, residente a Tortona, il cugino Salvatore Facchineri, figlio di Francesco, freddato tre anni fa. Cadde Giuseppe Pulitanò, senza sapere perché: tassista di Palmi, portava a casa i due, assolti in tribunale due ore prima dall'accusa di detenzione d'armi. Si salvò il terzo Facchineri, Rocco, figlio di Domenico, crivellato tre anni fa. Rocco vide in tempo i killer. Si distese sul pavimento del taxi, finse di essere stato colpito a morte. Ora tace. Lo hanno arrestato per favoreggiamento. E' accaduto mercoledì attorno alle 17. E Cittanova conta i suoi nuovi morti. Fanno 39 da quando sedici anni fa esplose la faida tra i Facchineri-Marvaso e gli Albanese Raso-Gullace. Fanno otto vittime in 24 giorni, da quando, il primo ottobre scorso, dopo oltre un anno e mezzo di silenzio, le armi hanno ripreso a tessere un discorso soltanto sospeso. Conta poco, a questo punto, raccontare la storia di tutte le croci, croci che portano anche il nome di bambini, come Domenico e Michele Facchineri, figli di Vincenzo, di 12 e 9 anni, ammazzati come cani l'il aprile 1975 sul greto di un fiume verso il quale erano fuggiti dopo essere scampati alla strage nella casa paterna assalita da un commando di cinque persone. Conta poco, almeno, se non si riesce a trovare anche il filo conduttore che fornisca una qualche logica, ancorché aberrante, alla nefanda vicenda. Si dice: all'inizio del 1964 vi fu un furto di porci subito dai Facchineri, gente benestante, proprietaria di uliveti ed abile anche nel battere la strada delle nascenti attività imprenditoriali. Si dice: dopo quel furto di porci, compiuto forse dagli Albanese, ce ne fu uno di pecore subito questa volta dagli Albanese, ordinato forse dai Facchineri. Si mise in moto la catena degli affronti, delle offese e della necessità dettata dall'orgoglio di lavare quelle offese, costasse quel che costasse. Ci si domanda: è possibile? Trentanove morti per un branco di porci e un gregge di pecore? Non significa, accettando questa spiegazione, dar vigore ad atavici pregiudizi? E poi, se anche ciò fosse verosimile, come spiegare che tra i morti ci sono anche persone estranee alle famiglie o legate ad esse da vincoli di parentela molto lontani? Ma forse l'affronto fu solo un pretesto. Ben altri motivi si trovano alla base dello scontro: interessi contrapposti per il predominio nelle attività e nel traffici illeciti verso i quali la nuova mafia si indirizza con sempre maggiore frequenza, a cominciare dal sequestro di persona. Ma c'è, rilevano gli inquirenti, nella vicenda delle ultime morti, più di un punto oscuro. Per esempio, non si spiega lo sterminio con l'argomento della faida se si pensa che tra gli Albanese e i Facchineri negli ultimi tempi era intervenuta, cosi almeno si afferma, una sorta di rappacificazione, la quale doveva essere ufficialmente sanzionata tra qualche settimana, con la rinuncia alla costituzione di parte civile dei Facchineri nel processo di appello contro uno degli Albanese, accusato di aver ucciso un membro della famiglia rivale e già condannato all'ergastolo. E' pensando a questo accordo che l'avvocato dei Facchineri Angelo Bruzzese afferma: ^Stavolta la faida non c'entra»? Cittanova, tredicimila abitanti, una economia prevalentemente agricola e artigianale, sembra aver assorbito e dimenticato i contraccolpi della strage, ricacciato l'ombra della tragedia in qualche ripostiglio oscuro e lontano. 'Questa è l'apparenza — dice il preside delle scuole medie, prof. Speranza — ma la paura resta. A questa scuola sono iscritti due figli dei Facchineri, ma sono assenti dall'inizio dell'anno, rinchiusi in casa per timore di vendette, a fianco di parenti perpetuamente vestiti di nero. E nessuno dei compagni che si azzardi ad andarli a trovare». 'E' vero — ricorda don Borelli, insegnante di religione — io insisto: Vincenzo e Luigi hanno bisogno della vostra compagnia, ma non ottengo nulla. Il fatto è che qui il terrore è un dato reale. Vede, si dice che è una questione di faida. Sarà, ma ci sono anche tanti interrogativi». Sul tema delle dimenticanze dello Stato parla il sindaco Domenico Sicari (de), eletto la settimana scorsa a capo di una giunta con socialisti e indipendenti di sinistra: 'Mancano le forse dell'ordine — afferma—. Tre anni fa ci hanno tolto il commissariato che controllava una sona strategica, quella di Monte Zomero, rifugio di latitanti e di sequestratori. Dopo questo fatto convocheremo la giunta in sedu ta straordinaria». E' il primo pomerìggio. Sulla piazza si ferma un'auto con a bordo le giovani donne del gruppo Facchineri. Sono quattro, brune, occhi azzurri, belle. Una grida al cronista: 'Sono dolore e sangue soltanto nostri». Clemente Granata

Luoghi citati: Cittanova, Palmi, Polistena, Reggio Calabria