Dimenticate Mao, è ora di produrre di Frane Barbieri

Dimenticate Mao, è ora di produrre INCHIESTA NEL SECHUAN DOVE SI ESPERIMENTA LA CINA DI DOMANI Dimenticate Mao, è ora di produrre La regione, avamposto dell'economia cinese, è stata la prima anche nell'abolire il culto del Grande Timoniere - Vi si usano termini un tempo proibiti: concorrenza, profitto, capitale - La riforma dà alle aziende piena autonomia nel decidere vendite, finanziamenti, salari - Già scattata la seconda fase: «Presa di responsabilità per le perdite» - Prima di tutto, il rìso DI RITORNO DALLA CINA —A Chengdu, capitale di Sechuan, ho visto sparire Mao nel giro di una notte. Quando sono arrivato, la piazza centrale era dominata da una mastodontica figura del grande timoniere in marmo rossiccio. Con il braccio destro proteso verso il più largo viale della città, indicava la strada dell'avvenire. Il giorno dopo, ripassandoci, Mao non sì vedeva più. Era rinchiuso in una gabbia di tubi d'acciaio; all'interno gli operai stavano smontando il massiccio monumento. Poco prima era stato pubblicato un decreto del comitato centrale sulla «abolizione della propaganda e della esaltazione degli individui». Sechuan ha voluto essere la prima ad applicare alla lettera il dissacrante decreto. Non è del resto questo l'unico primato conquistato dalla più popolosa provincia cinese (conta cento milioni di abitanti). Situata al centro della Cina, Sechuan è per molti versi anche terra di frontiera. Si trova qui l'avamposto di tutti i cambiamenti che si applicano già su vasta scala in tutto il Paese: 6800 imprese fra le più grandi della Cina (coprono il 45 per cento della produzione nazionale) sono state già messe in un regime sperimentale. Vi si mette alla prova la riforma detta -della conquista dell'autonomia*. Sechuan non è stata prescelta a servire da coniglio sperimentale controvoglia. Piuttosto che subire la riforma, si potrebbe dire che gli -uomini di Sechuan* l'abbiano imposta. La più strenua e costante resistenza alle escandescenze utopistiche e violenze radicali della rivoluzione culturale sì era registrata proprio da queste parti. A momenti si combatteva una guerra civile vera e propria, le cui vittime, secondo calcoli, si avvicinerebbero a cinquantamila morti. La svolta Dallo stesso paesaggio di Sechuan traspare una antica civiltà rurale: campi ordinati quasi geometricamente, intensamente coltivati, un fitto sistema di irrigazione tracciato duemila anni fa, villaggi prosperi e puliti. Un semplice passaggio in macchina lungo una strada asfaltata indica l'ordine di precedenza nell'economia sechuanese: prima di tutto viene il riso, infatti buona parte dell'asfalto viene coperto dalle spighe portate dalle risaie per farle asciugare e trebbiare al più presto, sulla strada ap- punto; viene poi nella graduatoria la carretta del contadino che raccoglie il riso e la paglia; dopo di che la precedenza spetta alle biciclette, stracolme di canestri, dirette verso gli innumerevoli e coloriti mercati della provincia; all'ultimo posto si trovano le automobili. Forse qui più che altrove la rivoluzione culturale aveva rappresentato la tendenza di sopraffazione della mentalità contadina da parte di un cervellotico radicalismo urbano. I contadini perciò erano insorti subito, non perché controrivoluzionari, ma perché la rivoluzione cinese l'avevano compiuta loro e non il proletariato urbano. Anche l'operaio industriale si porta nella fabbrica i valori della civiltà rurale da cui nasce. La guerra contro la -banda*, a Sechuan, non era mai sopita, e l'abbattimento dei -quattro* è stato segnato da una settimana intera dì esultanze popolari con decine di milioni di persone sulle piazze. Qui non ci voleva molto per spiegare come «la verità andava cercata nella realtà e non nella ideologia», e come «la produzione deve venire prima della politica». La tendenza a riformare il sistema è maturata a Sechuan per certi versi prima che a Pechino si fosse verificata la svolta politica post-maoista. Di solito, le riforme dei concetti e dei meccanismi nell'economia cinese vengono legate, nella stampa mondiale almeno, a Deng Xiaoping. Anch'egli è di Sechuan, e i sechuanesi ne sono orgogliosi. Tuttavia, il capo «risorto tre volte» non passa qui come il fautore della nuova riforma. Se «la conquista dell'autonomia» si collega a un nome, è a quello di Zhao Ziyang, l'attuale