Anic, «fiore all'occhièllo» dell'Eni dopo 23 anni inaia od appassire di Enrico Mattei

Anic, «fiore all'occhièllo» dell'Eni dopo 23 anni inaia od appassire Ravenna: l'ombra della crisi sul colosso voluto da Enrico Mattei Anic, «fiore all'occhièllo» dell'Eni dopo 23 anni inaia od appassire Dà lavoro a 4300 dipendenti diretti e a mille operai delle imprese appaltatrìci - Ridotta del 50 per cento la produzione sulle linee delle plastiche e su alcune linee delle gomme - Le 600 persone addette sono state in parte assorbite con operazioni di mobilità interna - Per il momento non si parla di licenziamenti o cassa integrazione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE RAVENNA — Era. questa dell'Anic, una fabbrica d'avanguardia, non solo per l'Italia, nel settore della chimica. Enrico Mattei, che l'aveva voluta, la considerava il fiore all'occhiello dell'Eni. Venivano a visitarla grandi personaggi sul piano internazionale: Kos sigli in, allora primo vice premier sovietico, Nierere, già alla guida della Tanzania. Hassan del Marocco, e ministri, delegazioni scientifiche da tutto il mondo. Sono passati 23 anni dal giorno della inaugurazione e il colosso perde colpi. Ha lottato contro l'invecchiamento, sempre rapidissimo in un settore di alta tecnologia come quello chimico, eppure ansima. L'aria di crisi fortunatamente per ora non si manifesta con licenziamenti o cassa integrazione, ma con riduzione di una parte della produzione. Questo, comunque, è già un sintomo allarmante, non solo per Ravenna: l'Anic è la massima industria dell'Emilia-Romagna, dà lavoro a 4300 dipendenti diretti e a mille operai delle imprese appaltatici. Vengono a lavorare qui non solo da Ravenna, ma da tante altre località della regione, Porli, Faenza, Lugo. Cesena. Ogni anno oltre 90 miliardi di lire, su un fatturato dello stabilimento di 550 miliardi, sono distribuite in 5300 famiglie romagnole. E' facile capire quanta preoccupazione suscita questa riduzione della produzione, che tra l'altro è molto sensibile: il 50 per cento sia sulle linee delle plastiche sia su alcune linee delle gomme. L'Anic di Ravenna sorse per sfruttare il metano disponibile, allora, nei pozzi intorno a Ravenna, ora sfrutta anche quelli dell'Adriatico; e inoltre gli impianti sono collegati alla rete nazionale per cui usufruiscono pure del gas di importazione. Il metano, nel '57 costava 8 lire il metro cubo e 15 nel '73, ora ne costa 150; e questo è uno dei nodi della crisi. Si producevano gomma (erano gli anni del decollo automobilistico) e fertilizzanti (allora monopolio della Montecatini). Costo delle materie prime e condizioni di mercato rendevano lo stabilimento molto redditizio. Ora tutte le condizioni si sono rovesciate. Dice il direttore dello stabilimento, ing. Alberto Burrai: -Non abbiamo mai segnato il passo: sono stati via via rinnovati gli impianti con nuove tecnologie per migliorare i processi e le condizioni ambientali ed ecologiche; sono state anche avviate nuove produzioni. In alcuni settori si è sviluppata la ricerca applicata che ha portato ad una diversificazione nei settori gomme e plastiche verso prodotti più sofisticati e all'avvio di un'attività di chimica secondaria per la quale è stato messo a punto il progetto di un impianto polifunzionale semiscala da realizzarsi nel giro di un paio d'anni in questo stabilimento. Entrambi questi sviluppi, diversificazione e chimica secondaria, sono da considerare la strada del futu ro, perché alla chimica di base tutti prima o poi arriveranno, anche i Paesi del Terzo Mondo, molti dei quali avvantaggiati dalla disponibilità del petrolio». L'attuale capacità produttiva dell'Anic di Ravenna è di 250 mila tonnellate all'anno di gomme e lattici (in origine 30 mila tonnellate), un milione di tonnellate di fertilizzanti. 