In quei sudore grappoli e fatica

In quei sudore grappoli e fatica In quei sudore grappoli e fatica Con oggi, primo settembre, il mondo contadino si rianima attorno a un nome prestigioso, la vendemmia, in attesa di addentrarsi nel concreto di questa operazione. Il tempo incerto dà qualche imbarazzo ai profeti, c'è chi si preoccupa della qualità delle uve e si mantiene prudente nel prevedere, c'è chi si limita a quantificare il raccolto pur sapendo che una buona resa non sempre è legata alla sola abbondanza. La ripresa del lavoro (per qualcuno mai interrotto) riporta ai ritmi di una giornata dove è difficile dire quanto discenda dalle abitudini, quanto risalga ad esse, e quanto ancora le medesime siano una traccia considerevole del passato o una necessità ponderata del presente. Nei paesi i contadini restano soli con i loro problemi: indossando con un po' di anticipo gli abiti autunnali sembrano volersi difendere dalla curiosità di chi li osserva ricercandovi scampoli di immagini letterarie per fortuna defunte; pochi purtroppo sanno che occorrerebbe invece indagare nel di dentro il loro mondo, che è il nostro vista l'inopportunità di «riserve» fra compagni di uno stesso viaggio esistenziale. In certe aie di collina c'è ancora il profumo del grano appena battuto e già si avverte il desiderio del sapore di mosto: basta infatti una giornata di acqua per schiudere l'orizzonte alla stagione delle piogge, per iniziare la trasformazione di uno scenario nell'evoluzione rapida di colori fino a che il marrone cupo dell'ultima foglia consegnerà la terra alla lunga attesa della nuova fioritura. Ma non sono i distacchi di questo tipo a impensierire i contadini. La vita sociale, in campagna, si è affrancata dagli isolamenti e, meglio ancora, dalle solitudini interiori su cui il romanticismo degrada in romanticheria. Non la pioggia, non la nebbia, non la neve incupiscono le prospettive legate a questo tipo di eventi: anzi, la nuova organizzazione civile della vita in paese, la facilità delle comunicazioni e dei rapporti, il vantaggio dei centri maggiori facilmente raggiungibili per qualunque evenienza, danno al campagnino il conforto di un verifica positiva sulla scelta fatta nella destinazione del proprio lavoro. E certe piogge lunghe sono poco fastidiose se si sa che dietro l'uscio oppure oltre la curva il fango non si ispessisce fino a bloccare le strade. E certe nebbie hanno magari il semplice aspetto di una compagnia ricorrente se la casa è calda, luminosa, serena. E le nevi portano persino meno gelo se il tormento del lavoro svolto a cielo aperto si stempera nella felice conclusione dell'annata. La neve può addirittura accendere l'illusione che a primavera rigermoglino i rami di quell'olmo che a fine estate è appassito anzitempo per la malasorte di un virus peregrino. A impensierire i contadini, in pane già afflitti, in varie regioni italiane, dal flagello della grandine, sono i complicati meccanismi che portano alla determinazione dei prezzi. Sanno bene che i prezzi sono, in parte, il riflesso del mercato, e il dispiacere grande dei lavoratori della terra è di incidere su questo mercato in una proporzione iniqua rispetto a quanto toccherebbe loro. Cosi nei paesi, in questi giorni e sino all'inizio della vendemmia, i contadini si trovano e si ritrovano, cauti nell'esporsi. timorosi l'un l'altro, intenzionati a resistere, a far fronte comune, pur consapevoli che l'unità d'intenti si sfascia poi sotto la minaccia delle opposte resistenze. Chi crede di conoscerli nei difetti, afferma che il loro guardingo c intimamente indi- vidualistico modo di trattare nei confronti di qualsiasi compratore, deriva dal timore di perdere qualche buona occasione maturata magari, all'insaputa dei più, nella notte. Chi ritiene di conoscerli soprattutto nelle virtù, può dire semplicemente che il loro agire è una difesa dignitosa e mai violenta del lavoro e del prodotto che si è generato dalle fatiche. Se non si comportassero così, si sentirebbero ingoiati in fretta — fatiche, speranze, lavoro — senza neppure il sale per insaporirli meglio. I frutti della terra non sono mica, come talvolta si ritiene, delle spontanee germinazioni del suolo per cui l'agricoltore si limita a seminare e raccogliere: dietro un grappolo d'uva, dentro quegli acini, c'è sì la buona disposizione del cielo, ma ci sono soprattutto i sudori, le artrosi, le ferite di attrezzi improvvisamente subdoli che colpiscono le carni e indeboliscono gli spiriti. Dentro ogni grappolo c'è anche la fiducia verso la rivalutazione concreta del lavoro contadino, che è faccenda più importante della semplice esaltazione del mestiere contadino. Bisogna riconoscere che forme di assistenza a mezza strada tra le due destinazioni appena ricordate, ne esistono parecchie; ad ogni stagione se ne vara qualcuna, magari saranno persino troppe, ed è proprio questo tipo di interventi che induce taluno a ritenere il contadino come una istituzione prossima a sgretolarsi, e in quanto tale sostenibile e difendibile solo con mezzi artificiosi. Così non si interviene però «e//'agricoltura, così la si bamboleggia destando stupori, in primo luogo, tra coloro stessi che per cultura e praticità alle bambole non furono mai troppo abituati. La loro domanda senza risposta continua ad essere: «Perché seguitiamo a far venire di fuori prodotti alimentari di ogni tipo visto che noi. qui. siamo e saremmo ben capaci di darne in abbondanza?». La loro richiesta, dirottata su ogni raccolto e. si capisce, di questa stagione particolarmente sull'uva, è univoca: «Vorremmo che si difendesse il nostro lavoro esclusivamente attraverso la difesa dei prodotti della terra. Caveremo più e migliori frutti dal suolo, solo ottenendone il giusto, non prezzi caritatevoli». Infatti la carità, isolata da un sano contesto, non pare neppure virtù. Franco Piccinelli

Persone citate: Franco Piccinelli