«Perché a Torino si contesta quasi sempre il sindacato?»

«Perché a Torino si contesta quasi sempre il sindacato?» Lo abbiamo domandato a Galli, Bentivogli e Mattina «Perché a Torino si contesta quasi sempre il sindacato?» «Scarsa cultura industriale, poca sindacalizzazione, tentazioni gruppuscolari» ROMA — - Afa perché a Torino, quasi sempre, gli accordi vengono contestati dai lavoratori?: In effetti nella lunga storia sindacale subalpina sono più numerose le intese che hanno suscitato contrasti, di quelle accolte pacificamente dalla base. Prima delle ultime tumultuose assemblee di Lama, Camiti, Benvenuto, a Miraf lori erano già stati messi in difficoltà, in epoche diverse, parecchi dei maggiori dirigenti della Cgil-Cisl-Uil. .Nel 1976—ci ricordava Bentivogli — illustrai il contratto nazionale sotto un lancio di ortaggi che Vito Milano, al mio fianco, cercava di raccogliere al voto». Trentin dovette evitare alcuni bulloni; a Benvenuto spezzarono l'asta del microfono sotto il naso; la voce di Donat-Cattin venne coperta da un assordante rullio di tamburi ricavati da latte vuote. Perché questa .sindrome da accordo» dei lavoratori torinesi? Lo abbiamo domandato ai tre segretari generali dei metalmeccanici: Pio Galli della Cgil; Franco Bentivogli della Cisl; Enzo Mattina della Uil. Ecco le risposte. Pio Galli (Cgil) — .Le cose non sono sempre così. L'ultimo contratto, del 1979, per esempio, è stato vissuto in modo diverso: non entusiastico ma convinto. A Torino, in presema della più grande azienda italiana, i problemi di governabilità si pongono anche per il sindacato, che pure ha una struttura di delegati eletti dagli iscritti e non. Nell'ultimo caso specifico, dei giorni scorsi, l'atteggiamento di ripulsa da parte delle avanguardie del sindacato è dipeso dall'impegno che avevano profuso nelle forme di lotta: si riteneva che ci fossero ancora disponibilità sul piano delllnisiativa e della lotta. Però era un errore. Non è mai avvenuto che il sindacato abbia convinto un padrone a parole; è sempre stato il rapporto di forza a far cambiare opinione ai padroni. Noi, dirigenti sindacali, avremmo potuto "salvare l'anima" accettando di andare avanti come volevano le avanguardie. Andare avanti però avrebbe significato una sconfitta ed è ben diverso subire una sconfitta dal padrone che essere sconfitti dai lavoratori, dai quali ormai le avanguardie si erano staccate'. .E' stato giusto — afferma Galli — arrivare alla conclusione nel momento in cui il rapporto di forza consentiva ancora una conclusione come quella che abbiamo raggiunto. Può significare un arretramento rispetto agli obiettivi che ci eravamo posti ma non è passata la linea Fiat: è stata sbarrata la strada ai licenziamenti; è saltata la logica della discriminazione per le liste di Cassa integrazione e di mobilità; è stato garantito il rientro in Fiat per i lavoratori che eventualmente siano posti in mobilità'. .Sottolineo"evcntualmente" — conclude Galli — perché a metà dell'anno prossimo valuteremo se sarà ancora necessario, in base alle riduzioni di personale che saranno avvenute con altri strumenti e in base all'andamento produttivo e del mercato». Franco Bentivogli (Cisl) — « Che Torino e la Fiat in particolare rappresentino un caso singolare nelle relazioni industriali del nostro Paese, non lo nega nessuno. La difficoltà incontrata alla chiusura di questa vertenza si è presentata altre volte, in forma non meno drammatica. Basti pensare all'approvazione contrastata del contratto del 1976 alla Fiat, dove si verificarono atti di vera e propria violenza, mentre nelle altre fabbriche il contratto passò con voto quasi plebiscitario. C'è a Torino quella che è stata definita, talvolta esagerando, una presenza "monoculturale" dell'industria dell'auto, non solo, ma di un'unica