primo ministro, che i sechuanesi chiamano tuttora «11 nostro segretario». Infatti, abbattuta la «banda», Zhao era stato designato a gestire il partito e le sorti della provincia («gettata nel caos» dall'ex segretario e da sua moglie, ora incarcerati). Il nuovo segretario aveva subito «capovolto i verdetti». La sua prima parola d'ordine fu: «Lasciare respirare il contadino». Uno dei primi atti, la riapertura dei mercati privati agricoli, dove il contadino porta i prodotti migliori del proprio giardino e della propria stalla, e il rilancio delle concessioni all'attività privata di piccoli artigiani e locandieri. Zhao ha poi sconvolto i calcoli produttivistici decidendo di ridurre i raccolti del riso nella provincia da tre a due. Il suo ragionamento era questo: «Meglio fare due volte cinque, che fa dieci, invece di fare tre volte tre, cioè soltanto nove». Significava passare dalla campagna forzata per il raccolto, basata sull'euforia propagandistica, a una razionale organizzazione produttiva ed economica. Ma la riforma vera e propria incominciò a Sechuan appena verso la metà del 197S. Zhao Ziyang si era recato in Jugoslavia dove aveva riscontrato nella pratica molti concetti corrispondenti alle idee che aveva maturato a casa. Anzitutto a quella di sganciare le imprese dai soprusi volontaristici dell'apparato statale e dalle angustie spesso assurde del piano. Ritornato a Chengdu, aveva prescelto sei imprese per eseguire gli esperimenti, lasciando più autonomia nella gestione e più fondi finanziari a libera disposizione. Gli effetti furono tali che l'anno successivo le aziende sperimentali erano già cento, per arrivare oggi a 425 nella sola Sechuan. Nel frattempo le sperimentazioni di Zhao avevano convinto il Polìtburo post-maoista, così che egli veniva chiamato a estendere la riforma si', scala nazionale, prima come vice e poi come primo ministro. Le indicazioni più valide sugli effetti della riforma e sul disegno di un nuovo sistema economico vengono a tutt'oggi da Sechuan, dove la riforma è entrata già nella «seconda fase». Anche questa ha un nome, secondo le usanze e il gergo cinese. Si chiama: «Presa della responsabilità per i guadagni e per le perdite». Il capo della direzione per gli esperimenti nella riforma economica. Li Shi Khua, cerca di sintetizzarmi i cambiamenti avvenuti in un'immagine semplificata come gli inchiostri cinesi: «Prima da noi le imprese erano come navi tirate lungo il fiume da una fune dagli organi centrali, ora stanno diventando navi con le proprie macchine, libere di spaziare come meglio ritengono». Vado a decifrare questi simboli emblematici nelle due imprese che hanno sperimentato prima di tutti e più di tutti. Il direttore finanziario della fabbrica dei tubi d'acciaio, Uang, mette subito da parte i grandi schemi ideologici per esprimersi in cifre. Il risultato sostanziale lo vede nel fatto che ora l'azienda ha a sua disposizione 20 milioni di yuan, mentre prima della riforma ne disponeva di soli 600 mila. Come si sono impossessati di tanti nuovi capitali? Prima alla fabbrica apparteneva soltanto il 5 per cento del profitto realizzato oltre quello stabilito dal piano statale, ora le appartiene il 5 per cento del profitto globale più il 20 per cento di quanto realizzato oltre il previsto. Prima, dei fondi di ammortizzazione lo Stato si prendeva il 60 per cento, ora si tiene soltanto il 40.1 fondi di premiazione, da assegnare sui salari, sono saliti dal 12 al 22 per cento del fondo salariale. I livelli crescono anzitutto perché l'impresa ha il diritto di vendere una buona parte della produzione (ora quasi la metà) direttamente sul mercato, in contatto con altre imprese, senza attenersi alle disposizioni dell'amministrazione statale. Può anche concorrere con prezzi più bassi di quelli fissati dallo Stato. Se poi, nella concorrenza, lanciano un tipo di prodotto usando i propri mezzi finanziari, per due anni non devono nulla allo Stato: «Tutto il profitto è nostro». Concorrenza, profitto, capitale, mercato: quando e da dove avete acquisito questi termini, una volta probabilmente messi all'indice? «Sono termini economici e una economia risulta capitalista o socialista secondo come la si indirizza e gestisce». A colori La «conquista dell'autonomia» non ha arrecato danni allo Stato né all'economia nazionale, tiene a precisare Uang: «Nel giro dell'ultimo anno soltanto