Quando Longhi stroncò il Tintoretto

Quando Longhi stroncò il Tintoretto LA SUA OPERA DI STORICO DELL'ARTE E UOMO DI CULTURA, A DIECI ANNI DALLA MORTE Quando Longhi stroncò il Tintoretto Critico raffinato e colto, grande prosatore, per la pittura italiana fu un interprete di prepotente personalità Dalle avanguardie al fascino dello stile come valore e misura - Bilancio di un grande convegno internazionale Roberto Longhi è scomparso dieci anni fa. Le tracce che ha lasciato nella ricostruzione delle vicende dell'arte italiana, e per certi aspetti anche di quella europea, sono cosi profonde da non poterne prescindere e gli storici dell'arte sanno quanto i volumi delle sue opere complete siano strumenti di riferimento quotidiano. Ma che immagine sene fa il più vasto pubblico dei non specialisti? Chi fu dunque Roberto Longhi e come si colloca la sua opera nella nostra storia culturale? Come si può definire il suo metodo? Ed è utilizzabile oggi come modello? Sono queste alcune delle domande poste al convegno internazionale •Roberto Longhi e la cultura del suo tempo» tenutosi recentemente a Firenze. C'erano italiani e francesi, critici e uomini di museo, letterati, filologi, storici e soprattutto storici dell'arte. C'erano antichi allievi, molti di coloro che lo conobbero e altri, più giovani, che lo incontrarono solo sui libri. E tuttavia la personalità di Longhi, tanto ricca e prepotente, era cosi presente da rendere per ■molti difficile, addirittura impossibile, prenderne le distanze, collocarlo entro una dimensione storica. A prima vista la figura di Roberto Longhi appare curiosamente contraddittoria. Univa la filologia asciutta e severa di Pietro Toesca, suo maestro negli anni torinesi, a doti di scrittura, tutte giocate sull'equivalenza letteraria dell'opera figurativa, tali da farne uno dei massimi prosatori italiani del nostro secolo. Aveva meditato sulla lezione di metodo dei viennesi e di Riegl, sugli approcci recenti alla «pura risibilità*, ma ammira■va soprattutto la critica militante dei francesi, e quella loro immediata capacità di adesione all'opera attraverso la scrittura. Entusiasta lettore di Berenson quand'era assai giovane, corrisponde poi con Croce, è amico di Antal. Compagno e massimo esegeta dei futuristi, scrive poi su Sciltian; è amico e sodale di Carrà e soprattutto di Morandi, più tardi si avvicina a Guttuso. Interprete di un'avanguardia innovatrice e dirompente appare poi sensibile al fascino dello stile quale valore e misura. Gli scritti di Longhi hanno rivelato aree culturali nuove come la pittura bolognese e quella umbra del Trecento, hanno messo in luce contatti e rapporti (basti ricordare l'importanza europea di Piero della Francesca, chiarita già dal 1914), hanno mutato cronologie, trasformato i ruoli e le collocazioni di tanti artisti portando alla ribalta nomi poco o nulla conosciuti e abbassandone altri, celeberrimi (si pensi alle stroncature di Tintoretto o di Tiepolo sul Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, alla condanna dell'arte bizantina nel Giudizio sul Duecento e per contro alla celebre resurrezione di Carlo Bracceseo). Dopo di lui l'immagine che ci si fa del percorso della pittura italiana non è più la stessa. Non solo: Longhi ha saputo costruire, se non addirittura — come avrebbe voluto — rivelare, una linea, un disegno dietro alle vicissitudini della storia. Fu insomma in qualche modo il Francesco De Sanctis della storia dell'arte e dovette averne coscienza visto che egli stesso ricorda la scoperta che del De Sanctis fece a Torino, sotto la guida di Umberto Cosmo. Ma l'immagine della storia della pittura italiana quale si può ricavare dagli scritti del Longhi, pur fortemente mossa da passioni civili, non è sotte¬ sa da una prospettiva unitaria come quella della storia della letteratura italiana del De Sanctis, è piuttosto la scoperta, la rivelazione cattaneana di un'Italia policentrica, ricca di città, di municipi, di regioni, di culture diverse, di artisti vaganti tra un paese e l'altro. E'una storia dove la linea vincente non getta nel buio e nella dimenticanza le diversità, le alternative, e ne fa fede tra l'altro il vario rilancio del filone eccentrico, anticlassico. > N Per costruire questa immagine tanto