Si parla troppo di svalutazione di Renato Cantoni

Si parla troppo di svalutazione Si parla troppo di svalutazione Negli ambienti economici e politici la parola «svalutazione» è di uso quotidiano. In Borsa si giustifica l'attuale sfrenato e incontenibile rialzo con la possibile e probabile tosatura del tasso di cambio della lira. I risparmiatori si domandano smarriti cosa accadrà ai loro gruzzoli faticosamente ammassati. Ora anche il presidente della Confindustria Vittorio Merloni in un'intervista pubblicata da L'espresso alla domanda cosa ne direbbe di una svalutazione del 3-4% che sarebbe allo studio del Tesoro e della Banca d'Italia, ha risposto: «Bene. Ritengo che la svalutazione non sia da considerarsi un tabù, ma solo se accompagnata da misure più generali che ne evitino la necessità di fame un'altra dopo 6 mesi». Molti imprenditori comunque ritengono questa percentuale assolutamente insufficiente a riequilibrare l'interscambio con l'estero, soprattutto se contemporaneamente non viene messo in esecuzione un ben articolato piano anticongiunturale che comprenda parecchi provvedimenti andati a picco col «decretone» respinto dalla Camera dei deputati. Prendendo ad esempio la Jugoslavia che pochi mesi or sono ha svalutato il dinaro del 30 per cento, diversi «competenti» fissano nel 20 per cento una eguale decisione per la nostra moneta. Fra il 3-4 per cento del Tesoro e della Banca d'Italia e il 20 per cento delle ipotesi di non ben precisati ambienti produttivi la differenza è assai grande come pure grande è la confusione che ne deriva. Esploriamo più a fondo la questione. L'Italia ha aderito allo Sme (Sistema monetario europeo) che Fissa precisi limiti di oscillazione per ogni moneta. Il nostro Paese ha margini eccezionalmente ampi ma comunque invalicabili senza l'assenso degli altri partecipanti. Circa un anno fa nello Sme si verificarono energiche pressioni destabilizzanti a causa della debolezza della corona danese e del franco belga e della forza del marco germanico. Per riportare una opportuna distensione in campo valutario ed eliminare forti spinte speculative la parità centrale su cui si fissa il margine di oscillazione fu ribassata di qualche punto percentuale per la corona danese e il franco belga e rialzata per il marco. Furono sufficienti questi interventi correttivi per ridare tranquillità al mercato dei cambi e frustrare le aspettative della speculazione. Non vi fu aggiustamento immediato nelle valute interessate propoizionalmente alle nuove parità ma una maggiore flessibilità e una migliore possibilità d'intervento delle banche centrali. Si è dato il caso che il marco non abbia guadagnato terreno e, a rigor di cifre, esso potrebbe essere oggi «svalutato» dell'uno per cento. Considerata la difficile situazione dell'Italia, molto probabilmente a Bruxelles non sarebbero oggi frapposti ostacoli di principio se la parità centrale di oscillazione delia lira venisse ribassata del 3-4 per cento. Ciò darebbe maggiore spazio di manovra alla Banca d'Italia che utilizzerebbe questo margine a piccole dosi soprattutto per contrastare eventuali pressioni speculative. E' questa la «svalutazione» di cui tanti parlano senza rendersi conto delle implicazioni che una decisione del genere comporterebbe? No di certo. Una drastica diminuzione del tasso di cambio della lira non è pensabile se non come un rimedio di emergenza dinanzi all'impossibilità di adottare altre più appropriate terapie: i nostri termini di scambio muterebbero pronfondamente, l'inflazione accelererebbe la sua corsa perversa e rischieremmo di essere messi in quarantena da parte dei nostri soci comunitari. In ogni caso dovremmo prima dare fondo alle nostre riserve valutarie immediatamente spendibili che assommano, considerata la quota italiana in ecu, a quasi 20 mila miliardi di lire. Ecco perchè i tecnici considerano una crisi valutaria non ipotizzabile a breve scadenza e gli speculatori poco allettante una scorreria differenziale che potrebbe prolungarsi nel tempo e costare ecaessivamente. Chi però fa le spese di una situazione tanto ingarbugliata è il settore produttivo che paga lo scotto delle misure difensive adottate dalla Banca d'Italia, e vede scomparire nel nulla, per la bocciatura del «decretone», quegli incentivi che avevano limitato il danno diun'awersa congiuntura negli ultimi mesi. Non fanno meraviglia le continue sospensioni dell'occupazione e le conseguenti agitazioni sociali che si allargano a macchia d'olio. Volenti o nolenti se non si trova una via d'uscita alla crisi in atto, breve o medio termine, ci troveremo dinanzi a un dilemma difficilmente risolvibile: far quadrare il bilancio senza una riduzione dell'attuale tenore di vita. Renato Cantoni

Persone citate: Vittorio Merloni

Luoghi citati: Bruxelles, Italia, Jugoslavia