All'industria meccanica ora fa paura l'export

All'industria meccanica ora fa paura l'export Il presidente torinese dell'Anima All'industria meccanica ora fa paura l'export TORINO — Sull'economia torinese, travagliata dal problema Fiat che fa sentire i suoi contraccolpi fin nelle più piccole aziende direttamente o indirettamente legate all'industria dell'auto, la caduta del decretone, con il vuoti legislativo che ha lasciato su alcuni punti chiave, e le misure protettive della lira che la Banca d'Italia è stata costretta a prendere, ha provocato allarme e difficoltà immediate. E la mancanza del governo, le incognite che pesano su una crisi politica di cui nessuno intravede lo sbocco a breve termine, accrescono le preoccupazioni tra gli imprenditori. •Senza entrare nel merito della crisi di governo, è indubbio che la causa che l'ha provocata, e cioè la mancata conversione del decreto, avrà conseguenze molto pesanti per il nostro settore». Lo afferma Mario Turatti, sessantanni, titolare di un'industria elettromeccanica torinese, dallo scorso maggio, presidente dell'Anima, l'associazione degli industriali metallurgici e metalmeccanici di Torino. Turatti parla quindi a nome di circa 700 aziende in cui lavorano non meno di 250 mila persone. Quali sono, per l'industria torinese, gli aspetti più pericolosi della situazione che si è venuta a creare con la mancata approvazione del decretone? «L'industria metalmeccanica torinese è tradizionalmente esportatrice: per alcune produzioni, come le macchine utensili o le macchine speciali per l'industria, l'export rappresen ta anche il 50, il 60% del fatturato. Anch'essa, quindi, come la quasi totalità dell'industria italiana, ha bisogno non solo di mantenersi com- petitiva, ma di recuperare competitività per acquisire nuovo slancio. Nel decretone si prevedeva la fiscalizzazione parziale degli oneri sociali, che consentiva di mantenere entro limiti più contenuti il costo del lavoro; costo che per l'industria metalmeccanica è pesante perché rappresenta mediamente dal 30 al 50% del costo totale del prodotto. Ora anche questa parte del decreto è caduta. Il pericolo è che, se non si adottano provvedimenti urgenti, il costo del lavoro torni ai livelli insostenibili che aveva in precedenza». La Banca d'Italia è stata assai tempestiva nel prendere alcuni provvedimenti di difesa della lira che, se pure non possono da soli mettere la nostra moneta definitivamente al sicuro da tentativi di svalutazione, ne hanno garantito la stabilità in un momento pericoloso. Quali sono per le imprese le conseguenze di queste misure? «Le conseguenze indirette della mancata conversione del decretone sono altrettano pesanti di quelle dirette. Può darsi che sul piano tecnico il provvedimento sia corretto; in pratica, però, è un altro colpo alla competitività delle imprese». L'aumento del costo del denaro si aggiunge quindi all'aumento generale dei costi. Ma ci sono implicazioni per un settore che come quello metalmeccanico torinese ha uno dei punti di forza dell'esportazione? «Certo; occorre infatti considerare che, essendosi fatta più aspra la concorrenza internazionale, uno dei modi per spuntarla sui concorrenti è quello di concedere dilazioni di pagamento più lunghe. Ora, finanziare le esportazioni con il costo del denaro al 22-25% diventa estremamente difficile. In ogni caso è anche un elemento che indebolisce la competitività della nostra industria, anziché migliorarla». Che cosa chiedono, quindi, gli imprenditori metalmeccanici per uscire da questa pericolosa situazione di disagio? «Mi auguro che le forze politiche valutino con attenzione tutti questi aspetti e provvedano con sollecitudine. La crisi incalza, già alcuni settori della metalmeccanica torinese (come l'automobile e gli elettrodomestici) scontano effetti di una congiuntura negativa, ed il tempo a disposizione si fa sempre più scarso». Vittorio Ravizza

Persone citate: Mario Turatti, Vittorio Ravizza

Luoghi citati: Torino