grande azienda determinante per la vita quotidiana ed i destini di un'intera città. In più c'è il gigantismo dell'apparato produttivo (si pensi ai SO mila di Mirafiori) che da solo potrebbe spiegare i fenomeni frequenti dì tensione e di violenza. Simili fenomeni, spesso più virulenti, li troviamo anche alla Ford di Detroit». «A ciò—ha proseguito Bentivogli — si sommano i problemi posti dai grandi movimenti migratori che hanno sradicato decine di migliaia ài"persone dal loro contesto culturale per concentrarle in una grande città e in una sola azienda, attraverso itinerari fatti di lavori precari, umili, di abitazioni precarie, in situazioni di isolamento. C'è poi da fare i conti con una memoria storica della classe operaia torinese nella quale rivivono, ad La rubrica Fantacronache di Stefano Reggiani è a pagina 5. ogni occasione, i piani e gli atti di repressione e discriminazione antisindacale; cioè la pratica dell'arbitrio, la volon-. tà di comandare che sono state, con rare eccezioni, una costante nella tradizione della dirigenza Fiat». Dopo aver ricordato che «lo durezza della memoria storica» ha rappresentato spesso un terreno fertile «per certì gruppi caratterizzati dal loro estremismo politico», Bentivogli ha proseguito: «Lo recente vertenza ha ripetutamente evocato fantasmi del passato, del clima dell'azienda di un tempo e della sofferenza umana in essa consumata. Anche a motivo di quella politica repressiva i processi di sindacalizzazione hanno conosciuto limiti diversi da altrove. Senza dire che, per il sommarsi delle ragioni sopra accennate, ogni conflitto sindacale, per molti militanti fortemente ideologizzati — che spesso intrecciano a un sano anticapitalismo un antindustrialismo fuori della realtà — si carica di significati politici che vanno oltre i confini di un normale conflitto di lavoro. Le tensioni e le difficoltà — ha concluso Bentivogli — hanno dunque radici corpose e ben affondate nel tessuto produttivo e sociale di questa città». Enzo Mattina (Uil) — .Alla Fiat gli iscritti al sindacato superano di poco il 30 per cento. La gente fa scioperi e cortei ma non vive la vita del sindacato. I quadri sindacali interni, sapendo di non avere l'adesione della massa, assumono a volte atteggiamenti rigidi, nella rispondenza tra quanto richiesto e quanto ottenuto, per cercare a priori anche il consenso dei non iscritti. Inoltre, all'interno del sindacato c'è un'anima fortemente ideologizzata che, più che altrove, vede in ogni vicenda un progetto politico di più ampio respiro (cambiamenti nella società, cambiamento dei rapporti di potere, eccetera): quindi vive tutte le vicende sindacali con una rigidità che non si riscontra altrove». .Sul sano pragmatismo che dovrebbe prevalere in ogni contrattazione, finiscono per innestarsi altre spinte. E' un errore perché l'attività sindacale non è mai stata un passaggio per mutamenti radicali nel Paese, ma uno strumento per la crescita sociale e civile, pezzo per pezzo. Inoltre, lo scontro tra l'anima estremista e l'anima moderata del sindacato, a Torino porta sovente all'immobilismo. Diventa cioè difficile gestire una linea sindacale tra chi, ogni volta, dichiara che il compromesso rappresenta "una svendita" e chi ritiene che "non si poteva tirare oltre"». .C'è poi a Torino — ha proseguito Mattina — una grossa massa di meridionali che vive le contraddizioni della gente del Sud che è capace, a volte, di atteggiamenti radicali come l'occupazione delle terre. La miscela tra fiammate di radicalismo meridionale, tra gruppi fortemente ideologizzati e tra aree di moderatismo, crea condizioni di blocco e di difficoltà, specie in momenti come questi, nei quali il sindacato è sulla difensiva perché deve gestire la crisi». Sergio Devecchi

Luoghi citati: Detroit, Miraf, Roma, Torino