Gli antichi etruschi «spiati» dal cielo

Gli antichi etruschi «spiati» dal cielo Gli antichi etruschi «spiati» dal cielo Una mostra a Milano sui più recenti reperti di Cerveteri - Documentata la lunga attività della Fondazione Lerici, specializzata sin dal '47 nello scoprire insediamenti archeologici con osservazioni e rilevamenti dall'alto DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MILANO — Gli Etruschi sono tornati a Milano, in Palazzo Beale, dove venticinque anni fa erano stati celebrati con un'esposizione dedicata alla loro arte e civiltà che aveva assunto come emblema i famosi Cavalli alati di Tarquinia. Frutto di oltre due anni di preparazione, l'attuale mostra «Gli Etruschi e Cerveteri» (aperta sino a metà gennaio) costituisce dunque una nuova, suggestiva occasione per riaccostare questo popolo sul quale oggi si sa certo molto di più di quanto comunemente si creda (dalla scrittura alla storia, dalla lingua ai costumi), ma che continua a conservare un certo suo mistero: forse per le origini, sulle quali le diverse ipotesi — provenienza orientale (dalla Libia o pelasgica), da settentrione o formazione autoctona — tuttora si confrontano con alterna fortuna. Ma come le manifestazioni artistiche hanno ormai chiarito la loro ispirazione greca attraverso gli approdi dei coloni ellenici sui lidi laziali, cosi si è fatta strada anche l'idea che in ciascuna di quelle ipotesi possano vedersi 1 molteplici aspetti d'una realtà in effetti estremamente complessa. Protagonista di buona parte dell'esposizione è dunque Cerveteri (Chaire o Cheri per gli Etruschi, Cere, o Caere in latino, per i Romani, Agylla per i Greci): posta a circa 45 chilometri sopra Roma e a 6 chilometri dal mare, godeva di ben tre porti: Pyrgi, corrispondente all'attuale Santa Severa, Alsium presso La dispoli e Punicum l'odierna Santa Marinella. Una stupenda realtà archeologica che anche negli ultimi decenni ha portato a scoperte tra le più importanti, soprattutto per l'architettura ceretana nella quale — come nella pittura di Tarquinia e nella bronzistica di Vulci — si riconosce il più significativo contributo offerto all'arte del Mediterraneo occidentale. Lo hanno dimostrato anche gli scavi condotti a Pyrgi dall'Istituto di Etruscologia dell'Università di Roma, tuttora in corso a cura di M. Pallottino e G. Colonna: basti ricordare il bellissimo rilievo polìcromo con figure del mito tebano, che doveva far parte d'un grande tempio, qui esposto in riproduzione insieme alle lamine in oro divenute subito famose per le iscrizioni in etrusco e fenicio. 164 campagne A caratterizzare la mostra non è tuttavia l'accento che può sembrar messo su una località più che su un'altra, quanto il «taglio» chiaramente espresso nel suo sottotitolo: «Lo prospezione archeologica nell'attività della Fondazione Lerici». Alle sue spalle stanno infatti i quasi trent'anni di ricerche svolte dalla fondazione che, con le più avanzate tecnologie adottate, ha svolto, sino al '79, 164 campagne archeologiche. 12 delle quali all'estero, tenendo a precisare ch'essa ha fatto e fa «prospezioni e non scavi», in molti casi sino ad anticipare scoperte attuate poi da altri. Ed è la linea cui può ricollegarsi anche il gesto generoso col quale nel 1975 l'Ingegner Lerici ha offerto «in deposito permanente» alle Civiche raccolte di Milano cinquemila reperti archeologici, pari al 25 per cento dei ritrovamenti effettuati che lo Stato aveva riconosciu¬ to di sua spettanza per l'attività svolta dalla Fondazione che a Cerveteri ha fruttato l'acquisizione di 176 nuove tombe (spesso già violate in passato, ma alcune intatte) con una ricchissima dotazione di materiale tipico, databile tra il IX-VIII secolo eill a.C, soprattutto in vasi etruschi, greci o di produzione locale su modelli ellenici. Cosi è nata l'idea della mostra che con una presentazione quasi emblematica di un migliaio di pezzi, più che altro dimostrativi dei risultati ottenuti, ma spesso anche di notevole bellezza, ha inteso mettere in evidenza l'intero patrimonio d'arte e di cultura