Pinter: «Non uccidete l'umorismo» di Masolino D'amico

Pinter: «Non uccidete l'umorismo» COLLOQUIO COL GRANDE COMMEDIOGRAFO; OGGI RICEVE IL PREMIO PIRANDELLO Pinter: «Non uccidete l'umorismo» Da pochi giorni ha compiuto cinquantanni, è stato festeggiato al National Theatre di Londra e si è sposato per la seconda volta - «Sono un vecchio drammaturgo» - «La critica ha sempre apprezzato il mio penultimo lavoro» - «Il teatro commerciale è morto» - «Ora i giovani autori impegnati scrivono per certi teatrini» - «Un messaggio ai registi stranieri: le mie commedie sono divertenti, devono far rìdere» - «Ho sempre trovato Cecov meraviglioso» - La fortuna di un copione dimenticato - Ha appena sceneggiato per il cinema «La donna del tenente francese» NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE PALERMO — Il 10 ottobre scorso Harold Pinter ha compiuto cinquantanni, ed è stato doverosamente festeggiato dal National Theatre con una rappresentazione straordinaria dell'atto unico Landscape, e con la messa in cartellone dell'ormai classico Guardiano. Per conto suo, Pinter si è festeggiato sposandosi (per la seconda volta), e offrendosi una luna di miele a Venezia, coronata da una spedizione a Palermo: dove oggi gli verrà solennemente conferito il prestigioso Premio Pirandello della Cassa di Risparmio delle province siciliane, assegnato da una giuria presieduta da Raul Radice e comprendente alcuni fra i più importanti critici e uomini di teatro italiani. Il premio va a una personalità del teatro internazionale, e consiste in una bella e preziosa medaglia d'oro di Emilio Greco, in cui Pirandello ha un'aria insolitamente autoritaria, alla Lenin. Ho passato una mezz'ora con Pinter sull'incantevole terrazza di Villa Igioa, deserta dopo la partenza dell'entourage di Elisabetta LI. Passavano nuvoloni minacciosi, ma britannicamente il commediografo è salito in camera a prendersi un paio di occhiali neri: non è abituato a tanta luminosità. Signor Pinter, qual è la posizione di un grande autore drammatico in Inghilterra, og¬ gi? E' un personaggio àcWestablishment? — No, certo che no. E poi non lo so nemmeno, se sono considerato un grande drammaturgo. Sono un vecchio drammaturgo: ho cinquantanni, e scrivo commedie da ventitré... Membro (^//'establishment? Non saprei... Non faccio vita ufficiale. Sì, faccio parte della direzione del National Theatre. Ma non faccio parte del mobilio, non credo davvero. E poi, non sono mica così popolare, sa. Non sono affatto un autore popolare. «Io poeta» Ma oggi tutti scrivono commedie, in Inghilterra. Non è cosi? Qual è il rapporto fra commediografi e pubblico? — Dipende, lo quando scrivo non ho in mente nessun pubblico. Scrivo per me, e basta. Ma ci sono per esempio tanti giovani autori impegnati politicamente, che scrivono per un pubblico altrettanto impegnato, che frequenta certi teatrini... Lei ha ripetuto spesso di aver cominciato a scrivere per il teatro quasi per caso. Oggi sembra una decisione abbastanza ovvia per un giovane, no? — E'per via delle sovvenzioni. Oggi scrivono tutti, ma non per il teatro commerciale. Quello è morto, ucciso dai costi. Scrivono per questi teatrini, finanziati dall'Arts Council, o dalla Royal Shakespeare Company. Vuol dire che teatralmente l'Inghilterra è ormai un Paese socialista? — Questo no, esistono anche molti teatri provinciali, compagnie di repertorio, che hanno una loro indipendenza. Non tuu to il teatro è statalizzato. Torniamo indietro. Quando cominciò a scrivere, sentiva affinità con qualche autore vivente? — Vivente? Beh... Ammiravo Beckett. Però conoscevo i romanzi, soprattutto, prima del teatro. E poi... beh, dei poeti. Leggevo e leggo ancora molta poesia. W. H. Auden, per esempio. Già, lei aveva cominciato come poeta. — Avevo composto centinaia di poesie. Qualche dozzina l'avevo anche pubblicata. Un critico, Martin Esslin, mi pare, ha detto infatti che il suo teatro si spiega con la poesia. Che è il teatro di un poeta. — Non saprei proprio. Posso dire che per me la parola, la lingua, la sensazione della lingua, sono importantissime. Esslin voleva spiegarsi la rottura di certe leggi convenzionali del teatro, credo. Il fatto che una certa logica convenzionale del teatro era ripudiata in favore di una logica «poetica». Ma veramente io non ho mai pensato a infrangere nessuna legge. Ho sempre scritto come mi veniva... commedie e poesie. D'altro canto il pubblico è rimasto spesso perplesso davanti alle sue commedie. — Certe cose sembravano nuove. E magari non lo sembrano più. Questo è vero. L'anno scorso ho trovato nel cassetto una mia commedia di venl'anni fa, mai rappresentata. All'epoca pensavo che la gente l'avrebbe trovata