variata Longhi ha cercato e scavato con veemenza, ha riorganizzato il corpo della pittura italiana. Ogni attribuzione a un artista, ogni elemento cronologico acquisito è come l'annotazione di una quota altimetrica per il cartografo. Di fatto la rete longhiana di attribuzioni compone la nuovissima carta al 25.000 della pittura italiana alla cui realizzazione, per campionature, assaggi, campagne di rilevamento, questo geniale agrimensore ha atteso tutta la vita, foglio dopo foglio, tavoletta dopo tavoletta. Dallintersecarsi dei punti, dallo stabilirsi dei nessi nascono i «leggendari giudizi» evocati da Contini che gli permettono di affermare «questa è cultura del 1280, o del 1520. o del 1610». Storico, e quale storico, perché conoscitore. Ma l'uomo di scienza, il filologo Longhi è stato, nella giovinezza, un critico militante che ha seguito, spronato, teorizzato, interpretato l'azione dell'avanguardia futurista, battendosi nel medesimo tempo per una riscoperta del Seicento e utilizzando in entrambi i casi i medesimi strumenti di critica figurativa «pura»; «Che la mia intenzione fosse di trovare subito un possibile punto di frattura e di 11 operare una congiunzione dei due campi fino a che "la critica coincidesse con la storia" spero che abbia a trasparire già da questi miei scritti» avverte nel 1961, introducendo l'edizione degli Scritti Giovanili. Ed è lo stesso Longhi che intorno agli Anni Venti, e ai suoi trenta, quando, secondo il celebre Prologo di Cardarelli sul primo numero della Ronda, «la vita è come un gran vento che si va calmando», lascia la battaglia per l'avanguardia in Italia sbandata e distrutta, per arroccarsi sulla «haute comiche» della storia. Un'astuzia del destino gli permette di straniarsi dalle volgarità del riflusso, da coloro che occupano le riviste e i movimenti del •ritorno all'ordine». E' divenuto l'esperto di un grande collezionista-mercante, ha trovato il suo Duveen in Contini Bonacossi. E cosi quei minacciosi inizi degli Anni Venti li trascorre in un •grand tour» tra Germania, Austria, Ungheria, Spagna e soprattutto Francia, quella Francia dove, date le sue convinzioni sull'identità tra critica e storia, si sentiva come in una seconda patria, ma in cui fino allora non aveva mai messo piede. ■Nel corso degli anni Longhi costruisce una sua Mimesis, una storia del realismo in Occidente, da Vitale da Bologna a Gaspare Traversi, passando per Caravaggio, stella polare fin dagli anni torinesi, giungendo sino a Morandi (e più tardi a Guttuso). Durante la sua lunga vita incrocia in molti punti caldi della cultura italiana, dal Futurismo al Neo Realismo, sconfinando a più riprese dai limiti propri della storia dell'arte. Perché Longhi non fu solo uno storico dell'arte, ammesso che queste distinzioni corporative abbiano ancora un senso, fu piuttosto, con le sue contraddizioni, una delle •persone prime» della nostra storia culturale. E tuttavia se la sua problematica non ha (tranne qualche notabile eccezione e malgrado il richiamo esercitato su artisti, scrittori, registi) valicato di molto la cerchia dei •cultori della disciplina», se Longhi non ha esercitato l'influenza di un De Sanctis, questo significa che la storia dell'arte, almeno in Italia, non è diventata una disciplina-guida; è stata (o si è) relegata in una posizione subordinata e settoriale. E ciò può significare pure che il metodo di Longhi per il labirintico intrico di piani che mette in òpera, unche al livello della scrittura, per le singolari e individualissime capacità che richiede, non si presta a funzionare da modello. Per comprendere come e perché le cose siano andate così occorrerà in ogni modo attendere che sia portata avanti una mappa diramata in varie direzioni e dimensioni della cultura italiana del Novecento che faccia luce tra l'altro sulla gerarchizzazione e i ruoli all'interno delle scienze umane. Solo così si potranno avanzare giudizi, se non • leggendari» almeno non troppo avventati. Enrico Castelnaovo U l di dii di Lhi è Mil ll Una scelta dei disegni di Longhi è esposta a Milano alla «Compagnia del Disegno». La gallerìa accoglie insieme i ritratti di Longhi eseguiti da Cario Mattioli. Quello che pubblichiamo fu tracciato nel '61 sul retro di una scatola di sigarette