Cina, scontro di cento idee di Frane Barbieri

Cina, scontro di cento idee COME FINIRÀ' IL RISCATTO DELLE GENERAZIONI «DISTRUTTE E PERDUTE» DAL MAOISMO? Cina, scontro di cento idee Lanciata la riforma economica, i dirigenti di Pechino annunciano una guerra alle sovrastrutture politiche - Se è facile definire le cause del «disastro storico», la gente «si chiede ancora qual è lo scopo dell'edificazione socialista» - Nel dibattito ideologico sembra emergere una sola certezza: si era imboccata una strada sbagliata DI RITORNO DALLA CINA — Talvolta si ha l'impressione che in Cina oggi si voglia incominciare tutto daccapo. «Dopo trent'anni di costruzione del socialismo la gente si chiede ancora qual è lo scopo dell'edificazione socialista». L'ardito giudizio è di un famoso filosofo, Lu Sin. Sbalordisce ancora di più quando lo troviamo pubblicato sul Rinminribao, prontuario, un tempo, di tutte le certezze dottrinarie del partito. Oggi l'unica certezza sembra quella che si era imboccata una strada sbagliata. Hu Yaobang, il nuovo segretario generale del pcc, parlando con la delegazione di un partito comunista occidentale, lo ha espresso in termini che non possono suonare più espliciti: «Abbiamo perduto almeno vent'anni, impegnati ogni giorno in campagne politiche». Altri funzionari parlano degli ultimi decenni come del «più grosso disastro nella storia del partito». Lo stesso Hu Yaobang calcola che almeno 160 milioni di giovani delle nuove generazioni sono stati «distrutti» a causa di un'educazione demagogica o, meglio, di nessuna educazione. Tuttavia sarebbe difficile immaginare che un partito comunista possa sopravvivere, almeno come partito guida, basando la politica sulla distruzione delle proprie certezze ideologiche. Nemmeno la direzione post-maoista, malgrado il coraggio della sua autodenuncia, arriva a tanto. Cerca piuttosto di sostituire le certezze di prima, legate al ■disastro», con delle certezze nuove che possono dare un contenuto ed una risposta all'inquietante quesito formulato dal filosofo Lu Sin: qual è lo scopo dell'edificazione socialista? Nel rispondere si antepone la prassi all'ideologia, l'economia alla politica. Nel gergo parabolico cinese ciò si esprime in due formule. La prima consiste nello «sconfiggere la superstizione moderna» (che sarebbe l'indottrinamento e il culto maoista). La seconda viene chiamata «il giusto criterio per stabilire la verità» ed esige che la verità sia verificata nella pratica e non ricercata nell'ideologia. L'argomento usato a conforto di queste formule è estremamente pragmatico: l'ideologia e la politica asserivano che il Paese si trovava in continuo sviluppo, mentre la prassi dimostra che non c'è stato alcuno sviluppo. Era logico che si incominciasse dallo smontare il maoismo con riforme in economia. Diventa però inevitabile che dall'economico si sfoci nel politico. Un cambiamento radicale nel sistema produttivo, come quello concepito da Zhao Ziyang, può avere soltanto due effetti: o imporre una riforma delle sovrastrutture politiche o rimanere sepolto sotto la macchina burocratica restia ai cambiamenti. La Cina del dopo Mao si trova proprio nel momento in cui la nuova leadership, lanciata la riforma economica dalla base, sta annunciando la guerra anche alle sovrastrutture politiche. E' tutto da verificare però se saprà vincerla dato che per molti versi dovrà condurla anche contro se stessa, in quanto somma espressione del dominio politico. C'è in tutto poi un peculiare paradosso: il rinnovamento postmaoista è stato imposto e viene gestito dai veterani. Il riscatto delle generazioni «distrutte e perdute» dal maoismo diventa opera della generazione consumatasi fisicamente e politicamente nel maoismo. Il grosso problema e la grossa incognita degli anni a venire sono quelli della fusione generazionale: si riuscirà a «liquidare l'influenza velenosa della banda» (che coll'estremismo anarcoide aveva pur trascinato i giovani), si riuscirà a far credere e capire che la vecchia guardia della rivoluzione non abbia nessuna colpa da condividere nel «disastro storico» o almeno che questa volta sia capace di prevenirlo? In questa funzione al Comitato centrale è stata ultimamente definita una versione delle svolte storiche, con il proposito di spiegare da una parte la biforcazione avvenuta nelle alte sfere del Paese e dall'altra di scagionare la direzione attuale dalle deviazioni, facendo emergere i suoi meriti per aver ricondotto il partito e il Paese sulla strada giusta. Anni