Perché i terreni costano cari anche se l'agricoltura va male

Perché i terreni costano cari anche se l'agricoltura va male La risposta degli esperti all'allarme sulle campagne Perché i terreni costano cari anche se l'agricoltura va male DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — H presidente della Conf agricoltura, nell'intervista a La Stampa pubblicata ieri, ha detto che l'agricoltura italiana è sull'orlo della bancarotta, che quest'anno molte aziende chiuderanno i bilanci in passivo. Un'immediata conseguenza dovrebbe essere la svendita di queste «fabbriche verdi» che non rendono, il mercato immobiliare dovrebbe pullulare di offerte a prezzi interessanti. Invece si assiste al fenomeno opposto: il valore dei terreni agricoli continua ad aumentare, a un tasso molto più elevato di quello dell'inflazione. Perché? Lo abbiamo chiesto a Giovanni Giusti Del Giardino, amministratore delegato dell'Agrigabetti, una società immobiliare e di consulenza per l'agricoltura, che tratta la compravendita di grosse aziende agricole (quasi mai valgono meno d'un miliardo). La risposta è stata: «La gente considera la terra un bene rifugio, e chi vi ha investito non s'è dovuto pentire». Per mal che vada, chi acquista un terreno salva il proprio capitale dall'inflazione, e non è poco. Se poi c'è anche un'azienda agricola ben gestita, vi può essere un rendimento del 3-4 percento». In una tavola rotonda organizzata dall'Agrigabetti su come investire in agricoltura, l'esponente della Conf agricoltura Carlo Radice Possati ha aggiunto un altro buon moti¬ vo: alcuni industriali comprano tenute agricole, le ipotecano, e con i soldi che incassano fanno marciare le loro fabbriche, per le quali le banche non gli darebbero una lira di credito. Un terreno agricolo annesso ad un'azienda mista vale oggi sui 20 milioni l'ettaro, anche se ci sono punte di 30-40 milioni per aziende specializzate. Considerando il prezzo medio, si fa presto a pagare una buona azienda di 200 ettari sui 4-5 miliardi. Chi ha investito qualche anno fa ha raddoppiato il proprio capitale. In futuro sarà ancora cosi? «La rivalutazione del terreno non continuerà all'infinito», dice Francesco Le chi, ordinario di Estimo rurale all'Università di Milano. «Non per questo investire in tenute agricole non sarà più conveniente. Ma bisognerà gestire bene le aziende, cosa che un tempo veniva trascurata». Dire: «Compro della terra e la lascio 11», non sarà più conveniente, bisognerà farla fruttare. Leoni spiega che dieci anni fa le imprese agricole, in rapporto al loro valore, rendevano di più. Oggi siamo sul 3-4 per cento. Ma si domanda Lechi: «Continuando la forbice (tra valore immobiliare e rendimento, n.d.r.) si arriverà a una rendita zero». Altre difficoltà sono costituite dai capitali necessari per far funzionare l'azienda, dopo averla acquistata; capitali che oggi si pagano il 22-24 per cento, perché i crediti agricoli agevolati vanno tutti alle cooperative e ai coltivatori diretti: gli imprenditori ne sono praticamente esclusi. «Gli industriali (o le società assicuratrici, o le grandi finanziarie) non sanno quasi mai condurre un'azienda agricola», dice Giusti Del Giardino. Per questo l'Agrigabetti fornisce anche un servizio di consulenza per la gestione dell'impresa. Gli chiediamo quali linee hanno ispirato la costituzione dell'Agrigabetti. «Tre: la terra è ancora un investimento; nelle banche c'è una grossa massa di capitale vagante che cerca rifugio sicuro; l'agricoltura ha molto bisogno di denaro fresco». Un'ultima considerazione: come mai gli agricoltori si lamentano perché non riescono a far quadrare'1 bilanci, mentre gli esperti sostengono che una buona azienda, se ben gestita e con capitali da investire, rende un discreto reddito? La risposta, probabilmente, viene da un vecchio slogan, che l'Agrigabetti ha rilanciato: «Prima bisogna vendere, poi produrre». Livio Burato

Persone citate: Carlo Radice Possati, Del Giardino, Giovanni Giusti, Leoni, Livio Burato

Luoghi citati: Milano