180 mila tonnellate di plastiche. 500 mila tonnellate di cemento, alcune decine di migliaia di tonnellate di prodotti intermedi organici e di chimica secondaria. Mentre i costi della produzione sono andati sempre più aumentando, s'è innescato il processo della crisi nei vari settori d'utilizzo delle materie prodotte nello stabilimento: auto, edilizia, elettrodomestici. «Per di più — dice il direttore — nel settore della plastica si è scatenata una guerra internazionale dei prezzi, partita dalla Germania, con la chiara intenzione di far soccombere i produttori più deboli. Le attuali riduzioni della produzione riguardano circa 600 persone che in parte sono state assorbite con operazioni di mobilità interna. Già da tempo con il sindacato, con il quale i rapporti sono generalmente corretti e produttivi pur non mancando momenti di forte contrasto e di tensione, stiamo studiando una diversa organizzazione del lavoro per rivedere le mansioni dell'operatore, facendogli svolgere anche interventi di manutenzione». Sulle prospettive immediate l'ing. Burrai non si dimostra ottimista, dice che le previsioni sono incerte, devono necessariamente essere limitate a brevi periodi. In altre parole si vive un po' alla giornata e a questa situazione, anche se il direttore non lo dice, non sarà estranea la sorte della Sir, la fabbrica di Rovelli che sta per passare all'Eni e che come produzione viene a sovrapporsi in parte all'Anic. •Le questioni sono di fondo — dice Adalberto Luciani, membro del consiglio di fabbrica dell'Anic —: ancora una volta si sente la mancanza di quel piano nazionale della chimica che noi da tanto tempo andiamo chiedendo. Qui bisogna innanzitutto procedere tecnologicamente: ci sono impianti rimasti al '57. Secondo noi si è anche dedicato insufficiente spazio alla ricerca e non si è provveduto alla razionalizzazione delle lavorazioni per far ridurre i costi. Ci sono materie prime e semilavorati che fanno il turismo per l'Italia passando attraverso vari stabilimenti dal Nord al Sud e viceversa. Per discutere di queste cose chiediamo un incontro tra le aziende Anic e Montedison di varie regioni. La mèta, nel settore chimico, deve essere quella di risanare il Nord e sviluppare il Sud». C'è poi il problema del metano che. come s'è visto, costava pochissimo all'inizio e molto ora. Ci si chiede da più parti se conviene mantenere una industria chimica basata sulla materia prima metano, una delle meno sfruttate attualmente nel mondo. Il dott. Ferruccio Fronzoni, chimico, dirigente dell'Anic e consigliere comunale della de, è del parere che questa sia la strategia giusta perché è prevedibile, sul medio e lungo termine, maggiore disponibilità ed utilizzo del metano per i vari usi. anche perché l'Italia produce il 40% del gas che consuma. 'Piuttosto — sottolinea — se si ritiene importante per il futuro dell'industria petrolchimica nazionale il capitolo della chimica del metano, si devono creare condizioni, non certo di assistenza o di favore, ma di oggettivo e realistico confronto ed equilibrio con le condizioni dell'industria chimica internazionale che opera nel settore». In altre parole questo: può essere giusto adeguare il prezzo del metano per riscaldamento al prezzo del petrolio, non si può invece mantenerlo tale anche per l'industria chimica che deve avere prezzi più bassi, similari a quelli praticati in altri paesi. «£' preoccupante assistere — dice Fronzoni — a situazioni in cui i nostri prodotti vengono progressivamente esclusi dal mercato per motivi di prezzo dovuti esclusivamente al costo del gas». Il tema, vista la crisi qui in atto, è scottante e urgente. Su di esso la de ravennate sta organizzando, per il 18 ottobre, un convegno. Remo Lugli