perduti Cerchiamo di ricostruire questa versione in base a quanto ci hanno detto personalmente vari alti funzionari e in base alle interpretazioni date da importanti personaggi della nuova leadership alle autorevoli delegazioni comuniste sempre più numerose a Pechino. Non per caso Hu Yaobang parla di «vent'anni perduti». La svolta maoista e la conseguente rottura al vertice datano infatti da quell'epoca. Come anno cruciale viene indicato precisamente il 1957. Nel periodo dei ceri to fiori, caratterizzato pure dalla «direzione collettiva» dei notabili della rivoluzione, Mao non riusciva a far valere sempre la sua. Spesso si adeguava al pensiero degli altri. Il congresso del 1956 lo avrebbe addirittura perduto. Coma contraccolpo, fra il 1957 e il 1966 si sono verificate «due grandi deviazioni nell'ideologia e nella linea politica del partito». La prima proveniva dallimpazienza nel condurre lo sviluppo economico: il grande balzo in avanti nell'industria con le acciaierie rudimentali e la forzata organizzazione delle comuni popolari. Dalla prima deviazione è scaturita la seconda: le resistenze incontrate hanno fatto nascere «la teoria dell'allargamento della lotta di classe». Siccome le resistenze e le crìtiche alle forzature sono avvenute nello stesso partito, lo scontro di classe si svolgeva fra comunisti. Anzi fra dirigenti stessi. La campagna anti-destrorsi s'è iniziata con il caso del maresciallo Peng Dehuai, ministro della Difesa, il quale, do-' po la sessione del Comitato centrale svoltasi nelle montagne Lushan, aveva mandato a Mao una lettera di disapprovazione per le decisioni sul grande balzo e sulle comuni popolari. Il maresciallo e quanti lo sostenevano erano stati proclamati nemici del partito. Oggi si dà la seguente interpretazione: «Dopo la conquista del potere e la socializzazione della proprietà al partito si pose il problema sul compito principale. Lotta di classe o costruzione socialista?». La risposta prescelta (oggi ritenuta sbagliata) fu: «La lotta di classe va considerata come chiave di volta di tutta la politica del partito». Da questo punto si andava direttamente verso un successivo periodo di •errori ancora più gravi» che copre il decennio dal 1966 al 1976. Eccolo nell'interpretazione di un alto personaggio: «Si sosteneva erroneamente che nel partito e nel Paese si stesse espandendo una linea controrivoluzionaria, e poi si era arrivati addirittura a sostenere che In seno allo stesso partito si fosse formato uno stato maggiore borghese capeggiato da Liu Shao Qui. Lin Piao e la banda dei quattro ' hanno sfruttato questo errore per lanciare la linea dell'ultrasinistra. Hanno usato pure il prestigio di Mao per incitare i sentimenti fanatici di molta gente». In quel periodo la maggioranza del Comitato centrale era messa da parte, il Politburo non giocava alcun ruolo e la segreteria del partito era scomparsa. Il gruppo centrale della rivoluzione culturale aveva preso tutto il potere. La svolta, sempre secondo questa versione, incominciò appena nel 1976, morte di Mao, e terminò con l'abbattimento della «banda dei quattro». La ricostruzione delle tappe e i e e a e e a a a a e critiche degli ultimi decenni fatta dall'attuale direzione implica due cose: i dirìgenti riemersi dalla segregazione non soltanto non hanno colpe per le deviazioni ma ne sono stati vittime; l'attuale Comitato centrale non ha compiuto alcun scolpo di partito-, ma ha ripristinato la normalità, sconfiggendo gli usurpatori. Eppure un colpo, una rivoluzione nella rivoluzione culturale, c'è stato se i suoi artefici parlano oggi della «seconda liberazione» e della riforma come di «una nuova lunga marcia». Quello che è avvenuto dopo la morte di Mao è stato una ben congegnata rivolta dei veterani. Contro chi? Formalmente e ora penalmente contro la «banda di Shanghai». Afa, politicamente e ideologicamente, non poteva essere diretta che contro Mao. Nemmeno l'articolata e addomesticata versione ufficiale dei fatti può nascondere che dietro gli «errori» e le deviazioni traspaiono Mao e le sue idee. Nell'impazienza senile aveva dato le colpe ai propri compagni d'armi per la lentezza delle trasformazioni rivoluzionarie. Nel loro risentimento i veterani soprawrissuti riportano ora la linea politica al punto della loro separazione da Mao. Infatti, nulla dopo il 1957 gli viene più riconosciuto come merito. Quando c'è bisogno (e bisogno ce n'è in quanto il carisma non è stato tuttora smontato), si richiamano soltanto al suo articolo del 