Caute reazioni di Gerusalemme al discorso del Papa a Otranto di Giorgio Romano

Caute reazioni di Gerusalemme al discorso del Papa a Otranto Il riferimento a Stato d'Israele e Palestina Caute reazioni di Gerusalemme al discorso del Papa a Otranto NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE GERUSALEMME — Il discorso del Papa ad Otranto, in cui ha nominato lo «Stato di Israele' sorto dopo le tragiche esperienze della seconda guerra mondiale, e la "Condizione dolorosa del popolo palestinese escluso dalla propria terra*, ha suscitato qui meno echi di quanto non abbia destato in Italia. La stampa gli ha dedicato alcune righe e nessun editoriale e non ci sono state reazioni ufficiali da parte dei ministeri degli Esteri o dei Culti. Si osserva che non è del tutto esatto dire che Giovanni Paolo il sia stato il primo Pontefice che abbia parlato di Stato di Israele, perché il Vaticano, se non ha riconosciuto «de iure» lo Stato, lo riconosce certamente «de facto: Paolo VI nel suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 1964 è stato ricevuto dal presidente Shazar e dai membri del governo: e ancor oggi si possono vedere nella residenza del capo dello Stato due candelabri d'argento dono di Papa Montini. Questi, in varie occasioni, ha accolto in udienza esponenti dello Stato ebraico: nel 1973 la signora Melr, nella sua veste di capo del governo, cinque anni più tardi Moshe Dayan come ministro degli Esteri. Del resto, molto prima, Pio XII aveva ricevuto due volte Moshe Sharett, una delle quali nella veste di capo della diplomazia israeliana. Giovanni xxi'i (e Golda Melr lo ricorda nelle sue «Memorie») si era mostrato cordiale, persino caloroso, nei riguardi di Israele, che ha inviato suoi rappresentanti — poi insigniti di onorificenze pontifice — ai suoi funerali e all'incoronazione del Suo Successore. Senza esser formalmente accreditati presso la Santa Sede, gli ambasciatori di Israele presso il Quirinale hanno tutti avuto contatti col Vaticano, diretti e indiretti, e tutti i rappresentanti dello Stato ebraico sono stati ripetutamente ricevuti in udienza dai successivi Pontefici. Non più tardi del mese scorso Papa Wojtyla ha ricevuto in udienza privata di congedo il ministro Melr Mendes, dell'ambasciata d'Israele a Roma, e lo ha trattenuto in lungo e cordiale colloquio, gualche giorno prima di accogliere un rappresentante dell'Olp: e l'« Osservatore Romano» ne ha dato puntualmente notizia. Su altri piani i contatti sono stati numerosi, anche se non sempre pubblicizzati. Cosi, dopo la guerra dei sei giorni, l'allora premieri Levi Eshkol ha ricevuto più volte monsignor Angelo Felici, sottosegretario della Congregazione degli Affari di Stato, giunto in visita ufficiale In Israele per discutere problemi relativi ai luoghi santi alla cristianità, di cui la legge del 27 giugno 1967 garantiva il rispetto. Cosi successivamente il ministero degli Esteri si adoperava per la rescissione di un contratto di acquisto da parte dell'Università ebraica dell'ospizio Notre Dame a Gerusalemme, che fu poi ceduto a un ente vaticano come questo desiderava. Forse per tutti questi precedenti la reazione israeliana all'ultimo discorso del Pontefice è stata cosi misurata. Al ministero degli Esteri c'è stato fatto notare: 1) che l'intento dello Stato di Israele è quello di raggiungere una pace globale nella regione e lo scopo del'a proposta per l'autonomia è quello di risolvere il problema dei palestinesi; 2) che Israele non è in guerra col popolo palestinese ma anzi cerca con esso un'intesa per il bene comune; 3) che la città di Gerusalemme non è mai stata tranquilla e pacifica come ora che il rispetto dei luoghi santi a tutte le religioni e il libero accesso per i loro fedeli sono garantiti non solo dalla legge, ma dalla ferma volontà del governo e del popolo. Giorgio Romano