Il salto della pulce di Primo Levi

Il salto della pulce UNA LOTTA MILLENARIA CON L'UOMO Il salto della pulce Nel museo del Cremlino è esposta la maestosa armatura in filo metallico di una crinolina che appartenne a non so più quale dama della corte zarista. Alla cintura, o meglio al raccapricciante cerchione metallico che funge da cintura, sono appesi due tubetti di porcellana, della forma e misura dei tubi da saggio usati dai chimici; si legge sulla didascalia che erano trappole per le pulci. Vi si poneva nel fondo un cucchiaino di miele; le pulci, nelle loro peregrinazioni fra panno e panno, erano attirate dall'odore del miele, entravano nel tubetto, scivolavano sulle pareti liscie, cadevano sul fondo e rimanevano invischiate. E' questo un capitolo del romanzo che descrive l'interminabile lotta fra due astuzie: l'astuzia consapevole, a breve termine, dell'uomo, che dai parassiti si deve difendere, e inventa i suoi stratagemmi nel giro di qualche generazione, e l'astuzia evolutiva dei parassiti, a cui occorrono i milioni di anni, ma che tocca risultati che ci sbalordiscono. Fra gli animali, sono proprio i parassiti quelli che più dovremmo ammirare per l'originalità delle invenzioni scritte nella loro anatomia, nella loro fisiologia e nelle loro abitudini. Non li ammiriamo perché sono fastidiosi o nocivi, ma una volta superato questo preconcetto ci si apre davanti un campo in cui, veramente, la realtà scavalca la fantasia. Basti pensare ai vermi intestinali: si nutrono, a nostre spese, di un cibo così perfetto che, unici nella creazione insieme forse con gli angeli, non hanno ano; o alle pulci dei conigli, le cui ovaie, grazie ad un complicato gioco di messaggi ormonali, lavorano in sincronia con le ovaie dell'ospite: così coniglia e pulce figliano contemporaneamente, in modo che ogni coniglietto riceva alla nascita la sua razione di minuscole larve, ed uscirà dal nido già provvisto di pulci sue coetanee. Sono astuzie necessarie. Bisogna ricordare che il mestiere di parassita («colui che mangia al tuo fianco») non è facile, né nel mondo animale né in quello umano. Un buon parassita deve sfruttare un ospite più grosso, più forte, più veloce (o, nella versione umana, più ricco e più potente) di lui, ma è indispensabile che lo faccia soffrire il meno possibile, sotto pena di essere espulso; e non deve farlo morire (umanamente: fallire), perché andrebbe in rovina con lui. Si pensi alle zanzare ed ai pipistrelli-vampiri, che entrambi, pur così diversi fra loro, hanno inventato l'anestesia, e se ne servono per non disturbare troppo il sonno dell'ospite durante il modesto prelievo di sangue. Un analogo umano di questa anestesia si potrebbe trovare nell'adulazione del potente dispensatore di benefizi, ma il parallelo fra parassiti umani ed animali non può essere spinto molto oltre: nella nostra società complessa, il commensale scroccone ha ceduto ampiamente il campo alle classi ed ai redditi parassitari, da cui è più difficile difendersi. Resta ferma una differenza essenziale fra parassiti umani ed animali. Il parassita umano vecchia maniera doveva essere intelligente, perché era sprovvisto di istinti appropriati: per lui, il parassitismo era una scelta, e i propri artifizi li doveva inventare. Il parassita animale, a quanto si sa, è tutto istinto, è totalmente programmato, e il suo cervello è ridotto o assente. C'è in questo una ragione economica; la caccia all'ospite, enorme e rapido, ha esiti così incerti che la specie ha preferito investire la propria inventiva non nel cervello, non nell'apparato digerente, non negli organi di senso, bensì in un apparato riproduttivo prodigioso: la tenia, priva di cervello, di canale digerente e di apparato locomotore, produce nella sua vita adulta parecchi milioni di uova. Le pulci dell'uomo, da cui siamo partiti, sono fuori moda e nessuno le rimpiange, ma assistiamo proprio in questi anni ad un misterioso revival dei pidocchi, e perciò bisognerà stare attenti. Sarà bene ricordare che la pulce, oltre ad essere veicolo di epidemie, solo pochi decenni addietro faceva parte della civiltà e del folklore europeo, frequentava tutte le classi sociali (lo dimostra la crinolina sopra descritta), ed era spesso citata dai letterati. Bernardino di Saint-Pierre, che aveva una sconfinata fede nella provvidenza, affermava che le pulci sono scure, e che sono attratte dai panni chiari, affinché l'uomo le possa catturare: «Senza l'istinto per il bianco di questi animaletti neri, leggeri e notturni, ci sarebbe impossibile scorgerli ed acchiapparli». Giuseppe Gioacchino Belli, in un sonetto del 1835, dipinge la miniatura stranamente sensuale della «purciaròla», che non trova delizia uguale a quella di spulciarsi: «Oggnuno ha li su' gusti appridiletti. 