1956 «sui dieci rapporti», in cut Mao, adeguandosi al riformismo post-stalinista e volendo forse contendere a Kruscev il primato, proponeva il decentramento che Zhao Ziyang ora sta per applicare. Sostiene Hu Yaobang: «Mao non sarà ripudiato totalmente». Però, viene ripudiato quanto serve per non far vivere il mito e per non creare V.n nuovo Mao, né formato grande né formato piccolo. Per il prossimo congresso sarà messo a punto, anche in conseguenza del processo alla banda, un giudizio definitivo su Mao in cui «i meriti saranno meriti e gli errori saranno errori». Contando bene che un Mao con degli errori non è più Mao. I burocrati •Quanto a un eventuale nuovo Mao, la revisione dello statuto, in preparazione per lo stesso congresso, prevede l'abolizione delle cariche 'Vita naturai durante*, una contìnua verifica dei funzionari, un loro avvicendamento obbligatorio ed un decumulo delle cariche. Al di sopra di tutti questi principi viene ristabilito quello della «direzione collettiva». Si sostiene che durante la lunga guerra avrebbe funzionato a perfezione come pure nei primi anni dopo la rivoluzione. Prima cioè che si sia imposta la regola dei «due qualunque». Èra questa: «Qualunque cosa dice Mao bisogna eseguire, qualunque cosa approva Mao non può essere cambiata». Ora, ricalcando i cento fiori, rientra in vigore invece la regola delle «cento idee che si contendono». Igiornali hanno aperto anche delle apposite rubriche per far scontrare le idee. Ma per il momento vi si discutono piuttosto i cento modi per applicare un'unica idea piuttosto che contrapporne cento. Infatti si nota troppa certezza nel sostituire le certezze tramontate della rivoluzione culturale. Come se fosse cambiata soltanto la odirettiva* e non anche lo spirito o, come si preferisce dire, la mente delpartito. «Sono gli stessi altoparlanti, vecchi e presuntuosi, che diffondono il nuovo verbo del partito». Si riflette forse qui uno dei più pericolosi limiti della riforma. La rivoluzione culturale aveva messo al bando i burocrati, quel muro sordo che in simili sistemi blocca ogni comunicazione fra base e vertice. Oggi una parte dei burocrati sono ritornati come eroi della resistenza contro la banda riprendendosi le cariche. In alcuni ministeri fra neonominati e riabilitati ci sono più di 20 viceministri. Stanno propagando la riforma, ma riusciranno a capire che in buona parte sono la causa della riforma? Alle prime difficoltà, quando il decentramento creerà anche dislivelli e non darà soltanto impulsi positivi allo sviluppo, potranno cogliere l'occasione ed erigersi ad arbitri, per non cedere i posti di privilegio conquistati. Un insuccesso della riforma razionale potrebbe aprire di nuovo lo spazio all'irrazionale, all'ideologico da cui è sempre fiorita l'elite burocratica. Lo ha intuito Bandiera Rossa scrivendo che la nuova politica dev'essere appoggiata con quadri nuovi e specializzati e giovani. Ma dove mettere i vecchi se alla loro rivolta si deve la riforma antimaoista? Il problema è stato appena toccato al vertice con le dimissioni, imposte o volontarie, dei più anziani. Sarà molto più complesso nello sterminato apparato intermedio. Si prepara in proposito un decreto del Comitato centrale (divisione dei poteri tra partito, Stato e impresa a tutti i livelli, largo ai giovani qualificati, elezioni democratiche con 'tre sali e tre scendi» ossia tre votazioni ripetute per ogni candidato). Però, applicarlo, comporterà un'altra lunghissima marcia. Si possono intravedere anche resistenze opposte. Gli eccessi rivoluzionari non sembrano aver raccolto troppi consensi nella mentalità spiccatamente rurale dei cinesi: prevale il loro senso populista della democrazia, un senso contadino del pragmatico e mercantile, una tendenza a vivere bene anche la miseria. Tuttavia, a Shanghai per esempio, i nuovi piccoli ristoranti e negozi artigianali privati, aperti in base ai provvedimenti del nuovo corso, sono stati demoliti dai gruppi che non concepivano «il ritorno dei capitalisti». Nella stessa città ci sono state difficoltà nello spiegare ai membri del partito come il Utoismo da esempio revisionista sia diventato di colpo un esempio da imitare. Si tratta di contrasti che poi si riflettono al vertice, come il divorzio fra Mao e la vecchia guardia al vertice aveva coinvolto la società intera trascinandola nel «disastro». Frane Barbieri Pechino. Un posteggio di biciclette. Oggi si accusa Mao di aver mentito dicendo che la Cina era in continuo sviluppo (GNeri)