Re Hussein il navigatore di Mario Ciriello

Re Hussein il navigatore OSSERVATORIO Re Hussein il navigatore Perché Hussein di Giordania è uscito dall'ombra e ha abbracciato la causa irachena? E' la domanda che da 48 ore stuzzica ed eccita i «dietrologi» di tutto il mondo; alle molte incognite della guerra sul Golfo si è aggiunto «il mistero dei due Hussein». Purtroppo, alle interpretazioni si affiancano le preoccupazioni. Mentre Amman tende la mano a Baghdad, Damasco sembra tenderla a Teheran; e la Siria ha firmato anche un trattato di amicizia con Mosca. Si teme una metastasi del conflitto. Quarantamila militari giordani, con carri armati e missili americani Hawk, sono schierati lungo la frontiera con l'Iraq, pronti ad assistere il neo-alleato. Per ora, almeno, è assai improbabile che re Hussein lanci queste legioni contro Khomeini: ma l'aiuto che il monarca già dà al suo omonimo di Baghdad non è affatto trascurabile. Aerei iracheni sono scesi su piste giordane o per sfuggire agli attacchi o per essere riparati; colonne di autocarri portano a Baghdad generosi rifornimenti. Il fatto più importante è però l'apertura del porto giordano di Aqaba, sul Mar Rosso, a tutte le navi con carichi destinati all'Iraq. Per il presidente Saddam Hussein è ossigeno vitale. Privato dai combattimenti dei porti sul Golfo, con una Siria nemica a Nord-Ovest, Aqaba diviene per lui un agile ponte con il mondo. Decine di navi già affollano l'ancoraggio, altre vi sono dirette, alcune trasportano armi. Il segretario di Stato Edmund Muskie vede con allarme questi sviluppi, esorta Amman alla cautela. Si torna così al quesito originale: che cosa ha indotto l'accorto e scaltro sovrano a giocare questa rischiosa carta? Le teorie certo non mancano. C'è chi ride ad esempio alle parole di Muskie, e vede in re Hussein lo strumento di un'America ansiosa di evitare una sconfitta dell'Iraq e un nuovo trionfo di Khomeini. La verità è probabilmente più semplice. La Giordania —piccola, povera di risorse, con una popolazione costituita per metà da palestinesi — ha due vicini potenti e «radicali», Siria e Iraq. Poiché Hussein vuole proteggere non soltanto la Giordania, ma anche la monarchia, deve avere l'amicizia o di Damasco o di Baghdad. Un'intesa con la Siria è impossibile: Baghdad invece è da tempo un «fratello» ricco, sollecito, munifico. Già esisteva dunque una «eniente cordiale»: ma doveva proprio sigillarla Amman con un'alleanza? Il sovrano sembra aver fatto di necessità virtù. L'Iraq aveva cominciato a premere sulla Giordania, voleva prove della sua amicizia, insisteva soprattutto affinché il partner trasformasse Aqaba in un porto di transito per Baghdad. A questo punto, il re avrebbe deciso che era meglio affiancarsi al presidente. Ma se l'Hussein di Baghdad cadesse, anche senza perdere la guerra? Ecco il pericolo. L'Hussein di Amman è però avvezzo alle manovre in mari burrascosi. Come Talleyrand, sa «sopravvivere» tra i maetstrom del Levante. Ha cambiato rotta mille volte e finora ha raramente sbagliato. Mario Ciriello

Persone citate: Edmund Muskie, Hawk, Khomeini, Re Hussein, Saddam Hussein