10 ho cquelo de le puree, ecco, e me piace D'acciaccalle e ssentì cqueli schioppetti». Nei Contes Drólatiques di Balzac, le suore del gaio monastero di Poissy spiegano a una candida novizia come si deva operare per distinguere se la pulce catturata sia maschio, femmina o vergine, ma trovare una pulce vergine è rarissimo, «poiché queste bestie sono sco-. sfumate, sono tutte sgualdrine assai lascive, che si danno al primo venuto». Nella coscienza popolare la pulce, come del resto anche la mosca, è imparentata col diavolo. Nel Faust, nella taverna di Auerbach, Mefistofele è applaudito da tutti quando intona la canzone del re che aveva una grossa pulce, la teneva cara come un figlio (non come una figlia: Floh, in tedesco, è maschile), e le aveva fatto tagliare un vestito di seta e velluto. In verità, l'aspetto che la pulce presenta sotto il microscopio è talmente insolito da apparire diabolico, e diabolica è la sua virtù di sottrarsi alla cattura con un salto così rapido che l'animale sfugge bruscamente all'occhio e sembra sparire. Proprio di questo salto si è occupata per decenni una dilettante ricca di pazienza e d'ingegno, la signora M. Rotschild. Non deve stupire che un naturalista ignori le nostre ripugnanze e i nostri tabù: da questi studi sono emersi fatti così insoliti da meritare che anche il profano li venga a conoscere. 11 salto della pulce è commisurato al bisogno: quello delle pulci della talpa, e di tutti gli animali che abitano stabilmente una tana, è scarso o addirittura nullo, perché l'arrembaggio dell'ospite, lento o sedentario, non presenta problemi. Invece, quando l'ospite è mobile e veloce, come il gatto, il cervo o l'uomo, è essenziale che l'insetto, appena terminata la muta, abbia successo nell'impresa fondamentale della sua vita, cioè nel salto che dal suolo lo porta a destinazione. Sulla pulce umana sono stati misurati salti di 30 centimetri in altezza, come dire almeno 100 volte la lunghezza della pulce stessa. Ora, la potenza che occorre per un salto simile non può essere fornita da alcun muscolo, e tanto meno dal muscolo di un insetto: gli insetti sono pressoché inerti a bassa temperatura, e la pulce deve invece saltare «a freddo», perché compie la sua muta in ambienti non sempre riscaldati, quali i pavimenti di certe abitazioni umane, ed appena è emersa dallo stato larvale ha bisogno di sangue. Dato così il problema, l'elegante soluzione che l'evoluzione ha elaborato attraverso prove ed errori di milioni di anni è la seguente. La potente muscolatura che era addetta al volo degli antenati volanti della pulce è stata riconvertita, e connessa con un sistema di accumulo elastico di energia meccanica: sostanzialmente, un meccanismo di tensione, sgancio e scatto simile a quello della balestra di un tempo, o del fucile a molla usato oggi dai subacquei. L'organo deformabile elasticamente, analogo alla molla del fucile ed all'arco della balestra, è costituito da una proteina pressoché unica nel regno animale, simile alla gomma ma dalle prestazioni molto migliori. In questo modo, l'energia necessaria per il salto istantaneo e prodigioso viene accumulata durante una fase preparatoria più lenta: tra un salto e l'altro, la pulce deve «raccogliersi», riaccumulare energia nelle sue molle; ma anche per queste pause le bastano pochi decimi di secondo. E' questo il segreto che permette all'insetto di saltare anche in ambienti freddi, e di saltare così alto e così lontano. La signora Rotschild e i suoi collaboratori hanno capito e ricostruito questi sottili fenomeni fabbricandosi strumenti ingegnosi, ad esempio macchine fotografiche rapide azionate dallo stesso scatto della pulce. Qualche lettore si chiederà a cosa servano queste ricerche: un animo religioso potrebbe rispondere che anche in una pulce si rispecchia l'armonia del creato; uno spirito laico preferisce osservare che la domanda non è pertinente, e che un mondo in cui si studiassero solo le cose che servono sarebbe più triste, più povero, e forse anche più violento del mondo che ci è toccato in sorte. In sostanza, la seconda risposta non è molto diversa dalla prima. Primo Levi

Persone citate: Auerbach, Balzac, Faust, Giuseppe Gioacchino Belli, M. Rotschild, Rotschild

Luoghi citati: Saint-pierre