lo Stato ha ottenuto da noi 20 milioni di yuan in più, un aumento di più del 25 per cento». Nella fabbrica tessile numero uno di Chengdu prima delle cifre mi colpiscono i colori. Durante un rapido giro dei reparti trovo soltanto tre macchine a produrre la tela blu dell'uniforme nazionale cinese. Centinaia di altre, stampano stoffe a disegni colorati e vivaci. Dico subito: vedo tuttora la Cina vestita in bianco e blu, pantalone, camicia e tuta. Come mai ora state lanciando i cento fiori tessili?. La risposta è pronta: «Alle masse piacevano tradizionalmente i colori semplici. Però anche se avessero preferito vestiti vivaci, sotto la pressione della propaganda di sinistra, mettendoseli addosso sarebbero stati proclamati borghesi reazionari». Cambiando i disegni seguite, dunque, una nuova istruzione politica dall'alto? «No, seguiamo una svolta nei gusti della gente. Liberata dagli' incubi, vuole esprimere la sua libertà anche nel vestire». Ed eccoci all'esperimento e alla riforma. La fabbrica tessile ha ottenuto il diritto di determinare da sola il tipo di prodotto e contrattarne direttamente sul mercato la vendita. Lo Stato pretende dall'azienda soltanto una determinata quota di tasse, proporzionata ai profitti. Così, durante i tre anni di sperimentazione, i profitti dell'azienda sono aumentati da 10 a 20 e infine a 35 milioni di yuan (anche se il prodotto è aumentato solo da 100 a 150). Lo Stato si è preso il 70, e il 30 per cento è rimasto alla fabbrica. Più producono e vendono in proprio e più guadagnano. Così hanno aperto ultimamente anche dei propri negozi in varie città della Cina con la prospettiva di aumentare ì fondi interni. Alla base Il segretario generale dell'impresa, Chen, mi parla di «cinque autonomie conquistate»; autonomia della produzione (prima il piano era imposto dall'alto, ora sono le aziende a proporlo al governo), autonomia nei finanziamenti, autonomia nelle vendite, autonomia nei salari (prima si stabiliva secondo le categorie nazionali, ora lo ripartiscono loro secondo il prodotto interno: è salito in media da 50 .a 80 yuan qualcosa come 40 o 70 dollari), autonomia nelle premiazioni (aumentate da 50 a 200 yuan annui per operaio). Osservo: manca la sesta autonomia, la nomina dei dirigenti. Anche qui una risposta c'è: «Da poco tempo abbiamo acquisito il diritto di nominare i capi reparto da soli, ora stiamo per farlo con i funzionari della direzione. Soltanto il direttore generale viene nominato dal governo. Ma il nostro nuovo regolamento prevede che già l'anno venturo sia l'assemblea della fabbrica a eleggere anche il direttore». Tra tanti diritti conquistati, quali sono le responsabilità? Le prospetta appunto là fase superiore della riforma, cioè il passaggio dal «diritto al profitto alla responsabilità della perdita». Per esempio, la fabbrica tessile di Chengdu segna già un'eccedenza di manodopera in seguito all'ammodernamento delle tecnologie. Per non aumentare i costi o abbassare i salari sta prospettando, con i propri fondi interni, la costruzione di un nuovo grande impianto per i tessuti 'alla moda*, e la diminuzione delle giornate lavorative per operaio, aumentando i turni a quattro. Ciò che mi ha colpito a Sechuan non è stata soltanto la nuova impresa riformati, ma anche la preparazione economica, tecnica e imprenditoriale dei nuovi dirigenti. Anzitutto, trovo aumentata la loro autonomia di gestione e di pensiero. Non nasce qui il germe di un futuro conflitto tra la base e la sovrastruttura burocratica, che in altri Paesi socialisti, ma anche nella Cina a cavallo degli Anni Cinquanta e Sessanta, aveva fatto naufragare tanti tentativi di riforma? Una risposta e un presentimento si trovano in quanto mi dichiara il direttore dell'ufficio delle esperimentazioni economiche di Sechuan: «C'è stato un dibattito a Pechino: iniziare la riforma dall'alto o dalla base. Si è deciso di incominciare sperimentando alla base proprio perché i funzionari superiori sono abituati ai vecchi metodi, e non sono mentalmente inclini ai grandi cambiamenti, mentre la base, sentendosi soffocata, tende a cambiare il sistema, spezzando lo strapotere delle strutture burocratiche. Infatti i buoni risultati degli esperimenti riformistici hanno già posto all'ordine del giorno il problema delle sovrastrutture, ormai inadeguate». Frane Barbieri

Persone citate: Deng Xiaoping, Mao, Zhao Ziyang