La resa di Saronni e Moser di Maurizio Caravella
La resa di Saronni e Moser La resa di Saronni e Moser I due azzurri stroncati dal ritmo imposto alla corsa dal francese - Baroncheili, il migliore fra gli italiani, ha resistito bene sino a sette chilometri dal traguardo - Il suo secondo posto (col quarto di Panizza ed il decimo di Battaglio) premio di consolazione per la squadra di Martini DAL NOSTRO INVIATO SALLANCHES — Se Baroncheili fosse diventato campione del mondo, sarebbe stato bellissimo per gli italiani e bruttissimo per il ciclismo: sarebbe stato uno schiaffo alla giustizia, se non proprio uno schiaffo alla logica, visto che chi domina non sempre è chi vince, visto che il più forte non sempre batte il più furbo. Ma se Hinault avesse perso questo titolo mondiale che ha cercato con rabbia dal primo all'ultimo metro, seminando per strada gli avversari come una locomotiva che lasci i vagoni a morire sui binari, si sarebbe dovuta inventare un'altra maglia iridata apposta per lui. Baroncheili, che un giorno riuscì a far tremare anche il grande Merckx alle Tre Cime di Lavaredo, è stato grande, ma Hinault è stato grandissimo, ieri: all'altezza di un Merckx, all'altezza di un Coppi. Su un percorso da tempi eroici del ciclismo, l'eroe è stato lui. La speranza nell'ingiustizia che era l'unica speranza alla quale potevano aggrapparsi gli italiani, dopo il ritiro di Moser e Saronni e la resa degli altri azzurri, è durata fino a poco più di sette chilometri dall'arrivo. Baroncheili era solo con Hinault, che si era scrollato dalla ruota tutti gli altri, dando strattoni in salita che agli avversari dovevano sembrare pugni nello stomaco. Era rimasto con lui Baroncheili, come un'ombra insidiosa, come un rimorchio che non voleva staccarsi. Per Hinault, Baroncheili era l'ultimo pericolo: l'ultimo ostacolo che lo separava dal trionfo (il trionfo a braccia alzate, alla grande), ma che gli toglieva anche la certezza della vittoria, perché una vecchia legge del ciclismo dice che allo sprint è favorito chi sta dietro, e Baroncheili stava dietro da tanti chilometri, come se fosse incollato alla sua ruota. Per il grande sforzo, Gibl cominciava ad avvertire un crampo alla coscia destra, e pedalava facendo delle smorfie. Ma Hinault non poteva vederlo. Al massimo, poteva avvertire il suo fiato minaccioso sul collo. Hinault aveva dominato, ma non aveva ancora vinto. Su quella salita che è stata un calvario per tutti, e che ha visto sempre Hinault trasferire la sua rabbia sui pedali e portarsi all'attacco, il fuoriclasse francese doveva tentare l'ultimo assalto, prima di prepararsi psicologicamente allo sprint. La Còte di Domancy è uno strappo duro, brutale: due chilometri e settecento metri con pendenza media dell'otto per cento e con due tratti al quattordici. Dicono i corridori che salire venti volte di seguito su quella collina maledetta è come salire due volte sullo Stelvio. E'ia ventesima volta, sembra che Baroncheili regga bene, ma quel dannato crampo c'è. E soprattutto c'e Hinault, che sembra abbia un motore sotto il sellino. Un chilometro alla cima. E' il momento: il francese, che ama le progressioni più che gli scatti quando la strada sale, stavolta si alza sui pedali e allunga all'improvviso. E' un po' come se una fuoriserie cambiasse marcia e partisse in brusca accelerazione: se non hai quella marcia in più, sei battuto. Gibl tenta di reagire, ma le gambe non rispondono come dovrebbero: in più, quella fitta lancinante alla coscia lo fa soffrire e gli sottrae delle energie. Cinquanta metri, poi subito cento, poi trentatré stvbunspsF secondi in cima alla salita. Ormai Hinault ha vinto la partita: può solo batterlo un incidente, una caduta. Baroncheili