troppo surreale. Non me la ricordavo nemmeno più. Beh, rileggendola mi sono fatto delle risate, ho detto, perché no. L'ho messa in scena, ed è stata un successo. Mentre invece la sua ultima commedia, Betrayal, che pure ha avuto un successo di pubblico, è stata trovata dalla critica troppo «facile», troppo commerciale. — La critica ha sempre apprezzato la mia penultima commedia, mai l'ultima. Certo che Betrayal è «facile». E ' la storia che è semplice. Non c'era motivo di complicarla. Da un'idea Ma la storia l'ha inventata lei. Parla come se le fosse capitata. — lo non invento mai storie. All'inizio non so mai che cosa succederà. Prendo dei personaggi, uno spunto... e lascio che si sviluppino. Lascio che tutto succeda naturalmente. Non sono un manipolatore di personaggi. Non sono un autore che interferisce. Quando il personaggio mi si è presentato, lascio che vada dove vuole... lo osservo. Quando comincia non ha una trama in testa? — Mai. Per esempio, mi ricordo di quando ho scritto 11 ritorno a casa. Scrissi la prima pagina... lo comincio così, sempre dall'inizio; non avevo idea di cosa sarebbe successo dopo. C'era un rapporto, un padre e un figlio... Avevo un'idea, una vaga idea, che in questa casa sarebbe arrivato qualcuno; magari un altro figlio, diverso dal primo. Uno scrittore. Tutto qui. Sapevo che sarebbe successo qualcosa. Ma non pensa nemmeno alla destinazione, quando comincia? Se la commedia sarà in tre atti, o in uno? — Non lo so mai finché non ho finito. Adesso ho appena terminato un lavoro. Il che mi rende felice, perché più passa il tempo e più trovo difficile scrivere. E ho capito che cosa era solo mentre lo stavo terminando. Era un radiodramma, di quarantacinque minuti. Non potrebbe essere nienl'altro. A sentirla sembrerebbe un improvvisatore. Mentre una sua specialità è proprio l'organizzazione, anche del lavoro altrui. Ha scritto eccellenti sceneggiature cinematografiche basate su romanzi. — E' un lavoro che mi piace, mi stimola e mi impegna molto. Sono abbastanza fiero anche del mio ultimo copione: ci ho messo un anno intero. E' tratto dal romanzo La donna del tenente francese di ]ohn Fowles. Lo stanno girando adesso. E quale finale ha scelto? Il libro ha due finali, no? — Chi le dice che non possa avere due finali anche un film? Adesso, una domanda inevitabile: cosa pensa di Pirandello? — Lo ammiro... lo ammiro. Non ho molto da dire. Lo trovo notevole. Quando cominciai a scrivere lo conoscevo poco. Conoscevo poco teatro; leggevo solo poesie. Con ritmo Ma qualcosa in comune fra voi si può trovare. Pirandello è l'autore dell'ambiguità, della verità che non si sa mai dov'è, che viene sempre ribaltata. E un po' anche lei, no? Nel senso che i suoi personaggi non si rivelano mai completamente. Non sappiamo mai bene chi sono. — Beh, il mio messaggio non è «la verità». E sì, lascio che i miei personaggi si contraddicano. Non è quello che fa la gente nella vita, lutto il tempo? Prima si parlava dell'importanza della lingua, per lei. Co- me funzionano le sue commedie in traduzione? — E' un gran problema, lo cerco di seguire le traduzioni, le faccio leggere da esperti, ma qualcosa si perde sempre. E poi all'estero c'è questa mania dell'astratto. Le mie commedie vanno eseguite in modo molto semplice, molto realistico. Con un loro ritmo, lo ho fatto l'attore per dodici anni, e se ho imparato una cosa è come si fa a tenere l'attenzione del pubblico. I suoi famosi silenzi... — Già, ma quei silenzi devono essere inseriti in un ritmo. Mi è capitato di vedere, sul continente, attori che recitavano le battute a perdifiato e poi si bloccavano di colpo perchè la didascalia diceva «pausa». E poi ripartivano. Era insensato. Mi permette di rivolgere un messaggio ai miei registi stranieri? Non ho rivendicazioni da fare, ma a una cosa tengo molto. Le mie commedie sono divertenti. Devono far ridere; di questo sono convinto. Non ho niente in contrario allo stile astratto in sé, ma non deve uccidere l'umorismo. Mi è successo (anche in Inghilterra, a essere sincero) di sentire tutta una mia commedia senza che ci fosse una sola risata in sala. Questo è il contrario delle mie intenzioni. Ed è deprimente. Un altro autore che spesso all'estero si tende a rappresentare in modo lagnoso si raccomandava sempre di fare le sue commedie in modo brillante, allegro: Cecov. — Adesso che me lo nomina... Ecco il nome che avrei voluto ricordare prima. Cecov, certo. A proposito di influenze, lo Cecov l'ho sempre trovato meraviglioso. Masolino D'Amico Harold Pinter in una caricatura di David Levine (Copyright N.Y. Review of Books. Opera Mundi e per Htalla .La Stampa.)

Luoghi citati: Inghilterra, Londra, Palermo, Venezia