venuto in tal modo ad arricchire le collezioni milanesi. Si è colta però l'occasione per illustrare insieme l'appassionata vicenda che, scaturita dalle intuizioni dell'ingegner C. M. Lerici, ha finito per scrivere un intero capitolo della più moderna archeologia. Carlo Maurilio Lerici, oggi novantenne, veronese, laureato in ingegneria a Torino nel 1913, s'era occupato dapprima di costruzioni ferroviarie e aeronautiche, poi di acciai speciali, trovandosi ben presto alla testa di un'impresa industriale con sedi a Milano e a Stoccolma. In Svezia, nel 1939, era stato attratto dai sistemi di rilevamento usati per individuare i giacimenti minerali, basati appunto su «prospezioni» aeree in grado di cogliere le variazioni magnetiche che si determinavano in presenza di masse ferrose, senza bisogno di interventi sul terreno. Si interessò a questi metodi, li adottò e perfezionò, creando fin da allora a Milano il Centro di prospezioni geominerarie, trasformato nel '47 nella Fondazione costituita presso il Politecnico di Milano. Nel '54, intuendo l'importanza che tali applicazioni potevano avere in campo archeologico, diede vita alla sezione «Prospezioni archeologiche» con sede a Roma, eretta in fondazione indipendente nel '70, l'istituto che ha operato in proprio sino al '66 e da allora sino alla metà del '74 con contratti di ricerca finanziati dal Cnr. «Laghetto II» Ai diversi sistemi di prospezione è dedicata in gran parte la prima sezione in cui la mostra si articola, illustrandone i caratteri: dalla fotografia aerea e dalle analisi del terreno per campioni (carotaggi) alle applicazioni geofisiche: elettriche, magnetiche, elettromagnetiche e cosi via, non senza accompagnarvi notizie sui risultati che si sono ottenuti. Decisivi possono considerarsi quelli che hanno favorito l'identificazione di aree che, come a Tarquinia, a Sibari e a Crotone, conservavano resti antichi, sicché l'intervento della Fondazione Lerici è servito, senza bisogno di ricorrere a scavi che richiedono maggior tempo e spese anche più ingenti, a definire tempestivamente i rispettivi piani di sviluppo facendone salve le zone di interesse archeologico. La parte della mostra più ricca di attrattive è naturalmente la seconda, che presenta cospicui reperti, col corredo vascolare di intere tombe, e altri oggetti che, a volte riprodotti, completano il quadro della civiltà ceretana. Al fascino della mostra contribuisce notevolmente l'allesti¬ mento, curato da Cesare Volpiano, che si sviluppa anche a livelli diversi, come' si vede tutto intorno alla gigantesca mappa della necropoli di «Laghetto n», dove sono disegnate le tombe dalle quali è stato tratto il materiale esposto. Si scende poi nella vasta sala delle Cariatidi dove, in piena libertà, ma sempre in armonia con le strutture architettoniche, Volpiano ha adottato una pianta assai mossa, eppur rispondente alle esigenze scientifiche della mostra espresse dagli studiosi che l'hanno coordinata — R. E. Linington e L. Cavagnaro Vanoni per la Lerici, M. Bonghi Jovino per l'Università, E. A. Arslan ed Elena M. Menotti, cui si deve anche la cura dell'ottimo catalogo — mentre a questo punto l'allestimento sembra voler ricreare un fantastico ambiente archeologico ceretano, con una serie di aree tumuliformi e con i reperti bene in vista in vetrine del tutto trasparenti e visibili quindi da ogni lato che con la loro originale e suggestiva presentazione contribuiscono a far sentire la presenza di uno spirito che pur nel suo «mistero» non manca di annunciarsi nella sua storica concretezza. Angelo Dragone L'arte in Russia Nell'articolo «Dai mecenati zaristi al commissario» di Marco Rosei, apparso su La Stampa di ieri, la frase che collocava l'epoca del grande collezionismo di arte francese contemporanea nell'ultimo trentennio zarista, dal penultimo decennio dell'Ottocento al 1914, si è trasformata erroneamente nell'ultimo triennio zarista».

Persone citate: A. Arslan, Angelo Dragone, Beale, Carlo Maurilio Lerici, Cesare Volpiano, Greci, Jovino, L. Cavagnaro, Pallottino, Vanoni