non più. Hinault si getta in discesa senza pensare al pericolo, ormai è solo, ha scongiurato la grande beffa e sta per dare alla Francia, diciotto anni dopo Stablinski, il titolo mondiale di ciclismo che conta di più. Ma pensa soprattutto a se stesso: alle critiche per il suo ritiro al Tour e anche per il suo modo di correre spesso troppo avaro, fat¬ to di pedalate col contagocce. Aveva dimostrato sullo Stelvio, al Giro d'Italia, di saper correre come correva Merckx, e come correva Coppi. Ora lo sta dimostrando di nuovo, sta mettendo a tacere tutti, sta strapazzando il mondo intero. Trionfa a braccia alzate, con distacchi davvero da altri tempi: Baroncheili, splendido secondo, giunge dopo l'Ol", ma dall'arrivo di Hinault bisogna aspettare quasi quattro minuti e mezzo prima che Fernandez, spagnolo, conquisti la medaglia di bronzo davanti a Panizza (un grande Panizza, che sembra aver trovato il segreto per non invecchiare) e ad uno sparuto gruppetto con De Vlaeminck; Battaglin è decimo a otto minuti e mezzo. Tre azzurri (i soli tre nostri superstiti) tra i primi dieci, quindici arrivati su 107 partiti. Un percorso d'altri tempi, con un vincitore che non è un campione di giornata, ma che è il vero campione del mondo. Non era un percorso per Moser, che le montagne le ha sempre preferite all'ingiù: non era un percorso, soprattutto, per «questo» Moser, che sembra la copia sbiadita del campione che conquistò la maglia iridata a San Cristobal, in Venezuela, e che trionfò per tre volte consecutive nella ParigiRoubaix, il vero campionato del mondo di primavera. Moser ha fatto ciò che ha potuto, cioè poco: poi si è rifugiato in albergo, non andrà neppure a Besancon per il mondiale dell'inseguimento. Glielo impedisce il suo morale; glielo impediscono soprattutto i suoi muscoli, che da troppo tempo hanno una strana ruggine che non vuol andarsene. Poteva essere un percorso buono per Saronni, se fosse stato il vero Saronni. Ma ieri, fin dai primi giri, si è visto che era l'ombra di se stesso, su quella salita mozzafiato. La pioggia e ii freddo gli avevano indurito i muscoli: e vedere Hinault sempre davanti a tutti, a guidare la danza con l'autorità del cam- pione che non sente la fatica, lo aveva convinto che continuare a lottare sarebbe stato come picchiare la testa contro il muro. Ha preferito dire basta, e adesso forse capisce che non aveva tutti i torti chi lo consigliava di non parlare troppo, o perlomeno di non parlare troppo forte. Sono mancati, più o meno clamorosamente, i due «big» del nostro ciclismo, ma il campionato del mondo — un campionato in cui non si poteva bluffare — ha dimostrato che in Italia non ci sono soltanto loro, e questo in fondo è un bene: forse ora si convinceranno a bisticciare di meno ed a pedalare di più. Baroncheili, che sembrava troppo fragile per un ruolo da campione, ha trovato la fiducia in se stesso e anche la voglia di soffrire scovando dentro di sé energie che forse neppure lui, ad un certo punto della sua carriera, credeva di avere. E Panizza e Battaglin sono soltanto un gradino più giù. Sotto i colpi di Hinault, che ha cominciato con il lavoro ai fianchi ed è poi passato decisamente al k.o., è crollato lo squadrone olandese: il primo a ritirarsi è stato il campione del mondo Raas, ma poi — salvo Pronk — tutti si sono clamorosamente arresi Forse è davvero cominciata l'era di Hinault. Speriamo che non sia una dittatura. Ma lui ci lascia sperare? Ieri ha lasciato tutti nella polvere. Proprio come faceva Merckx. Maurizio Caravella ^^^^^^^^ Sallanches. L'irresistibile Hinault (a destra) sta per staccare il coraggioso compagno di fuga Baroncheili (Telefoto)
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